“Ad Abacrasta, di vecchiaia non muore mai nessuno, l’agonia non ha fottuto mai un cristiano. Tutti gli uomini, arrivati a una certa età, fiutando la fine imminente, si slegano i calzoni come per andare a fare i bisogni, si slacciano la cinghia e se la legano al collo. Le donne usano la fune. Qualcuno si spara, si svena, si annega, ma pochi, molto pochi, rispetto agli impiccati. Nelle tanche di Abacrasta non c’è albero che non sia diventato una croce“. Il nome di Abacrasta è tristemente noto nei villaggi della Barbagia, Abacrasta è chiamato da tutti “il paese delle cinghie“. La gente muore solo seguendo il proprio arbitrio. Si sa che c’è una voce che arriva e dice “Ajò! Preparati, che il tuo tempo è scaduto!” e poco dopo chi l’ha sentita si ritrova a penzolare senza vita da una trave o da un ramo. A raccontarci le storie dei suicidi di Abacrasta è Battista Graminzone, “pensionato, una volta ufficiale dello Stato civile del comune di Abacrasta“. A lui il compito di compilare per anni gli atti di morte della gente di Abacastra e a lui il compito di narrarci le vicende di chi ha scelto di seguire quella voce, almeno fino al giorno in cui al villaggio è arrivata Redenta Tiria, una donna cieca e scalza, una sorta di Madonna vestita da strega venuta a redimere chi si sta preparando a morire.
Battista, detto Batti, di storie ne racconta parecchie: una per ogni capitolo, una per ogni suicidio. Il primo cadavere che Batti ha visto in vita sua è stato quello di suo nonno Menelau Graminzone, ritrovato a penzolare con le orecchie rose dai topi al ramo di una quercia. E come mannoi Graminzone, Batti ne ha conosciuti altri e come gli altri, anche lui sa che prima o poi gli toccherà sentire la voce che tutti sentono. Le storie dei personaggi di Abacastra finiti come sono finiti si susseguono grazie ai ricordi e alla voce di Battista. Dalla vicenda di Pascale Prunizza, un ragazzo con la passione per i cavalli selvaggi poco più grande di Batti che invece di fare i compiti di francese gli ha insegnato a fumare e a bere, a quella Bernardu Solitariu, così chiamato perché pare che quando era nato lui in tutta la Sardegna non era nato nessun altro. Da quella di Beneitta Trunzone, che non voleva fare la fine della capinera, a quella di Genuario Candela, che nella sua bottega aveva cucito le cinture che in molti usavano per farsi il lavoretto che sappiamo. La prima parte del libro va avanti in questo modo. E’ nella seconda che appare Redenta Tiria ed è con lei che gli aspiranti suicidi vengono salvati prima di dare retta alla voce.
Nessuno sa chi sia Redenta Tiria. Nessuno sa da dove arrivi. Appare dal nulla un giorno come tanti e va alla ricerca di chi deve strappare dalle grinfie della morte. Una donna che non vede ma riconosce chiunque, una donna che porta con sé la magia insieme al miracolo, un miscuglio di sapienza e salvezza che pare provenire da leggende antiche, quelle in cui paganesimo e cristianesimo riescono ad amalgamarsi con facilità e armonia. Nelle storie di Niffoi, qui come altrove, di suggestioni arrivate da fiabe lontane sembrano essercene parecchie. Anche in questo suo libro, il primo scelto e pubblicato da Calasso per Adelphi, si percepisce la potenza del legame che lo scrittore di Orani ha con la sua terra e con i racconti che questa terra genera da sempre. Ogni personaggio, e di personaggi ne “La leggenda di Redenta Tiria” ce ne sono molti, è uno scrigno nel quale sono racchiuse sempre una vita e un’avventura. Tutte le esistenze, anche quelle più umili e selvagge, possono diventare materia letteraria e ciò accade nel momento in cui la vita si fa favola attraverso il dono della narrazione.
La Sardegna è nei nomi dei luoghi e delle persone, è nelle ombre degli ovili e nelle rughe dei pastori, è nel sapere di vecchie che sognano quel che verrà e in uomini che sperano di salvarsi studiando in continente. Abacrasta non esiste ma esiste lo stesso perché Salvatore Niffoi ha saputo crearla attraverso l’ironia e i ricordi, l’amarezza e l’immaginazione. Niffoi è senza dubbio uno degli scrittori italiani più interessanti degli ultimi decenni. Probabilmente qualche lettore potrà sentirsi a disagio nell’incontrare, di tanto in tanto, parole in sardo ma è comunque piuttosto semplice intuire il senso dei vocaboli in lingua isolana che l’autore innesta nei suoi racconti. D’altro canto si deve riconoscere l’efficacia e la puntualità di tali termini che non avrebbero la stessa resa se fossero “tradotti” in italiano.
Edizione esaminata e brevi note
Salvatore Niffoi è nato nel 1950 ad Orani, in Barbagia, provincia di Nuoro. Ha studiato Lettere a Roma e si è laureato nel 1976 con una tesi sulla poesia in sardo. Il suo primo romanzo si intitola “Collodoro” ed è stato pubblicato nel 1997 da Solinas. Nel 1999 pubblica per Il Maestrale “Il viaggio degli inganni” a cui fanno seguito “Il postino di Piracherfa” (2000), “Cristolu” (2001) e “La sesta ora” (2003). Invece i romanzi “La leggenda di Redenta Tiria”, “La vedova scalza” (Premio Campiello nel 2006) e “Ritorno a Baraule” sono pubblicato da Adelphi. “Pantumas” (2012) e “La quinta stagione è l’inferno” (2014) sono editi da Feltrinelli. “Il venditore di metafore” esce per Giunti nel 2017.
Salvatore Niffoi, “La leggenda di Redenta Tiria“, Adelphi, Milano, 2005.
Pagine Internet su Salvatore Niffoi: Wikipedia / Làcanas / Premio Campiello
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