Murakami Haruki

Kafka sulla spiaggia

Pubblicato il: 5 Maggio 2008

“La mia mente si addentra nel territorio dei sogni senza che me ne accorga. Sono sempre cosi silenziosi, quando ritornano. Sto stringendo Sakura. Lei è fra le mie braccia, e io sono dentro di lei. Non voglio più essere manipolato da cose esterne alla mia volontà. Non voglio più essere gettato nella confusione. Ho già ucciso mio padre. Ho già violato mia madre. E adesso sto penetrando mia sorella. Se la maledizione esiste preferisco andarvi incontro di mia iniziativa. Voglio che tutto finisca al più presto. Voglio togliermi il più presto possibile questo peso dalle spalle. E dopo, non voglio mai più essere coinvolto nei progetti di qualcun altro, ma vivere secondo la mia volontà. Questo è ciò che desidero. Ed eiaculo dentro di lei” (p.424).

Quando sogno e realtà si fondono, si confondono, fino a formare una materia unica. Eppure non esiste deriva: laddove si allontana il confine del mondo conosciuto, percepito, consueto, comincia l’universo in cui ci attende Murakami; una dimensione altra in cui memoria e inconscio, le paure terribili e le aspettative irrinunciabili, i personaggi più strani, surreali, e gli spiriti solitari si manifestano attraverso una narrazione in cui è inaspettatamente il sogno l’unico approdo possibile, la dimora più reale che possa ospitarci. In questo altrove immaginifico, dove ogni pagina è sovente una sorta di epifania, il nostro sé magico e incantato è risvegliato alla coscienza. È la magia di opere come Kafka sulla spiaggia, ultima follia visionaria di uno dei più grandi narratori contemporanei, quel Murakami Haruki che torna ispirato cantore di un fantastico affascinante e credibile, grazie a una scrittura che, al contrario, cattura il lettore senza cercare artifici di forma, puntando soprattutto sulla sostanza e sulla palese capacità di contaminare la narrazione con rimandi alla filosofia, alla musica classica e pop rock, al cinema, alla psicanalisi, all’alta letteratura.

È un viaggio verso l’ignoto e l’inconoscibile di due personaggi diversissimi eppure idealmente vicini, partiti dallo stesso luogo in un tempo assai ravvicinato e ribaltati nella loro possibile percezione naturale: un ragazzo quindicenne, molto più maturo della sua età, fugge da una sconvolgente profezia edipica fattagli dal padre quando era ancora un bambino; un uomo sessantenne, che aveva perduto in circostanze misteriose ogni capacità intellettiva (diventa analfabeta e smemorato) a nove anni, acquisendo il potere di comprendere la lingua dei gatti, fugge da un delitto terrificante. L’approdo del loro viaggio trova comunanza in un destino scritto altrove, decenni prima, grazie all’apertura di una porta che aveva sprigionato un’energia che crea un ponte tra due dimensioni. Una porta su un mondo altro che aveva generato un mostro assurdo e quasi immateriale: un concetto, più che una forma. Il viaggio del giovanissimo Tamura Kafka – sempre accompagnato da un immaginario alter ego (il ragazzo chiamato Corvo) – e del vecchio Nakata incrocia alcuni personaggi chiave che contribuiscono a svelare il segreto del loro strano destino. Le immagini reali si mischiano sempre più spesso con quelle oniriche, nel percorso d’auto conoscenza compiuto dal ragazzo, palesando il rischio che la profezia edipica del padre si avveri proprio a cavallo tra i due mondi, causando una perdita d’identità irreversibile. Tamura Kafka, che aveva preso a prestito il nome dal grande letterato ceco trovando una sorta di comunanza con lo spirito dei suoi libri, con la sua inquietudine e i suoi personaggi, odia il suo passato e cerca nel presente i segni che gli spieghino l’abbandono della madre e della sorella, seguendo un filo, apparentemente casuale, che porta a una piccola biblioteca lontana da Tokio. Anche Nakata, passando per una via che si manifesta, dal principio, radicalmente più assurda, aiutato da un giovane autista di camion incontrato sul suo cammino, arriva allo stesso approdo. La biblioteca Komura, gestita dalla signora Saeki e dall’androgino signor Oshima (una donna, in realtà), è il luogo dove sono leggibili i segni per decifrare l’intricato enigma esistenziale che accomuna, per vie pur diversissime, Tamura Kafka e Nakata: un quadro e  gli inconsueti ma poetici versi di una canzone perduta in un tempo remoto. Per decodificare un ulteriore enigma: cos’è “la pietra dell’entrata”?

