Nina, la protagonista di “Le affacciate”, è una giovane donna con alle spalle un lavoro considerato totalizzante, che fino a pochi giorni prima si poteva immaginare indispensabile per le sorti della Salich Entertainment. Poi una chiacchierata con l’amministratore delegato, tanto dispiacere, il problema dei costi non più sostenibili e quindi ciao ciao all’ex fedelissima Nina: “mi sono trovata all’improvviso nell’epicentro di un terremoto di certezze e di identità. Mi sono sentita in ginocchio. Una fallita. Perché di questo si tratta: di un fallimento umano, sociale, di una Caporetto esistenziale a tutto tondo” (pp.12). La neo disoccupata però non svela subito la sua situazione e, con una gran dose di cinismo e di pregiudizi, finge di proseguire come suo solito, messaggiando con l’amica virtuale Anna di tutto il superfluo possibile e così nascondendo il fatto di stare magari da ore a fissare “le travi sul soffitto seguendo le venature del legno”. La “contatrice di chiodi” – questo proprio il capitolo di esordio – è quindi destinata a tempo indeterminato a osservare indolente i condomini, le vite altrui, accorgendosi che “il mondo va avanti, che tutto ha un ritmo”, tranne che per lei, donna che vive di ricordi, di pregiudizi e di depistaggi virtuali, tutti costruiti, anche con grande nonchalance, per evitare di confessare questa sua sconfitta.
Fino al momento di incontrare davvero, lontano dal suo smartphone, la signora Adele Romano, un’anziana sul cui passato “si sentono cose strane, sebbene i suoi modi algidi non abbiano mai alimentato dicerie”. Qualche scambio di parole con questa algida signora e poi ecco che Nina, suo malgrado, in parte coinvolta a causa di una sua curiosità, viene trascinata all’interno di quello che è stato definito un “gineceo di tre anziane: la smilza, la leopardata e la forzuta”. Per dirla in altri termini all’interno di un rapporto di reale conoscenza sia con Adele, sia con Teresita e con Svetlana, donne ormai anziane che hanno deciso di raccontarsi vicende, segreti, tradimenti molti dei quali legati alle guerre balcaniche degli anni ’90.
Nina ascolta la storia di Svetlana, davvero una donna forzuta, che è riuscita pur tra mille rinunce, a rifarsi una vita lontano dalla sua Jugoslavia e a educare suo figlio. Il tutto vicino alla “smilza e alla leopardata”, con le quali ha condiviso vicende del tutto personali, complicate e a rigore destinate a rimanere all’interno di confidenze segrete. In questo modo Nina, silenziosa di fronte alle parole delle tre anziane, potrà cogliere la forza di donne che si sono rialzate, almeno in parte, dopo aver subito degli indicibili tracolli amorosi, fisici, personali e che soprattutto potrebbero aver insegnato qualcosa grazie ad un contesto non virtuale, non basato da poche certezze legate ad un ruolo professionale, ma realmente di vicinanza e di reale empatia. Il romanzo di Caterina Perali infatti ha inteso innestare nel racconto sia i pregiudizi nei confronti dei migranti dell’est Europa, sia lo sfacelo di chi vive anestetizzato dal mondo virtuale, dal numero dei WhatsApp personali, una volta scoperto quando crollano quelle poche convinzioni che si hanno: nel caso della protagonista Nina, ad esempio, l’impiego presso la Salich Entertainment, sicuramente gratificante ma che nel contempo ha predisposto ad una pesante virtualità e superficialità.
Da questo punto di vista va detto che la Perali ha proposto, con intelligenza, un racconto che non è incentrato soltanto sull’ipocrisia e sui luoghi comuni nei confronti del prossimo, ma che trabocca anche di ironia e di un linguaggio leggero, molto attuale. Si pensi ai messaggi WhatsApp che compaiono in testa e nel corpo dei capitoli, come a voler mantenere l’immagine fasulla di una florida routine, mentre invece via via Nina prima osserva le travi sul soffitto, poi i vicini da lontano ed infine ascolta le complicate vicende umane della smilza, della leopardata e della forzuta. Nina osserva, finalmente partecipa, ma in tutta evidenza non potrà diventare dura e autonoma alla stregua delle tre anziane: “Nel dominio dell’apparenza ognuno ha il diritto di giocare come gli pare […] nonostante il sapore amaro dei giudizi sui social, io la mia vita non voglio cambiarla. La mia rivoluzione può attendere” (pp.155). Ma al di là di queste affermazioni nette niente sarà come prima perché alla fin fine Nina adesso ha un altro sguardo anche nei confronti dell’amica virtuale: “Ho scritto ad Anna che vorrei vederla dopo le yoga”. E poi: “Ok. Tutto è tornato al suo posto”.
Edizione esaminata e brevi note
Caterina Perali (Treviso, 1975). Dopo gli studi a Venezia si sposta tra Genova e Lisbona. Ora vive tra Treviso e Milano, in un quartiere chiamato Isola, dove lavora nella produzione di spot pubblicitari. È stata autrice televisiva e collaboratrice per riviste di teatro e food and beverage. Suo il romanzo “Crepa” (13Lab Edizioni, 2015).
Caterina Perali, “Le affacciate”, Neo edizioni (collana “Dry”), Castel di Sangro 2020, pp. 158.
Luca Menichetti. Lankenauta, febbraio 2020
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