Bellinvia Carlo Gregorio

Omissis

Pubblicato il: 11 Dicembre 2021

Lo sappiamo: ogni libro di poesia è un prisma che sembra diverso per chiunque lo maneggi, un prisma che a rigirarlo fra le mani rivela sempre la sua natura multiforme. Ciò è particolarmente vero per questa bella silloge di Carlo Gregorio Bellinvia, “Omissis”, edita da Arcipelago itaca nel maggio del 2021, che a ogni lettura rivela aspetti diversi e sembra una fluttuazione segreta nelle regioni di un linguaggio, che se inesprime l’esprimibile, come nella felice formula di Roland Barthes, riesce nella difficile impresa di far cozzare l’astrazione con la ruvida concretezza delle cose più tangibili. Parlavamo prima di un prisma, questa silloge può essere scavata criticamente da più punti.

Seguo alcune linee di pensiero tracciate nell’efficace sintesi operata nella prefazione da Davide Castiglione che parla di un trauma fondante e originario. Questo trauma non viene mai realmente svelato, realizzando così l’omissis del titolo, si accenna, però, a una grave malattia polmonare da cui Bellinvia è guarito, scontando così la maledizione di tutti i sopravvissuti. Questa “colpa” è il centro da cui si irradiano versi come questi: “e avverto una colpa/ grande. Non so gli altri fossili/ viventi qui, ma io mi sento/ l’impostore, la fortuna/ ha salvato un impostore.”

Inutile cercare di situare questa colpa nel rassicurante alveo di un sistema di valori che la codifichi e quindi la neutralizzi, essa rimane come evento e non diventa un contenuto logico di una rappresentazione coerente. Il poeta non dice mai tutto e soprattutto non spiega. Fra un verso e l’altro l’omissis di una vastità esperienziale cui si può solo accennare. C’è dunque una colpa, essere vivi forse? Essere sopravvissuti sicuramente.

La poesia non è un sistema logico, ammonisce Fondane, e Bellinvia lo sa bene, operando in quelle zone del linguaggio che sembrano sfuggire a quello che Flavio Ermini chiama “dispotismo del significato”. Le parole di Bellinvia sperimentano vertigini semantiche, aprono orizzonti di una stranita polifonia.
Prendiamo la poesia scorci, che ha in esergo questi versi di Cristina Annino:

“Dove mettono/ l’amore gli altri ? Che non sia visibile, un oggetto, / ad esempio, mi terrorizza.”

Qui il poeta riproduce una conversazione per frammenti casuali, con efficacia e facendo prevalere sempre la logica dell’omissis: qualcosa manca. È stato Eliot a ricordarci che le poesie sono spesso rielaborazioni di conversazioni e che il poeta deve sempre esprimessi indirettamente, in maniera obliqua, potremmo dire.

In Bellinvia così si avverte il desiderio di oggettivare sempre, anche questa mancanza, di rendere l’astratto tangibile, qui anche le parole diventano cose e i nomi di persona, cui affidiamo gli evanescenti resti di un’identità forse perduta, sono come dei manici cui ci aggrappiamo per non finire nel nulla.

C’è un altro tema sottotraccia: la colpa t’isola, e isolandoti ti getta nel sacro, così come lo leggono filosofi come Agamben e più ancora Girard con la sua lettura antropologica del capro espiatorio. Qui il tema è introdotto da una citazione di Sesto Pompeo Festo. L’uomo sacro, colui che è separato dal gruppo sociale di appartenenza, lo è in virtù di un delitto, che lo isola, lo esclude, lo separa dagli altri. Tema vastissimo e inesauribile, che Bellinvia tratta nella maniera carsica propria della poesia più riuscita.

Sentiamo Sesto Pompeo Festo nella conclusione della citazione: “Di qui viene che un uomo malvagio e impuro suole essere chiamato sacro.”

Fra esiti di un felice – e felicemente inquietante – surrealismo, “vidi la smorfia terribile/ del bucato” e un espressionismo memore di certe soluzioni di Gottfried Benn, “Forse l’agnello, /mentre lo sforma la bocca/ dell’orsa”, Bellinvia opera con sicurezza trasognata che gli permette di generare un linguaggio ellittico e allusivo, ricco di fascino, nella consapevolezza della “sacertà terribile /di ogni scrittura” e del suo potere magico. Le cose sono o dovrebbero essere persone, le persone sono cose e come le cose possono essere superate, dismesse, abbandonate

“Simboli si usavano fra di noi, ma oggi
ci raggiungono meglio i collegamenti nudi,
netti. Risultato: tutto funziona di più,
ma niente avvolge la gente . Ecco
perché una come te
rimane ferita e disoccupata,
come i gettoni, più delle cabine.”

Edizione esaminata e brevi note

Carlo Gregorio Bellinvia, Omissis, prefazione Davide Castiglione, Arcipelago itaca edizioni, maggio 2021

Carlo Gregorio Bellinvia è nato a Reggio Calabria nel 1985 e vive a Livorno. Ha pubblicato “Per i vicoli, macellai di piccioni e spettri di carta”(2006) , per Cicorivolta edizioni, “Il lastrico”(2014) per LietoColle edizioni e “Domotica del labirinto”(2020) per Kipple Officina Libraria.

La Balena Bianca
Poetarum silva
Nazione indiana

Lankenauta, dicembre 2021, Ettore Fobo