Manganelli Giorgio

Sommamente invitante è la tastiera

Pubblicato il: 19 Novembre 2023

“Le quarte di copertina di Manganelli, funamboliche aggiunte ai suoi testi, sono quei preziosi marchi, timbri, segnali e segni che rendono i suoi libri inimitabili e unici” (pp.88). Le parole di Lietta Manganelli al termine della nota di lettura a “Sommamente invitante è la tastiera” raccontano al meglio l’approccio che ebbe suo padre, ovviamente non soltanto nello scrivere le quarte di copertina, ma proprio alla sua idea di letteratura come anarchia. Raccolta di quarte di copertina che, soprattutto nel caso di Manganelli, come giustamente sottolinea Mascheroni, nobilitano una particolarissima forma d’arte, “con i suoi pezzi di pura prosa […] così in apparenza sconclusionati, laboriosi e improvvisi” (pp.9).

In “Sommamente invitante è la tastiera” possiamo leggere, con un punto di vista parzialmente diverso, le quarte scritte per i libri altrui e poi quelle per le prime edizioni delle proprie opere. Da un lato leggiamo il consulente editoriale corretto e talvolta spietato, dall’altro il Manganelli che “fa una carneficina assolutamente legittima […] dato che si era sempre definito un pennivendolo e non uno scrittore” (pp.88). “Carneficina” in cui, in tutta evidenza, Giorgio Manganelli deve essersi divertito molto. Basti pensare all’umorismo surreale dispensato a piene mani, ad esempio nella quarta del suo “Sconclusione”: “Con modestia artigianale, si propone di incrementare e diffondere i disturbi mentali fino a sfiorare i sobborghi dell’eroe positivo […] L’opuscolo è stato compilato in ossequio a talune regole retoriche che così si definiscono: discontinuità, contraddizione, lacuna, ridondanza, ripetizione, superfluità e dispersione” (pp.29).

Tutto materiale, come è stato scritto, magari per bibliofili o per lettori esigenti, ma indubbiamente chiunque, con un po’ di gusto e perspicacia, nel leggere “le quarte” manganelliane potrà cogliere la ricchezza del lessico, una ricerca meditata fatta di accostamenti inusitati e, come scrisse Geno Pampaloni, una prosa “che è sempre stata un’orgia di ossimori”. Uno stile che potrebbe lasciare esterrefatti chi non riesca proprio a comprendere il genio letterario e il mistero della letteratura. A riguardo possiamo citare Piero Citati quando nel 1990 scriveva del suo amico Giorgio Manganelli: “Scrive sul modo di comunicare coi morti, sui fantasmi, sui tiranni: invece di correre minacciosamente verso la meta, come un vero trattatista, divaga e perde il filo […] Molti parleranno di insensatezza. Quanto a me, preferisco parlare di contraddizione: e ricordare che l’arte di suscitare, di provocare e di soccombere sono la forza della contraddizione, è il primo segno del genio letterario”.

Insomma, Manganelli dimostra anche in queste brevi quarte di copertina l’essenza del suo essere uno “scalpitante poeta della prosa” (cit. Alfredo Giuliani) che, come ricordava Giulia Niccolai, “poteva divagare all’infinito, compiendo in volo, alti vasti ed eleganti cerchi di meravigliosa scrittura attorno a conclusioni che non venivano mai esplicitamente enunciate”. Poeta scalpitante che però in un qualche modo, di paradosso in paradosso, si rivela osservatore sociale. Basti pensare in “Lunario dell’orfano sannita”: “I vittoriosi divennero difensivi, acquattati, furbi, affamati, orfani; ridanciani, golosi, diffidenti e rintanati; sempre privi di un documento giustificativo della loro esistenza, storicamente strabici, indecorosi e infantili” (pp.24). Quel tanto da meritarsi – da Marco Belpoliti – il titolo di “sociologo apocalittico con allegria e brio. Ride dove ci sarebbe da piangere”.

Del resto quanto siano volutamente e apparentemente insensate le sue quarte di copertina per i suoi libri – altro discorso per i libri altrui come quelli di Toti Scialoja o Nigel Dennis -, ma proprio per questo coinvolgenti, lo dimostra una sorta di confessione dello stesso Manganelli in una intervista di Gabriella Filippini (Gazzetta di Parma, 1987): “Lo sa, mi sono abituato e mi diverto a scrivere i risvolti dei miei libri, perché è un modo per non prendere sul serio il libro, è quasi usarlo come un giocattolo”.

Edizione esaminata e brevi note

Giorgio Manganelli, (Milano 1922 – Roma 1990) è stato uno scrittore e saggista italiano. Fece parte del Gruppo 63. Collaborò al “Corriere della sera” e ad altri quotidiani, raccogliendo poi gli articoli pubblicati nel volume “Improvvisi per macchina da scrivere” (1989). Autore di saggi come “La letteratura come menzogna” (1967), “Angosce di stile” (1981), “Laboriose inezie” (1986), ha scritto anche reportages come “La Cina e altri orienti” (1974). Nelle sue opere narrative, caratterizzate da una scrittura barocca, è rimasto fedele a un’immagine manieristica della letteratura, come costruzione artificiosa di un mondo surreale. Tra i titoli: “Hilarotragoedia” (1964), “Agli dei ulteriori” (1972), “Centuria” (1979, premio Viareggio), “Discorso dell’ombra e dello stemma” (1982), “Tutti gli errori” (1987), “Rumori o voci” (1987), “Encomio del tiranno” (1990).
Postumi sono usciti: “La palude definitiva” ed “Esperimento con l’India” (1992) e “La notte” (1996).

Giorgio Manganelli, “Sommamente invitante è la tastiera”, Graphe.it (collana “Parva”), Roma 2023, pp. 98. Prefazione di Luigi Mascheroni e nota di lettura di Lietta Manganelli

Luca Menichetti. Lankenauta, novembre 2023