García Freire Natalia

Questo mondo non ci appartiene

Pubblicato il: 26 Aprile 2022

Nuestra piel muerta” è divenuto, tradotto in italiano e pubblicato da SUR, “Questo mondo non ci appartiene“. Avrei preferito, da lettrice, che si fosse mantenuto il titolo originale: “La nostra pelle morta“: più diretto, più incisivo, più affine al senso dell’opera. Un’opera prima, tra l’altro. Scritta da Natalia García Freire, giovane autrice ecuadoriana che, evidentemente, possiede un talento notevole. Un romanzo dalle sfumature gotiche, dai toni armoniosi ma striduli: c’è dell’orrido, del grottesco, dell’onirico oltre a un’imponente valenza lirica. La regola è quella di ricondurre tutto a un principio inevitabile e necessario: ciò vive dovrà morire e ciò che muore dovrà decomporsi, marcire, disfarsi, per lo più sotto il vorace lavorio di insetti e microrganismi, veri padroni del pianeta, che tramutano materia ormai morta in fondamento per altra vita.

È ciò che ha subito il corpo del padre di Lucas sepolto in giardino. Una semplice fossa scavata nella terra utile ad accogliere un uomo senza vita: “il suo corpo è sepolto in questo giardino, ciò che resta del giardino di mia madre, circondato da lumache, ragni cammello, lombrichi, formiche, coleotteri e cocciniglie. Forse vicino al suo viso ormai mezzo decomposto si muove anche qualche scorpione e, a guardarli insieme, ricordano i disegni sulle tombe dei faraoni egizi“. Lucas torna nella casa della sua infanzia dopo esserne stato scacciato anni prima. Il libro della García Freire altro non è che una lunghissima lettera-flusso-di-coscienza rivolta da un figlio al padre morto. C’è un passato e c’è un presente: entrambi guastati da figure aliene giunte da chissà dove come fossero un flagello.

In questo romanzo non ci sono definizioni spaziali né temporali: non sappiamo dove né quando. Il luogo potrebbe essere ovunque, il tempo potrebbe essere sempre. C’è una casa e c’era una famiglia. Una madre innamorata dei fiori e dell’inarrestabile ciclo delle stagioni, un padre preso dai suoi affari e dalle sue terre e un figlio che è l’anima narrante. Lucas ha sempre amato la vita del sottosuolo, incantato dai segreti oscuri e impercettibili di un tramestio eterno condotto da minuscoli corpi, zampette, ali, bocche e antenne. “«Per la barba del Signore, Lucas! Non è importante», mi dicevi quando mi mettevo a raccontare qualche storia sugli insetti che abitavano nel giardino di mia madre: bruchi che avanzavano uno dietro l’altro come in processione divorando le erbacce, mantidi religiose che catturavano colibrì e li inghiottivano con eleganza, formiche rosse che si alleavano per costruire scialuppe e attraversare piccole pozze d’acqua“. Josefina è la madre alla quale è stato sottratto tutto ciò a cui teneva, rinchiusa in una stanza e lasciata impazzire.

Lo spazio vitale è preso anche dalle balie, Noah, Mara e Sarai, figure che si muovono e appaiono come fossero un coro. Una notte, mentre tutte le mucche nella stalla muggiscono in maniera insopportabile, giungono due stranieri a cavallo. Nessuno sa chi siano, si chiamano Felisberto ed Eloy: sporchi, ambigui, enormi, silenziosi. Sono ospiti a cui il padre riserva ogni riguardo che, col tempo, si tramuteranno in padroni. “Tu ti comportavi in modo strano, così gentile e bonario da far paura, soprattutto perché non sembravi interessato a nessuno di noi, sembrava che avessi occhi solo per loro, eri determinato a essere il migliore anfitrione di tutti i tempi. Un anfitrione docile, sottomesso e ingenuo. E non hai più smesso di comportarti così, padre. Da quel momento in poi, hai continuato a farlo. Giorno dopo giorno. Come se stessi aspettando quegli uomini da sempre. Come si aspetta la morte“. E sono proprio Filisberto ed Eloy che Lucas, ormai grande, ritroverà lì dove è cresciuto, nella sua casa.

Questo mondo non ci appartiene” è vertiginoso e ipnotico, raccapricciante e denso, magnetico ed evocativo. Ho rintracciato al suo interno archetipi che riconducono alle leggende dei re usurpati e dei malvagi che continuano impunemente a opprimere e annientare. La vendetta dei figli qui, però, non è richiamata né conseguita. Il ritorno del figlio è un inabissarsi nei ricordi, nella narrazione di una disfatta paterna ma anche morale e umana. In quello che Bobin ha già definito l’ “infinitamente piccolo” Lucas riesce a rintracciare il senso da assegnare al suo posto nel mondo, un mondo che, di certo, non appartiene affatto agli uomini che, pure, si illudono di possederlo. “Quando dormiamo, gli insetti escono alla ricerca della loro vita, come dèi che ci appaiono in sogno, ci strisciano accanto e un giorno torneranno a governare il mondo, perché il mondo gli appartiene“.

Edizione esaminata e brevi note

Natalia García Freire è nata a Cuenca (Ecuador) nel 1991. Insegna scrittura creativa alla Universidad del Azuay. Suoi lavori giornalistici sono apparsi su BBC Mundo, Univisión, Letras de Ecuador. Selezionato dal New York Times fra i migliori libri dell’anno, “Questo mondo non ci appartiene” è il suo primo romanzo.

Natalia García Freire, “Questo mondo non ci appartiene“, Edizioni SUR, Roma, 2022. Traduzione di Lara Dalla Vecchia. Titolo originale: “Nuestra piel muerta” (2019).

Pagine Internet su Natalia García Freire: Twitter / Rai Cultura