Un romanzo di incredibile fascino, una narrazione magica che come poche altre ci porta a credere che sogno e realtà siano dimensioni interscambiabili e interdipendenti, per noi esseri umani. Un labirinto di specchi in cui l’inconscio, luogo della nostra energia più dirompente, è sollecitato a partecipare alla vicenda in modo continuativo, dalla prima all’ultima pagina. Murakami ha il dono di una scrittura che ci accompagna per mano lungo il percorso, che ci fa sentire parte della stessa narrazione, un po’ come se fossimo Bastian che segue le imprese del valoroso Atreju nel capolavoro fantasy di Ende. Ma questo è un libro adulto, quanto mai rivolto a un mondo consapevole della fragilità e della finitezza dell’essere umano, un’opera nella quale l’orrore è presente, e tanto più è orribile quanto più sarà catartico il momento in cui Murakami ci inviterà a confrontarci con esso per sconfiggerlo. Quello del narratore giapponese, oramai sessantenne, è uno sguardo dagli occhi adolescenti e fanciulli, conservato limpido, su una contingenza piena di lati oscuri, di grigiori e zone d’ombra. E non ci si scandalizzi dunque, se il rapporto sessuale tra l’ipotetica madre e il figlio è descritto da Murakami non eludendo il minimo dettaglio erotico. Leggete senza sovrastrutture e troverete la limpidezza, la purezza di questo tipo di scrittura, il cui magnetismo è percepibile anche quando lo scrittore giapponese si muove a cavallo tra i generi. C’è anche molto di divertente, in Kafka sulla spiaggia, soprattutto nel seguire i buffi dialoghi tra uno strambo personaggio quasi del tutto decerebrato e i suoi interlocutori. Nell’immaginare il personaggio del signor Nakata, ma anche – seppur meno evidentemente – nel definire i contorni dell’androgino Oshima, Murakami ci pone senza enfasi buonista il problema dell’accettazione di una diversità che spesso incontra solitudine o auto isolamento. Nell’universo bidimensionale partorito, in effetti, Nakata è sempre ben voluto e addirittura protagonista fondamentale nella sua missione d’apertura e chiusura del varco tra i due mondi. Ma Murakami trova questo improbabile idillio tra Nakata e l’umanità solo entro i confini della narrazione proposta, lasciandoci intendere che la solitudine – pur non percepita come tale da una mente evidentemente elementare – era stata l’unica reale compagna della vita del vecchio. A parte il rapporto con gli amici gatti, evidentemente. E anche in questo ultimo Murakami per l’Italia (ci sono altri titoli successivi a questo, da noi non ancora tradotti), soprattutto in questo Murakami (ricordiamo anche, a questo proposito, L’uccello che girava le viti del mondo), i gatti hanno un ruolo fondamentale. Sono quasi esseri magici, guardiani sulla soglia, adagiati sulla linea di confine tra i due mondi.

Ultima nota per la convincente traduzione di Giorgio Amitrano, davvero capace di restituire una scrittura coinvolgente che ci accompagna empaticamente già dalla quarta di copertina: “Kafka sulla spiaggia sembra scritto in risposta a un imperativo altrettanto misterioso e categorico, con rigorosa precisione di dettagli eppure al di fuori di ogni logica convenzionale, come obbedendo agli ordini dell’inconscio. Mentre ci addentriamo incantati nel suo labirinto e ci perdiamo nei vertiginosi meandri della vicenda, abbiamo l’impressione che Murakami stia scoprendo la storia insieme a noi, viaggiando sulle tracce di Kafka e Nakata con la nostra stessa curiosità, stupore e sete d’avventura. Si legge Kafka sulla spiaggia come il suo autore deve averlo scritto: con la sensazione di entrare a occhi aperti in un sogno visionario e risonante di profezie, dove le scoperte e le rivelazioni si susseguono, ma il cuore più profondo resta segreto e inattingibile ”.

“Che Murakami stia scoprendo la storia con noi” – proprio cosi: leggere per credere. Potenza della letteratura. Quella che non ha tempo, età, confine; quella che riesce a bruciarci dentro e ad alimentare la fiamma della passione.

“Il tempo grava su di te con il suo peso, come un antico sogno dai tanti significati. Tu continui a spostarti, tentando di venirne fuori. Forse non ce la farai, a fuggire dal tempo, nemmeno arrivando ai confini del mondo. Ma anche se il tuo sforzo è destinato a fallire, devi spingerti fin laggiù. Perché ci sono cose che non si possono fare senza arrivare ai confini del mondo” (p.513).

Federico Magi, maggio 2008.

Edizione esaminata e brevi note

Haruki Murakami nasce a Kobe nel 1949. Dopo essersi laureato in drammaturgia classica alla Waseda University – con una tesi sul viaggio nel cinema americano – si è dedicato alla gestione del suo jazz bar dal 1974 al 1981. Nel frattempo nel 1979 vince il premio Gunzo con il suo libro d’esordio, Ascolta la canzone del vento, non tradotto in Italia, e pubblica altri due libri. Fra questi Sotto il segno della Pecora vende in brevissimo tempo 150.000 copie solo in Giappone e gli fa conquistare il prestigioso Noma Literary Award. Oltre a scrivere numerosi romanzi e racconti si dedica alla traduzione di scrittori americani fra cui John Irving, Raymond Carver e Francis Scott Fitzgerald. Vive tra Italia (a Roma), Giappone e Stati Uniti.

Haruki Murakami, “Kafka sulla spiaggia”, Einaudi, Torino, 2002.
Titolo dell’opera originale “Umibe no Kafuka”.
Traduzione di Giorgio Amitrano.