Romiti Cesare, Madron Paolo

Storia segreta del capitalismo italiano

Pubblicato il: 21 Aprile 2012

«A casa di Caterina Caselli eravamo io, Craxi, Berlusconi e Montezemolo. Craxi era già potente e mi ricordo che Berlusconi, allora completamente fuori dalla politica, aveva appena ultimato Milano 2 e iniziava ad avere qualche timido interesse per la televisione. Il segretario socialista, che aveva voglia di scherzare, a un certo punto rivolgendosi a me, ma indicando il Cavaliere e Montezemolo, disse: “Senta Romiti, lei mi deve dire una cosa: ma tra questi due chi è il più bugiardo? Perchè che siano bugiardi si sa, ma lei che li conosce meglio di me forse può aiutarmi a risolvere il dubbio”. Mi colse di sorpresa, poi me la cavai con una battuta: Concordo con lei che sono due grandi bugiardi, ma se proviamo a tirare una moneta in aria, sono sicuro che cadendo rimarrebbe dritta».

Questo passaggio dell’intervista di Paolo Madron a Cesare Romiti, scelto per la quarta di copertina del libro, potrebbe apparire un po’leggerino e cabarettistico, ma credo faccia capire piuttosto bene lo spirito col quale l’ex amministratore delegato e poi presidente Fiat ha voluto raccontare cinquant’anni di economia, finanza e politica italiana. In questo caso sono protagonisti due salvatori della patria contemporanei: uno recentemente tornato dietro le quinte per rimediare a qualche marachella; l’altro, come a voler mostrare continuità con l’amico imprenditore sceso in politica per salvarci, da più parti invocato a prenderne il testimone nelle vesti di raccontatore di fiabe. Intendiamoci, “Storia segreta del capitalismo italiano”, nonostante il nome impegnativo, non ha niente a che vedere con un’analisi accademica della nostra economia e finanza; semmai, coerentemente allo stile dei libri-intervista, rappresenta un quadro di ricordi ed episodi tali da delineare  il clima che si è vissuto in Fiat e nei piani alti dell’imprenditoria negli ultimi cinquant’anni.

E’ comunque la storia di un capitalismo concentrato in poche grandi famiglie, caratterizzato da radicati intrecci con una politica particolarmente invadente, nel quale grande spazio è riservato ad Agnelli, col suo fare aristocratico, e alla Mediobanca di Cuccia. Quel Cuccia che Romiti ci ricorda essere “morto povero” e che viene più volte citato come “migliore esempio della differenza fra autorevolezza e autoritarismo”, totalmente dedicato alla sua banca “che considerava perno e strumento della ricostruzione del capitalismo italiano”. Romiti risponde su episodi controversi della nostra storia e svela dei particolari inediti che danno un senso a quel “segreto” del titolo. Cuccia gli descrisse un suo incontro con Giulio Andreotti: “Parlarono del più e del meno, poi a bruciapelo Andreotti gli chiese: “Ma lei crede veramente che io sia corresponsabile dell’uccisione di Ambrosoli?” Diciamo che dopo la risposta di Cuccia il colloquio terminò”.

I personaggi raccontati nel lungo libro intervista sono veramente tanti, soprattutto De Benedetti, col quale Romiti ha avuto frequenti incontri-scontri; e poi Giovanni Bazoli, Geronzi, Mattei, Raffaele Mattioli (che Romiti considera il miglior banchiere italiano di sempre), Lama, Berlinguer, Montanelli, Scalfari, Romano Prodi, Licio Gelli, Raul Gardini, Gabriele Cagliari, Ligresti. Questi ultimi nomi ci ricordano Tangentopoli. Ed anche di quel passaggio cruciale della nostra storia recente Romiti racconta la sua verità. In merito si leggono affermazioni tutt’altro che nuove e che hanno caratterizzato la strategia difensiva delle imprese beccate a foraggiare i partiti e i politici: “Aziende concusse, e non corruttrici. Questo non finirò mai di ripeterlo” (pag. 144). Di Zanone, Donat Cattin, Fazio, ricorda la modestia del loro standard di vita. Una modestia immagino sempre da intendersi in senso molto relativo, almeno se paragonata agli standard propri dell’A.D. Fiat e degli alti papaveri dell’imprenditoria.

Quanto detto da Romiti risulta quindi tutt’altro che scontato, e questo viene sottolineato nella stessa prefazione a cura di Ferruccio De Bortoli, piena di stima per l’uomo ma che non lesina qualche critica e riserva per alcune sue affermazioni: “Molti episodi sono edulcorati dagli affetti o esacerbati dalle passioni […] E’ apprezzabile lo sforzo di Romiti di essere, anche se non sempre, più cronista che testimone. Segno che l’editoria qualcosa gli ha lasciato dentro”. Ci sono altri aspetti che potrebbero colpire il lettore in questa “Storia segreta del capitalismo italiano”. A volte fanno pensare più le domande che le risposte, almeno nel considerare che l’intervistatore, Paolo Madron, per anni ha lavorato come editorialista di “Panorama” e del “Giornale”, proprio dove le tesi del complotto contro Berlusconi sono di casa.

