Franchi Gianfranco

Radiohead. A Kid

Pubblicato il: 21 Gennaio 2011

Ho esitato a lungo prima di prendere carta e penna e buttare giù alcune impressioni sul libro di Gianfranco Franchi. Tutt’altro che digiuno di musica pop pock, non sono però un espertissimo nel ramo e – con qualche ragione – ho voluto approfondire un po’ di temi prima di sparare parole in libertà; tanto più che proprio in relazione al rapporto musica e testi, tempo fa mi erano passate sotto gli occhi delle interessantissime riflessioni, magari riferite al genere “accademico”, ma del tutto pertinenti anche per analisi di canzoni rock. Non ho recuperato quasi nulla, ma col passare dei mesi, nel leggere – con una punta di masochismo – le cronache musicali di quotidiani e riviste, mi sono definitivamente convinto che “A Kid” non è soltanto un bel libro perché ben scritto, da un vero scrittore e non da un dilettante allo sbaraglio, ma soprattutto è opera che si distingue nettamente da quanto è usuale trovare tra gli scaffali dedicati al pop rock. L’ho già detto e ancora lo dirò che purtroppo, almeno nel panorama dei media italiani, spesso più che di critica musicale si dovrebbe parlare di cronaca di avvenimenti musicali e gossip: questo troviamo nei quotidiani, probabilmente infettati dal devastante virus V. Mollica (in genere colpisce gli intestini).

Il caso di “A Kid” è l’esatto contrario, seppur incentrato dal lato dell’analisi testuale più che da quella strettamente musicale: l’impegno di G. Franchi è stato capillare, preciso al limite del maniacale. Tanto è bastato per farne un libro sui generis e quindi sicuramente gradito sia ai fans sfegatati dei Radiohead, sia a coloro che – a prescindere dai gusti musicali – amano leggere qualcosa che si discosti dalle usuali banalità. Banale è infatti l’unica parola che non mi aspetto di leggere se mai qualcuno vorrà criticare l’impostazione del libro o le idee dell’autore. L’analisi testuale delle canzoni dei Radiohead (inclusi inedite e b-side), album per album, consentono a G. Franchi, accanito nell’uso delle fonti web e cartacee, di scovare riferimenti letterari sorprendenti: Douglas Adams, Thomas Pynchon, Lewis Carrol, George Orwell, T.S. Eliot, Kurt Vonnegut, Goethe, Dante, Matthew Barrie, Jonathan Swift e via dicendo. E inoltre proprio questa analisi testuale precisa e completa, grazie ai continui rimandi da autore ad autore, accompagnata da una altrettanto capillare analisi della vita e della rassegna stampa sul leader dei Radiohead, contribuisce a scardinare l’immagine di un Thom Yorke malinconico, remissivo, “di un freak depresso e notturno, isolato a abbandonato a se stesso”. Ne scaturisce invece un personaggio combattivo, per niente incline ai compromessi, pure granitico antimperialista, che ha saputo giocare con abilità su un registro ambiguo: da un lato  i fans più superficiali e dall’altro gli intellettuali del suo stampo che lo potranno così individuare per quello che realmente è; ovvero quel “trickster” spesso citato da Franchi nelle sue pagine di felice dissezione testuale e musicale. Non so se “dissezione” sia espressione adatta per definire la precisione filologica di un autore che comunque in questa sua opera ha voluto proporre anche un omaggio all’arte dei Radiohead e ha voluto così diffondere il verbo ad un pubblico ancora inconsapevole. Sicuramente la devozione di Gianfranco Franchi per uno dei suoi gruppi rock preferiti non è tale da abdicare al suo ruolo di critico: quando c’è da prendere le distanze da qualche svarione o semplicemente da esprimere il disappunto per cadute di stile di Yorke e compagnia, Franchi lo fa senza esitazioni. Prendiamo ad esempio “Faust Arp.”: “Chi si loda si sbroda, ma lasciamo stare: il concetto è emerso; per via della stravagante tecnica di scrittura di Yorke, a volte le eccessive riscritture delle lyrics snaturano e scarnificano il progetto iniziale, confondendo senso e significati e disorientando il lettore [..] Non è questione di essere impietosi, è questione di onestà. Magari Yorke si sta curando i nervi in questo modo: certo non sta pubblicando letteratura, né pop cantautoriale di livello. Non sempre e sicuramente non in questo caso” (pag. 386-387).

Ci si rende conto, senza bisogno di averne conferma leggendo l’introduzione e le esplicite ammissioni di Franchi, che i riferimenti al “trickster”, confermati pagina dopo pagina, sono frutto di una ricerca sorprendente per lo stesso autore, che proprio non si immaginava nel corso dei mesi di trovarsi tra le mani tutto quel materiale spiazzante. Lo stupore e l’entusiasmo di Franchi, tradotto con abile piglio di letterato (si veda il suo stile, come riesce a collegare capitolo e capitolo), sarà anche quello del lettore più consapevole e dell’ascoltatore predisposto ad andare oltre le consuete ovvietà mainstream. Fermo restando – e qui torno alla mia iniziale idea del rapporto musica e testo – che come scrive lo stesso G. Franchi: “Solo la musica conta. Le parole possono essere fraintese e confuse, perché qualcosa finisce sempre lost in translation. La musica, invece, non va tradotta. Va amata. Sempre”.

Edizione esaminata e brevi note

Gianfranco Franchi, “Lankelot” (Trieste, 9 gennaio 1978). Ha pubblicato narrativa: “Disorder” (Il Foglio Letterario, 2006), “Pagano” (Il Foglio Letterario, 2007), “Monteverde” (Castelvecchi, 2009), poesia: “L’inadempienza” (Il Foglio Letterario, 2008). Ha curato la plaquette “Lettere alle tre amiche” di Scipio Slataper (Alet, 2007) e l’audiolibro “L’altro viaggio in Italia. Dal Cinquecento al Duemila” (Il Narratore, metà luglio 2009).

Gianfranco Franchi, “Radiohead. A Kid. Testi commentati”, Arcana, Roma, 2009.

Luca Menichetti   –   gennaio 2011 per Lankelot.eu