Komel Mirt

Il tocco del pianista

Pubblicato il: 15 Dicembre 2019

“Il mormorio canoro sui generis di Gabriel si era manifestato soltanto durante le ore di musica, come se un qualche intervento miracoloso avesse fatto in modo che il disturbo fosse associato esclusivamente agli esercizi di piano” (pp.53). Un lettore competente di musica e dei suoi più grandi interpreti, di primo acchito, potrebbe davvero pensare ad un giovane Glenn Gould. Impressione poi confortata dalla personalità ipocondriaca e asociale di Gabriel Goldman, l’eccezionale protagonista di “Pianistov dotik”, fortunato esordio nella narrativa del filosofo sloveno Mirt Komel. Ma le impressioni rimangono impressioni e non c’è dubbio che l’eccentrico pianista immaginato da Komel solo in parte sia debitore del ricordo di Gould e delle sue bizzarrie, mentre invece il nucleo centrale del racconto gira intorno a riflessioni più profonde sulla musica, sul fare musica e sul prezzo che si può pagare nel vivere in simbiosi con i tasti di un pianoforte.

Un prezzo e un tormento che Komel ha inteso rappresentare fin dalla prima pagina del suo romanzo: Goldman è già un uomo adulto, reduce da una rovinosa e inspiegabile caduta, bloccato nel letto di un ospedale newyorkese, che ricorda alla sua vita passata, contraddistinta da una straordinaria sensibilità ai suoni. In sostanza il privilegio e la  maledizione di un orecchio assoluto che fin dai primi anni lo costringe ad incantarsi di fronte ai suoni più disparati e solo apparentemente più banali. Accanto al bimbo Gabriel la madre Cecilia, il pragmatico e antimusicale padre Nathan, e soprattutto l’energico nonno Eugene, pianista dilettante di origine russe, che per primo intuisce la genialità del nipote e gli dona i primi rudimenti di tecnica pianistica, con i primi esercizi sulle note di Prokofiev e Schumann. Da lì a pochi anni l’iscrizione alla Manhattan Music Academy, un luogo in cui la competizione si trasforma facilmente in cinismo e sopraffazione, e l’incontro fondamentale col maestro Alexandrer Savki, musicista e filosofo della musica, la cui menomazione (paralisi, probabilmente psicosomatica, del braccio destro) sembra anticipare i dolori e le opportunità del più adulto Gabriel. Nel frattempo l’incontro con Ester, l’unica donna che nel caso di Gabriel farà rima con ossessione; che da occasione reale, probabilmente si è trasformato per lungo tempo in un tormento mai concretizzato in un gratificante rapporto reale e carnale: “La sua immaginazione si intrecciava con la realtà al punto che i suoi pensieri erano una sorta di astrazione di quella realtà, e quest’ultima una semplice realizzazione di quello che si era immaginato” (pp.122). Una personalità che viene perennemente travolta da ricordi, suggestioni e percezioni e che, in età adulta, quando ormai Goldman è pianista affermato, grande interprete bachiano, concretizza una dolorosa fobia: l’incapacità di toccare con le dita qualsiasi cosa se non i tasti del suo pianoforte. Soltanto in presenza dello strumento il dolore fisico e mentale si placa; ed allora, memore degli insegnamenti e della vita di Alexandrer Savki, riconosce definitivamente la sua via di stare al mondo senza troppo soffrire: ottenere libertà e  salvezza nell’atto creativo (vedi la sua prima composizione), nell’arte dei suoni. Atto creativo che quindi  mette in stretta correlazione il suono col tatto; ed infatti, senza dimenticare la capacità dell’autore di abbinare ironia e linguaggio composito (abbondanza di metafore, toni oscillanti dal filosofico al surreale, grottesco, mistico), l’elemento fondante del racconto di Komel, filosofo anche quando si propone come narratore, è rappresentato proprio da un’elegante analisi della sensorialità. Non è un caso che il nostro autore abbia tradotto in sloveno le opere del filosofo francese Jean-Luc Nancy, già autore di “Noli me tangere. Saggio sul levarsi del corpo”. Come non è un caso che nella finzione narrativa abbia un ruolo l’accordatore Nikolaj Nikolaevič Kapovsky, impersonificazione della concretezza e di scelte che Goldman ancora non ha voluto fare.

In sostanza Komel si rivela un grande affabulatore, intelligente nel tradurre in forma di racconto delle riflessioni filosofiche che altrimenti sul lettore avrebbero avuto ben altro impatto. Anche dal lato formale e stilistico il ruolo di terzo, di “filosofo” un po’ sornione e partecipe che racconta, non va sottovalutato. L’autore si fa interprete dei ricordi e delle suggestioni vissute da  Gabriel Goldman ma nello stesso tempo non c’è completa immedesimazione e mantiene fermo il rapporto col lettore; non fosse altro che in più di un’occasione assistiamo ad una sorta di metanarrazione: è Komel che, fin dalle prime pagine, per capirci, assicura che “il romanzo non si concluderà con la morte del protagonista”. Ma “(tuttavia, in nome della capricciosa libertà artistica, mi riservo il diritto ci cambiare il finale in corso d’opera)” (pp.12). Se poi “Il tocco del pianista” è stato definito “romanzo intenso e fluttuante, che incanta con le sue acrobazie filosofiche, il linguaggio poetico, le metafore, e naturalmente la musica, che riecheggia tra le parole e dentro di esse”, possiamo aggiungere che in certi momenti è la stessa definizione di romanzo a risultare forse incompleta. Prendendo a pretesto un ipotetico documentario dedicato al grande ed immaginario Alexandrer Savki, alcune pagine si trasformano in una sorta di saggistica che intende chiarire l’autentico pensiero del famigerato ed indispensabile Theodor Adorno e, di fatto, chiarire anche l’intento di Komel col suo “tocco del pianista”: “Alcuni dei suoi critici ancora oggi credono erroneamente che Adorno con il suo sociologizzare filosofico abbia attentato alla purezza della musica, che secondo tali puristi dovrebbero rimanere l’immacolato oggetto di una teoria strettamente musicale. Ma lo scopo della sua filosofia non era ricalcare il mondo della musica sul mondo della società, bensì piuttosto mettere in relazioni espressioni musicali e relazioni sociali, mostrare come i paradossi dell’una si riflettono negli antagonismi dell’altra” (pp.154).

Un romanzo che probabilmente non possiamo definire soltanto come romanzo, vista la poliedricità dei suoi contenuti. Proprio per questa ragione potremmo ricordarci delle parole del Pereira di Tabucchi in relazione alla vita di Gabriel Goldman: “La filosofia sembra che si occupi solo della verità ma forse dice solo fantasie e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie ma forse dice la verità”.

Edizione esaminata e brevi note

Mirt Komel, (Nova Gorica, 1980) filosofo, traduttore e scrittore sloveno. Ha insegnato filosofia e letteratura alla Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Lubiana. Ricercatore al Peace Institute di Lubiana, co-fondatore e membro dell’International Hegelian Association Aufhebung, ha pubblicato diversi saggi. “Il tocco del pianista” è il suo esordio letterario. Il romanzo è stato selezionato per il premio Kresnik ed è stato tradotto in tedesco, serbo-croato e ora in italiano, ispirando inoltre il dipinto Gabriel at the Piano della pittrice Marina Gruden e le Goldman Variations (per clavicembalo), work-in-progress del pianista e compositore Milko Lazar.

Mirt Komel, “Il tocco del pianista”, Carbonio Editore (collana “Cielo stellato”), Milano 2019, pp. 170. Traduzione di Patrizia Raveggi.

Luca Menichetti. Lankenauta, dicembre 2019