Leggiamo a pag. 67, in merito alle vicende di De Benedetti, alcune parole di Madron, che in bocca di un Sallusti qualsiasi si rivelerebbero una specie di lapsus freudiano: “Alla fin fine non gli è poi andata così male. Ha perso la Mondadori ma vent’anni dopo la Corte di Appello di Milano ha riconosciuto che Berlusconi gliel’aveva presa pagando un giudice, ed è stato risarcito con una somma da capogiro: 564 milioni di euro”. Piuttosto interessante, una sorta di outing, la vicenda di de Bortoli al Corriere come raccontata da Romiti, incalzato da un Madron che qui appare molto poco berlusconiano: “Ai tempi di Berlusconi non ci furono mai pressioni su di me, che ero l’editore. Ce ne furono di continue su de Bortoli da parte degli uomini dell’entourage del Cavaliere [….] Chi si distingueva per accanimento? Direi Niccolò Ghedini, il più in vista tra gli avvocati di Berlusconi” (pag. 169) […] “Quale fu la goccia che fece traboccare il vaso costringendo de Bortoli alle dimissioni? […] Lui [n.d.r. Berlusconi[] con il suo staff e Guido Bertolaso ci venne incontro, e senza guardare de Bortoli in faccia mi disse: Che piacere incontrarti Cesare…Ah, vedo che ti sei fatto accompagnare dal direttore del Manifesto! Sussurrai a de Bortoli di non reagire, salutai Berlusconi e partimmo”.

Altro passaggio che può colpire e che meriterebbe forse una spiegazione più approfondita il passaggio nel quale Romiti afferma che Berlusconi, così facendo uno dei suoi primi errori, nel 1994 fece eleggere al Senato Scognamiglio al posto di uno Spadolini che pare avesse sempre stimato il Cavaliere e gli “fosse vicino”. In realtà, se la memoria non mi inganna, proprio Spadolini (nel libro, forse per un refuso, non risulta presente nell’indice dei nomi), all’indomani della “discesa in campo”, da subito e con lucidità espresse la preoccupazione per quello che si prospettava un devastante conflitto d’interesse.

Romiti chiude il suo intervento con una sorta di postfazione, “Una rivoluzione pacifica”, nella quale si riecheggiano temi presenti nelle pagine precedenti, e comunque non del tutto scontati in bocca a quello che, anche a ragione, è stato considerato uno spregiudicato uomo di potere, un autentico manager-padrone. Ricordiamo ancora alcuni passaggi: “Non credo che il mercato abbia vinto troppo, anche perché se il mercato vince è di per sé un valore positivo. Quella che è mancata è la regolamentazione del mercato. Vincere senza regole non appartiene al sano funzionamento del gioco” (pag. 230); “L’errore su di pensare che l’introduzione della moneta unica avrebbe unito l’Europa e fatto crescere automaticamente l’unità politica con tutte le istituzioni di uno Stato unitario” (pag. 248): qui appare chiara la posizione di Romiti come fiero oppositore, se non della moneta unica, certamente delle modalità della sua applicazione. E poi ancora: “Devo dire che ho sempre meno condiviso le iniziative, politiche e non, che il Cavaliere ha attuato […] Dico questo con grande amarezza e preoccupazione. Soffro molto come italiano a vedere la situazione attuale, in cui c’è un vero e proprio sgretolamento del Paese” (pag. 239).

Una lunga intervista, con un Madron che tiene testa a Romiti con domande tutt’altro che concilianti, nella quale si colgono in pieno quelle che sono state le capacità dell’ex Ad e presidente Fiat, fatte di decisionismo e grande senso del potere; ma anche un profondo senso di nostalgia per un capitalismo dominato da figure regali come Agnelli e che, malgrado gravi limiti, ancora non conosceva i furbetti del quartierino e quelle degenerazioni che oggi fanno impallidire la tangentopoli del 1992.

Edizione esaminata e brevi note

Cesare Romiti (1923), uno dei più importanti dirigenti d’azienda italiani, nel 1970 è diventato direttore generale e amministratore delegato di Alitalia. Nel 1974 è entrato in Fiat, divenendone in seguito amministratore delegato e presidente. Dopo l’uscita dalla Fiat, è stato presidente della Rcs dal 1998 al 2004, e della società di costruzioni e ingegneria Impregilo dal 2005 al 2007. Nel 2004 ha costituito la Fondazione Italia Cina, che presiede, la quale raduna decine di personalità imprenditoriali, i principali ministeri italiani e  aziende interessate al mercato cinese.

Paolo Madron (1956) è stato corrispondente da New York di Milano Finanza, vicedirettore di Panorama, collaboratore del Foglio, editorialista del Giornale, direttore e fondatore del settimanalePanorama Economy, editorialista e inviato del Sole 24 Ore. Nel 2010 ha fondato il quotidiano on-line Lettera43, che attualmente dirige. Con Longanesi ha pubblicato Date a Cesare (1998), Nove zeri (2001), Il lato debole dei poteri forti (2005).

Cesare Romiti (con Paolo Madron), Storia segreta del capitalismo italiano, Longanesi, Milano 2012, pag. 286

Luca Menichetti. Lankelot, aprile 2012