Piovene Guido

Lettere di una novizia

Pubblicato il: 27 Ottobre 2009

I personaggi di questo romanzo, sebbene diversi tra loro, hanno un punto comune: tutti ripugnano dal conoscersi a fondo. Ognuno capisce se stesso solo quanto gli occorre; ognuno tiene i suoi pensieri sospesi, fluidi, indecifrati, pronti a mutare secondo la sua convenienza, senza contraddizione né bugia né riforma; ognuno sembra pensare la propria anima non come sua essenzialmente, ma come un altro essere con cui convive, seguendo una regola di diplomazia, traendone di volta in volta o voluttà, o medicina, o perdono”. (Dalla Prefazione dell’Autore)

Storia di una monacazione forzata, “Lettere di una novizia”, edito nel 1941, è il primo romanzo di Piovene, incentrato su una vicenda un po’morbosa, narrata in forma epistolare, cosicché i punti di vista si moltiplicano e la verità non ha un solo aspetto. Possiamo dire che vi sono tante sfaccettature quanti sono i personaggi e ciascuno interpreta la vicenda badando a se stesso, al proprio interesse o a quello dell’istituzione cui appartiene.

La protagonista, Rita Passi, è una ragazzotta della provincia veneta, orfana di padre e allevata dai nonni. La madre, donna ancora giovane e piacente, non mostra particolare interesse per lei, almeno finché non la elegge, a sedici anni, sua confidente sentimentale, dopo averla mandata a studiare dalle monache in convento per deresponsabilizzarsi dalla sua educazione.

Una torbida vicenda d’omicidio complicherà le loro vite e spingerà verso la monacazione definitiva di Rita.

Di sé la ragazza dice: “crescevo docile e passiva e ignorante”, “avevo un’espressione tarda”, il collegio in cui viene educata serve ad allevare ragazze destinate a matrimoni di provincia e che sarebbero state deprezzate da un’eccessiva cultura.

Rita si abitua presto a nascondere i suoi sentimenti dietro l’indifferenza e l’inespressività, sa mentire e ama la sua menzogna fin da ragazzina. Sa essere “docile e fredda”,in monastero continua a credere “Per inerzia, quasi per un eccesso di inappetenza mentale”. (p.23)

Né giocosa, né comunicativa, piuttosto amante della solitudine, si sfoga, come molte coetanee, in un diario, prova un “affetto mortificato per la biancheria ruvida e i caffè-latte annacquati”.(p.25)

Nella sua introduzione Ernestina Pellegrini dice che Rita è l’erede della Religieuse di Diderot, della Monaca di Monza di Manzoni, della Capinera di Verga.

Rita sembra lasciarsi vivere ed essere sempre nel posto sbagliato, sempre incompresa o fraintesa, non adatta alla vita monastica, né a quella con sua madre eppure, con le sue lettere, fa emergere le ipocrisie degli altri personaggi, in primo luogo dei religiosi tutti intenti a difendere se stessi o il buon nome del loro convento.

Attorno a Rita si percepisce un mondo chiuso, ipocrita, avvezzo alla menzogna e mediocre, poco attento al discernimento nella cura delle anime votate alla vita religiosa. Dalla pavida madre superiora ai vari sacerdoti, nessuno sembra preoccuparsi del reale destino della ragazza, ciascuno è teso a perseguire e difendere la propria personale verità, che perciò si esprime nelle varie lettere, come in tante superfici riflettenti.

Neppure la madre, che dovrebbe costituire la figura di riferimento per Rita , ha un rapporto normale con la figlia, ma tutto è viziato da negligenze, fraintendimenti, menzogne, costrizioni. Le scrive Rita, alla fine del libro, in un vano desiderio di pacificazione: “Non ero nata per lottare, ma per essere simile a uno dei fiocchi di neve, che escono dalla nebbia, cadono e si disfanno in un qualsiasi punto di questi prati”. (p.178)

Oltre a quello clericale, è il mondo borghese, perbenista e pigro a circondare Rita, una borghesia di provincia, benestante e dalle consolidate abitudini.

Sullo sfondo, bellissimo, il paesaggio veneto di collina, dolce e velato, descritto da Piovene con note d’affetto. Nebbie, luci, alberi, fiori: “aria veneta, che sembra condurre verso un colore disciolto”. (p.12)

Sembrano immagini uscite da un quadro. “Il paesaggio era triste per un eccesso d’arte, quasi non fosse natura ma quadro”. (p.18)

È un Veneto dimagrito e rozzo, che mostra lo scheletro rustico di questa terra malinconica, dissimulato altrove da colori e luci; i palmizi, le case vi sembrano appoggiati al suolo; solo la nebbia colorata e la luna hanno una triste opulenza”. (p.22)

Lettere di una novizia” è il libro d’esordio di un narratore la cui opera può essere divisa, secondo la Pellegrini, in due tempi netti: i romanzi confessione come questo cui seguiranno “Pietà contro pietà” e “I falsi redentori” e i romanzi metaforici, di alta densità filosofica (“Le Furie”, “Le stelle fredde”, “Verità e menzogna”). Nell’intervallo di quattordici anni si colloca l’intensa attività giornalistica di Piovene, mi auguro più vivace e interessante e soprattutto meno fredda.

Articolo apparso su lankelot.eu nell’ottobre 2009

Edizione esaminata e brevi note

Guido Piovene (Vicenza, 1907 – Londra, 1974), giornalista, scrittore e critico letterario italiano, discendente da antiche famiglie aristocratiche. Esordì pubblicando la raccolta di racconti “La vedova allegra” (Torino, 1931). Si laureò in Filosofia con una tesi sull’Estetica di Vico.

Guido Piovene, “Lettere di una novizia”, Bompiani, Milano 2005. A cura di Ernestina Pellegrini. Collana Romanzi e racconti. Tascabili Bompiani, 388.

Prima edizione: 1941.

Adattamento cinematografico: “Lettere di una novizia” di Alberto Lattuada, 1960.

Approfondimento in rete: Luigi De Bellis / Corriere della Sera / Compagnia del Giardinaggio / Via delle Belle Donne / Citazioni