Balducci Ernesto

Francesco d’Assisi

Pubblicato il: 18 Ottobre 2009

Non è facile raccontare Francesco d’Assisi senza farne un’icona devozionale e senza privarlo della sua potente carica innovativa, non solo per gli anni in cui è vissuto, ma per gli uomini di tutti i tempi.

Padre Ernesto Balducci evidenzia il forte spirito profetico che animò il povero d’Assisi, che diventa così non un uomo del passato, ma un uomo del futuro, capace di prospettare in tutti gli atti della sua vita un’immagine completa di uomo nuovo, in perfetto stile evangelico.

Francesco applicò il vangelo sine glossa, era nota infatti la sua diffidenza verso i glossatori, che facevano dire alla parola di Dio quel che volevano.

Balducci ripercorre, con ampie citazioni delle Fonti Francescane, la vita di Francesco contestualizzandola nella storia e nella cultura del suo tempo e offrendo una lettura antropologica delle sue vicende.

In Francesco trova voce soprattutto quello spirito profetico che, da sempre, ha circolato nella chiesa dandole slanci per un rinnovamento. La profezia ha due parole essenziali: la parola di condanna di questo mondo e la parola di annuncio del mondo che deve venire.

La profezia trova una realizzazione, secondo la fede cristiana e secondo Francesco, che sempre a questa fede appartenne, nella croce di Cristo, luogo generativo della vera sapienza. Francesco si colloca nell’ordine profetico, cioè sa anticipare una condizione ultima dell’uomo, egli non fa perciò parte solo del passato, ma del futuro, è quindi in perfetta sintonia con il messia nel quale ha creduto.

La verità è che la profezia di Francesco sovrasta infinitamente il modo d’essere e di pensare della chiesa, è anzi il principio critico da cui essa, per suo statuto, è messa di continuo sotto giudizio. Non dico chiesa per dire i singoli cristiani, dico chiesa per dire l’istituzione che trae il titolo di presenza proprio dalla novità di vita annunziata da Gesù di Nazareth, ma che nel suo compito di incarnare quella novità dentro i quadri della cultura mondana (e la cultura è sempre mondana anche quando, anzi soprattutto quando si tratta della religio societatis) finisce col diventare più o meno subalterna ai principi regolativi della cultura, al punto da perdere, in certi casi, il suo profilo profetico per rientrare, senza scarti, nella compagine delle istituzioni che fanno la storia”. (pp.154-155)

La croce, che sul piano umano razionale è un fallimento, diventa una vittoria sul piano profetico. Allo stesso modo l’istituzionalizzazione progressiva cui andò incontro l’Ordine francescano, allontanandosi dal progetto originario del santo addirittura mentre questi era ancora in vita, lo portò a dimettersi da ministro generale dell’Ordine (29 settembre 1220) e a vivere per sei anni un autentico periodo di passione. La sua contraddizione può esser così espressa: la forma di vita intrapresa agli inizi, suggerita da Dio stesso, era possibile, ma secondo i fatti e il parere degli amici più illuminati, era impossibile. La risposta si colloca nell’ambito della fede.

E la fede è certezza di cose sperate, è rimettere la contraddizione tra le certezze interiori e la cruda realtà dei fatti alla soluzione nascosta nel futuro, offrendo totalmente se stesso perché questo avvenga”. (p.158)

Il 14 settembre 1224 alla Verna Francesco riceve le Stimmate, “l’ultimo sigillo”, che segna la condivisione totale con Cristo e il suo ritrarsi in una dimensione libera dalla storia degli uomini, una dimensione profetica.

Gli spunti proposti da Balducci nel rivisitare la figura del santo sono molti e ricchi, Francesco offre all’uomo di fine millennio un nuovo modo di vivere e di relazionarsi col creato, con le risorse del pianeta, con i poveri del mondo, con gli altri popoli. Valori come la pace, la non violenza, il dialogo ecumenico, la condivisione dei beni furono vissuti da Francesco in modo concreto e totale, in anni in cui la chiesa era una potenza teocratica, organizzatrice di crociate contro i saraceni.

Balducci analizza e attualizza la vita di Francesco, trattando argomenti come il rapporto di Francesco con le donne (in primis santa Chiara e Giacoma dei Sette Soli, detta “frate Jacopa), con i poveri, con i libri e la cultura, con la musica e gli animali, la nascita del Cantico delle creature.

Alcuni episodi molto famosi della vita di Francesco acquistano nuova luce, un esempio per tutti: quello della conversione del lupo di Gubbio, narrato nei Fioretti,21. Balducci riferisce che alcuni studiosi pensano al lupo di Gubbio come allegoria di un uomo potente e perverso che terrorizzava la città.

