Quando Nuti era sulla ribalta. Quando era, probabilmente, il comico più geniale dell’italico panorama cinematografico. Quando eravamo alla fine degli Ottanta. Ecco quando. Quando Caruso Pascoski arrivò nelle sale e fu tra i campioni d’incasso della stagione. Vogliamo fare un parallelo con i campioni comici del cinema attuale? Con i Boldi, De Sica e Salemme? Con gli Aldo, Giovanni e Giacomo? Con l’intermittente Verdone (che ultimamente azzecca un film su tre, quando va bene – e che all’epoca in cui furoreggiava Nuti era notevolmente più ispirato). Domande retoriche, come avrete ben compreso, perché il Nuti che amavamo, oramai perduto e sperduto, perlopiù dimenticato (da tutti, soprattutto dall’industria di celluloide: provate a trovare un dvd di una sua opera, se ci riuscite), è proprio qui, stralunato e sospeso in un intervallo del tempo, intrappolato nei panni di Caruso.
Caruso Pascoski, di padre polacco, innamorato da sempre della sua bella Giulia: Giulia non lo sa… ma questo amore mio… asciuga ogni mia lacrima… sostiene la mia voce. Sono parole d’amore, semplici, finanche malinconiche perché Giulia sembra perduta, altrove. E non c’è spiegazione, solo silenzi e ubriachezza molesta. Eh… Caruso, Caruso… desideroso d’amore, di baci: eccolo ritornare ai ricordi d’infanzia e Giulia è sempre con lui, in spiaggia, a scuola, nei pensieri solitari, intimi e (im)puri: “toccati, toccati…” – dice la mamma. Ma arriva la rivoluzione sessuale e Caruso non si tocca più, ma come consumare un amore tanto agognato, fin dalla primissima infanzia? – (“Caruso, strappagli le mutande!”). I baci, dicevamo; certo bisogna esser coscienti quando li si dà, meglio esser lucidi, onde evitare il fermo di polizia. Caruso non comprende. Non capisce perché un amore tanto grande par finire nel silenzio. E poi arrivano le risposte, tanto attese quanto impreviste: pare che sia un malato di sesso, il Nostro, e poi Giulia ama un altro. Giulia ama un altro? Com’è possibile? Tocca farsene una ragione, ma… ma Giulia non lo sa… ma questo amore mio…
Caruso è uno psicanalista, sempre alle prese con personaggi fuori dalle righe, per usare un eufemismo. Tra di essi, con sua sorpresa, vi è anche il nuovo fidanzato di Giulia, un gay potenziale e inconsapevole, latente, uno che ha un incubo ricorrente: far l’amore con Marx e Lenin, simultaneamente. Dopo aver tentato il gesto folle ed estremo, la minaccia ai due con una pistola (giocattolo), comincia a rifarsi una vita, passando da una donna all’altra. Ma Giulia ritorna, improvvisamente, sotto forma di amante clandestina. Caruso è felice, se la vive bene la storia nonostante gli improbabili luoghi di incontro scelti da Giulia per consumare l’amore al riparo. Al riparo da chi? E perché? Ma dall’attuale uomo di Giulia, evidentemente, tanto fragile da non accettare la sua natura omosessuale, pertanto bisognoso di protezione. La donna non se la sente di abbandonarlo e allora Caruso si vede costretto ad un ultimo, inatteso sacrificio per coronare il sogno d’amore cullato per una vita intera: sostituirsi a Marx e Lenin… nella realtà!
Caruso Pascoski, probabilmente il maggior picco raggiunto dal cinema comico-sentimentale nutiano, è una farsa che muove dall’inizio alla fine su un registro che più surreale potrebbe essere. Nuti dà il meglio di sé, come attore e come regista, portando a compimento una messa in scena in cui i personaggi sono splendidamente calati in un contesto semplice e lineare, alterato brillantemente da un incipit divertentissimo nel quale in sette minuti sette ci viene raccontata, in forma surreale, la crescita del suo personaggio (dall’infanzia al presente) e le tappe dell’evoluzione dell’amore tra Giulia e Caruso. Il genio di Nuti sta nel sintetizzare molti anni in poche, evocative immagini in cui i volti parlano più delle parole e in cui i personaggi, pur sulla ribalta per pochi secondi (è il caso della mamma e del babbo di Caruso), restano impressi nell’immaginario dello spettatore grazie a dialoghi folgoranti (quel “toccati, toccati” è impagabile) e inquadrature che trattengono eloquenti significati (altrettanto impagabile è il volto del babbo con in mano l’Unità). Sette minuti che confermarono Nuti come mago della comunicazione visiva, talmente bravo ed ammiccante da coinvolgere lo spettatore senza artifici di sorta; sette minuti che ci introducono una realtà completamente immersa nella farsa e nei giochi surreali (il bacino ai camerieri e alle forze dell’ordine), tanto da non creare strappi con l’alterazione narrativa proposta dall’incipit. E la storia, pur stabilizzandosi successivamente, non perde mai i connotati che manifesta al principio. La magia di Nuti sta proprio in quest’armonia impossibile che riesce a raggiungere, in questa leggerezza che riesce a trasmettere pur giocando con la fantasia più sfrenata. È una pantomima della realtà, tanto vicina alla realtà, pur al massimo livello caricaturale, da trasmettere una percezione di verosimiglianza che, lasciatemelo dire, nessun comico italiano dell’ultimo trentennio – a parte il compianto Massimo Troisi – è riuscito a rappresentare con tanta efficacia. I dialoghi sono spesso esilaranti senza essere, badate bene, mai volgari. Il volto di Nuti e i suoi tempi comici fanno il resto, amplificando la portata della verve della scrittura: le dissertazioni sugli insaccati, i duetti con Petrocelli, quando il comico toscano fa il finto tonto, sono momenti di cinema che si iscrivono a buon diritto nell’olimpo dell’italica commedia. Ma di situazioni esilaranti ce ne sono a iosa, potrei srotolarvi una lista lunga quasi tutto il film, dall’incontro col bimbo armato (sempre di pistola giocattolo si tratta), aggressivo e sboccato, ai segreti incontri pomeridiani nei bagni per signore di un cinema, agli scambi di battute col giudice o col poliziotto. Il campionario dell’assurdo, per cui immagino ogni spettatore si sia piegato in due dal ridere, sfila comunque nello studio di Caruso, psicanalista stressato da personaggi caricaturali che simboleggiano le psicosi del mondo moderno. Dalla ninfomane obesa al manager in tacchi a spillo, dal martire con croce a seguito alla posseduta dalla spirito della Monroe, fino all’alano che si sdraia sul lettino sono tutti personaggi che servono a spiegare la duplice ottica in cui Caruso assorbe la vita. La vita pubblica: la follia del fuori. La vita privata: Giulia, l’amore. Due mondi netti e separati, in cui la distinzione inconscia che vive Caruso, trasformata in cesura reale e opposizione tra i due territori diventa un limite al suo rapporto.
