Tutto parte con la preparazione di una molotov. Una bottiglia di vetro facilmente recuperabile e ben ripulita, un tappo e uno straccio ma, soprattutto, del liquido altamente infiammabile. Darioush è solo un ragazzino ma ha le idee chiare: deve intrufolarsi nel capanno di suo padre, ben attento che nessuno lo scopra e approfittando del fatto che in casa non ci sia nessuno, e rubare un po’ di benzina. “Ho svitato il tappo della tanica da venti litri di benzina che mio padre conservava gelosamente, visti i tempi incerti delle riforniture alle pompe che avevano preceduto e poi seguito la Rivoluzione, fino al razionamento totale con i coupon. Ho afferrato la maniglia tagliente in fil di ferro e piegando leggermente la tanica in avanti ho fatto scivolare sotto l’altra mano. Il peso mi stava tranciando le dita. L’ho sollevata quel tanto che bastava per riempire la bottiglia senza far traboccare la benzina sul pavimento, un lavoro pulito, e anonimo“. Peccato che il furto tanto ben programmato sia più complicato del previsto e che la tanica pesi troppo e che erutti più liquido di quanto si possa immaginare e che la benzina cada sul pavimento lasciando una traccia visibile del passaggio di Darioush. Fuori dal capanno, tra l’altro, si presenta Zal, l’amico storico, quello a cui non sfugge mai nulla, quello che ha occhi e orecchie fin troppo attenti e che si impiccia di cose che non dovrebbero interessargli.
Darioush vive a Teheran con la sua famiglia in una casa costruita lungo una strada piena di altre case e di tanta gente. Di guai, nella sua breve vita, Darioush ne ha combinati parecchi. È vivace, scapestrato, impertinente e sembra non aver paura di nulla. Tra la disperazione dei genitori e quella di chi subisce le sue bravate, Darioush cresce continuando a combinare pasticci che però divertono da morire sia lui che la sua combriccola di amici. Stavolta, ad esempio, la molotov serve a dare una lezione a Saber il pollivendolo che ha ucciso uno dei piccioni del ragazzo con un fucile ad aria compressa. Darioush è un grande appassionato del “gioco dei colombi”, un’antica tradizione iraniana che gli ha trasmesso suo zio: “…il gioco dei colombi è malvisto quanto quello d’azzardo. Per denigrarli si dice che i giocatori di colombi siano sempre con la testa rivolta al cielo, come se ci fosse qualcosa di peccaminoso o illecito nello scrutare il cielo anche di giorno. Più volte mi sono sentito urlare in faccia dai ragazzi della via o dai loro genitori che sono un giocatore di colombi, quasi un insulto. Ne sono fiero, perché so di certo che la loro è solo invidia“. È la voce diretta di Darioush a raccontarci, per filo e per segno, le numerose ragazzate di cui è protagonista. Una voce leggera, amabile e brillante che, proprio come quella di qualsiasi ragazzino, sa trasmettere entusiasmo e irriverenza.
Darioush e Zal, amici inseparabili, sono appassionati di film americani, quelli che lo zio vendeva liberamente tramite un’attività di noleggio ma che, dopo la Rivoluzione, sono stati sequestrati e continuano a circolare e a essere visti clandestinamente. Ed è proprio da personaggi cinematografici che spesso arriva loro l’ispirazione per compiere bravate che, immancabilmente, li mettono nei guai. Darioush e Zal vivono in un momento storico in cui l’Iran ha cambiato faccia e pensiero. Lo scià è stato cacciato e sostituito dal regime degli ayatollah. Khomeini è venerato come una divinità e a scuola la Rivoluzione viene osannata sotto ogni punto di vista. Darioush si convince che il destino ha in serbo per lui un ruolo da eroe, “…ho avuto la certezza di avere un destino differente da tutti gli altri. Diciamo più simile a Emiliano Zapata, Ben Hur, El Cid e Lawrence d’Arabia, piuttosto che al Profeta, Mosè, Gesù o Bernadette, per intenderci“. Una convinzione che gli eventi sembrano confermare per via di un colpo di fortuna talmente sfacciato che porterà Darioush direttamente al cospetto dell’ineguagliabile Khomeini. Sentirsi un eletto, un paladino, un predestinato rafforza l’autostima del giovane iraniano e diviene lo stimolo, assieme ad una educazione religiosa onnipresente e integralista, per combattere contro l’Iraq di Saddam Hussein.
Darioush ci racconta così una fase di crescita e una guerra. Il suo sguardo e la sua voce sono e restano quelli di un ragazzo esuberante e appassionato. Oltre la narrazione pura e semplice, però, c’è la visione di un’adolescenza che si esaurisce in maniera fin troppo repentina. Il gioco di colombi sui tetti e con gli amici tra le strade di Teheran diviene bruscamente un gioco di vita e di morte. In “Quasi due” non si perde mai il tono luminoso, giocoso e brioso anche quando si passa a scenari bellici che di brioso e luminoso hanno ben poco. La levità dello stile scelto da Ziarati e le vicende narrate mi spingono a pensare che questo romanzo possa essere un’ottima lettura per gli adolescenti, un libro da poter proporre in classe anche per avvicinare la storia del Novecento a persone che sentono lo scorso secolo molto distante sotto molti punti di vista.
Edizione esaminata e brevi note
Hamid Ziarati è nato a Teheran nel 1966 e vive a Torino dove si è trasferito nel 1981 per motivi di salute. In Italia, seguito da un fratello e una sorella, entrambi medici, ha frequentato il liceo e poi il Politecnico dove si è laureato in Ingegneria. Il suo primo romanzo si intitola “Salam, maman” ed è stato pubblicato da Einaudi nel 2006. Grazie a “Salam, maman”, Ziarati ha vinto i premi Giuseppe Berto, Marisa Rusconi, Fortunato Seminara e Rhegium Julii. Nel 2009 arriva “Il meccanico delle rose” e nel 2012 “Quasi due”, tutti scritti in italiano ed editi da Einaudi.
Hamid Ziarati, “Quasi due“, Einaudi, Torino, 2012.
Pagine Internet su Hamid Ziarati: Wikipedia / Scheda Einaudi / Twitter
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