Il racconto ha l’andamento di una parabola, Francesco dice al lupo che è un ladro e un assassino, ma “io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male”. Il lupo si esprime muovendo il capo e la zampa, il dialogo, iniziato in privato, finisce con un patto sociale pubblico. Il popolo, che non è del tutto senza responsabilità nelle malefatte della belva, promette di dare al lupo il nutrimento. La vera pace richiede che si riconoscano anche le ragioni del nemico, per quanto perverso.

Il senso della fiaba è chiaro: convertire un nemico vuol dire anche convertirsi, vuol dire che la pace non sta nello spartire da un lato la ragione e dall’altra il torto, vuol dire superare le ragioni unilaterali che alimentano il conflitto e accogliere la ragione comune su cui basare la fraterna convivenza”. (p.80)

La pace auspicata e cercata da Francesco non ha quindi una valenza intimista, ma investe la vita pubblica.

Un altro episodio è quello, avvenuto nel 1205, del bacio al lebbroso.

Il lebbroso è l’emblema dell’escluso, di colui che è posto, anche fisicamente, fuori dalla città, è “l’uomo crocifisso alla propria condizione negativa di relitto biologico condannato all’annientamento” (p.21).

Agli inizi del 1200 la lebbra era a apparsa con violenza e le città si difendevano rinchiudendo i malati nei lazzaretti ed emarginandoli.

Prevaleva l’ottica del profitto e, se già il povero era visto come un fallito nella lotta per la vita e perciò meritevole di esser tenuto ai margini, il lebbroso era il povero dei poveri. Di fronte a lui la città nascente rivela il suo animo: l’esaltazione del successo e il rifiuto di chi, per colpa o per sorte, non è competitivo.

La società scarta l’uomo misero così come la chiesa teocratica ripudia il crocifisso. Non è un caso se alle origini della conversione di Francesco ci siano il servizio ai lebbrosi, l’incontro col crocifisso di San Damiano, la sua decisione di restaurare, su invito del crocifisso, una chiesina ormai cadente, anch’essa, insomma, una chiesa lebbrosa in confronto alle splendide chiese dentro le mura della città”.(p.21)

Uscire dal mondo della città per Francesco significò sottrarsi a quella cultura, ma anche cercare una nuova forma di vita, che ha come prima norma il servizio dell’uomo all’uomo, specie a quello più povero. Il servizio ai lebbrosi non fu per Francesco un eroico servizio di carità, ma la pratica che rivelava il vero fondamento del rapporto tra l’uomo e l’uomo e dunque il rapporto tra uomo e Dio.

Proporre una società di fratelli, di cui i primi sono i lebbrosi, da Francesco chiamati “fratelli cristiani”, puntare a un ideale di povertà estrema, significa anche voler dare un’idea diversa di chiesa come comunità di uguali, un voler ricostituire il popolo di Dio a partire dai presupposti evangelici che fanno dei poveri non i destinatari della carità, ma il fondamento della chiesa stessa.

Il modello è la chiesa descritta in Atti 4,32-37 e Francesco cerca il rinnovamento dal di dentro, conciliando la fedeltà all’istituzione (volle far approvare la regola dal papa e sempre riconobbe l’autorità di quest’ultimo) e la fedeltà a se stesso.

Le parole rivoltegli dal crocifisso di san Damiano:”Va, ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!” certamente non si rivolgevano solo all’edificio diroccato tra le colline di Assisi, ma a un’opera ben più notevole.

Una chiesa povera, una chiesa convivale, una chiesa come comunità fraterna in cui chi comanda serve: è viva la nostalgia per una chiesa convito tra poveri che si scambiano il pane ricevuto per carità. Francesco risveglia nella chiesa la memoria della mensa eucaristica che è il suo modello e che era stata sommersa nelle forme liturgiche.

Lungi dall’essere esaurita, la figura di Francesco risplende di luce sempre nuova e continua a porre interrogativi all’uomo moderno.

Il libro, oltre a rifarsi ampiamente alle Fonti Francescane citandole, contiene una cronistoria e un’antologia molto utili.

Articolo apparso su lankelot.eu nell’ottobre 2009

Edizione esaminata e brevi note

 Padre Ernesto Balducci (Santa Fiora-Monte Amiata 6 agosto 1922- 25 aprile 1992) sacerdote italiano. Ernesto Balducci fu una delle personalità di maggior spicco nella cultura del mondo cattolico italiano nel periodo che accompagnò e seguì il Concilio Vaticano II. Fu legato a Giorgio La Pira, David Maria Turoldo, Lorenzo Milani, Danilo Cubattoli, Silvano Piovanelli, Mario Gozzini, Bruno Borghi, Raffaele Bensi .

Ernesto Balducci, Francesco d’Assisi, Firenze, Giunti 2004.

Links su Balducci:

http://www.testimonianzeonline.com/pagina.asp?IDProdotto=260

http://www.fondazionebalducci.it/

http://www.giovaniemissione.it/pacennmani/pnmoperpax.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Ernesto_Balducci

Su san Francesco:http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_d%27Assisi

http://it.wikipedia.org/wiki/Chiara_d%27Assisi