Caruso è un personaggio improbabile, irreale ma verosimile perché riesce a incarnare ciò che tutti vorremmo essere, pur inconsciamente consapevoli di andare incontro a un più che possibile fallimento . Vorremmo tutti separare vita privata e pubblica, ma è cosa pressoché impossibile, essendo esse – psichicamente – interdipendenti. Per Caruso è la prassi (è un amante instancabile, fa l’amore tutti i giorni per 5-6 volte al dì, con punte di 8 nei periodi di vacanza), e ciò gli fa perdere Giulia, in un primo momento. L’universo poetico di Nuti, presente in diversa misura in tutte le sue opere, è un luogo immaginifico che recupera il sogno infantile, il mito dell’amore assoluto come presenza, contatto, simbiosi, idea che trascende i grigiori del mondo. E il modo per cantarlo nella maniera più limpida è proprio la commedia sentimentale che viaggia su tonalità surreali. Perché Giulia non lo sa… ma non sarà cosi per sempre.
Il dolce, melodico e sottilmente malinconico pezzo (Giulia non lo sa, appunto, scritto e interpretato da Nuti stesso) che si insinua leggero dopo la presa di coscienza della distanza è trasportato per esteso da Nuti nel bel mezzo della narrazione (scelta coraggiosa e inusuale, visto il genere e il momento scelto) e funziona da anello di congiunzione tra la prima e la seconda parte dell’opera. Non è una scelta buttata lì a caso né una vena narcisistica del pur egocentrico comico toscano, ma uno stacco che ci permette di interiorizzare la malinconia di fondo del cinema nutiano, mai assente nelle sue opere. La pellicola chiude invece su note scanzonate, con la divertente Puppe a pera.
Considerato a torto – a una lettura davvero superficiale – un misogino, per opere come quella in questione (la maggiore critica in questo senso arrivò con una pellicola successiva, Donne con le gonne), Nuti ha al contrario il merito di evidenziare il disagio dell’uomo post sessantottino cui il precedente retroterra storico-culturale viene messo in discussione dalle spinte dell’emancipazione socio-culturale femminile. Caruso Pascoski è, da questo punto di vista, un’opera emblematica, un percorso iniziatico (una storia di formazione sentimentale, pur trattata con i toni leggeri della commedia) complesso per ridefinire un modello di coppia in cui la donna diventa soggetto centrale. Altro che misoginia. Clarissa Burt, doppiata da Simona Izzo, pur non essendo al livello di notorietà delle attrici co-protagoniste che l’ hanno preceduta nelle opere dell’attore toscano (la De Sio e la Muti) restituisce uno sguardo smarrito, quasi indifeso, in cerca di sicurezza: è fragile e indecisa ma è al tempo stesso colei che detta i tempi e decide le modalità del rapporto di coppia. I caratteristi sono azzecati come al solito, folgoranti anche in brevissime apparizioni (è il caso di un indiavolato Carlo Monni). Nuti è Nuti, qui a briglia più sciolta che mai, emblema ed evocazione dell’uomo fanciullescamente perso nell’idea e nel sogno, nel rincorrere l’unico motivo per il quale, ai suoi occhi, vale la pena lasciar cadere gli ingombranti orpelli posti dall’io: la donna amata. Dalla farsa, come sempre, traspare il fiabesco proprio al cinema nutiano. L’amore, pertanto, può essere rappresentato solo cosi, in modo surreale. Dolcemente malinconico.
Federico Magi, novembre 2007.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Francesco Nuti. Soggetto e sceneggiatura: Francesco Nuti, Giovanni Veronesi, David Grieco. Direttore della fotografia: Gianlorenzo Battaglia. Montaggio: Sergio Montanari. Interpreti principali: Francesco Nuti, Clarissa Burt, Ricky Tognazzi, Novello Novelli, Alessandro Petrocelli, Giovanni Nannini, Carlo Monni, Maurizio Frittelli, Roberto Angelucci. Musica originale: Giovanni Nuti. Produzione: Unione Cinematografica, Cecchi Gori Group Tiger Cinematografica. Origine: Italia, 1988. Durata: 102 minuti.
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