“Da qui riprende il filo del racconto lasciato sospeso nella Masseria delle allodole.”
Ne “La strada di Smirne” ci sono tutti. Meglio: ci sono coloro i quali sono riusciti a sopravvivere all’olocausto del 1915. Sempad, il gentile farmacista armeno, è stato massacrato assieme a buona parte dei suoi figli maschi. Le tre figlie femmine, insieme alla loro mamma Shunshanig, alla zia Azniv e al piccolo Nubar, scampato all’eccidio solo perché travestito da bambina, fuggono dalla loro amatissima terra e cercano rifugio in Italia, da Yerwant. Lui, fratello del buon Sempad, è un medico affermato, vive da anni a Padova dove ha sposato Teresa, una contessa dai modi distaccati e severi, dalla quale ha avuto due figli, Wart e Khayel, educati secondo gli schemi occidentali materni, ragazzi gentili ed intelligenti ma molto distanti dalla cultura e dalla storia armena.
Ma ne “La strada di Smirne” ho ritrovato anche la stravagante lamentatrice greca Ismene, il prete ortodosso Isacco, oltre al mendicante Nazim.
Siamo nel 1916 e gli armeni sono stati in buona parte annientati durante lo sterminio messo in atto dai turchi. La Arslan racconta due storie parallele, da una parte quella dei figli di Sempad e Shunshanig che, dopo un viaggio avventuroso attraverso il mediterraneo, riescono a raggiungere l’Italia e la famiglia dello zio Yerwant; dall’altra quella di Ismene e di Isacco, divenuti moglie e marito e giunti nella ricca città di Smirne dopo aver abbandonato Aleppo, alle prese con orfani inselvatichiti e diffidenti, figli sopravvissuti alla strage del ’15.
Gli armeni credono di poter rifondare proprio nella luminosa e tollerante Smirne la loro seconda patria, di recuperare quella libertà e quella serenità appena annientate dai musulmani. Per alcuni anni regna una pace lieve ed apparentemente duratura. Riprendono i commerci, si recupera parte di quel che era stato perso ma, come la Arslan ricorda sovente, si tratta di una quiete destinata a durare pochissimo. Infatti, solo nel 1922, quindi sei anni dopo il precedente sterminio, si prepara per gli armeni un’altra terrificante aggressione.
Ismene ed Isacco, a cui la signorina tedesca che curava l’orfanotrofio lascia in cura tutti i bambini, cercano in ogni modo di rendere la vita degli orfani nuovamente accettabile. Il genocidio ha lasciato in ognuno di loro immagini e ricordi dolorosissimi. Smirne però sta per essere messa a ferro e fuoco dal generale turco Kemal (Ataturk) che, da tempo, e dopo aver già conquistato buona parte dell’Anatolia, è pronto a prendersi anche la seconda città dell’impero ottomano e a vendicare l’onore dei turchi sopraffatti da tutti gli stranieri infedeli che ne hanno calpestato indegnamente il suolo.
Il destino non è gentile né per Ismene, né per Isacco, ma vuole che i due, che avevano comunque avuto un ruolo tanto decisivo, assieme a Nazim, nella vicenda della masseria, vengano ricordati come angeli del bene, eroiche figure gentili e generose pronte a salvare, anche con l’inganno, decine di bambini che, altrimenti, sarebbero stati inghiottiti dalle fiamme di Smirne.
Chi ha letto con commozione e trasporto “La masseria delle allodole” non potrà che apprezzare “La strada di Smirne”, parte complementare di una vicenda struggente. Antonia Arslan ha trasmesso memoria: ha ricordato nomi, eventi, luoghi, luci, suoni ed odori. Quelli di un’Armenia che per molti anni persino i trattati ufficiali si sono ostinati a non considerare, evitando persino di pronunciarne il nome e di riconoscerne la tragedia. La scrittrice padovana, diretta discendente italiana dei sopravvissuti agli stermini che ha scelto di raccontare, ha la straordinaria capacità di descrivere con lucidità e delicatezza una vicenda di strazio, trasmettendo a chi legge il senso di un amore infinito per le sue radici lontane oltre ad ispirare il desiderio di avvicinarsi ad una porzione di storia contemporanea spesso sminuita, ignorata se non addirittura brutalmente ed ingiustamente negata.
Edizione esaminata e brevi note
Antonia Arslan è nata a Padova nel 1938. E’ laureata in Archeologia ed ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Ateneo padovano. Prima di approdare alla narrativa con “La masseria delle allodole” (Rizzoli, 2004), ha curato alcuni saggi sulla narrativa popolare e d’appendice. Ha tradotto in italiano due raccolte del poeta armeno Daniel Varujan ed ha curato “Hushèr. La memoria. Voci italiane di sopravvissuti armeni” (Guerini e Associati, 2001). “La strada di Smirne”, seguito ed epilogo de “La masseria delle allodole”, è stato pubblicato nel 2009. Mentre nel 2010 è uscito, sempre per la Rizzoli, “Ishtar 2. Cronache dal mio risveglio”.
Antonia Arslan, “La strada di Smirne”, Rizzoli, Milano, 2009
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