Barbarino Linda

La Dragunera

Pubblicato il: 16 Aprile 2020

In terra di Sicilia la Dragunera, o Dragunara, è una tempesta di vento e di pioggia. Un flagello capace di arrivare all’improvviso, alla fine della bella stagione, e di guastare un raccolto venuto su con fatica e sacrifici. I contadini siciliani sanno bene cos’è la Dragunera, lo sanno da tempi lontanissimi. Conoscono la furia senza scampo dello spirito maligno che può arrivare dal cielo a punire chiunque a suo piacimento. Uno spirito che i contadini hanno incarnato in un miscuglio di drago e di “magara”, di demonio e di strega. La Dragunera è una creatura pericolosa con aspetto di donna, non a caso. Anche nel romanzo d’esordio di Linda Barbarino la Dragunera è una donna, un personaggio che appare appena nel corso della storia. Non parla mai, non direttamente. Parla il suo corpo, parlano i suoi capelli neri, parlano i suoi gesti imprevedibili e parla quella presenza stregata e maliziosa che tutti temono possa incantarli e ridurli allo stremo.

La Sicilia descritta dalla Barbarino è ruvida e primordiale, fatta di gente che vive o sopravvive grazie a pezzi di terra che non gli appartengono neppure. La Sicilia della Barbarino è nella lingua mischiata e impura che trapassa ogni pagina. Si parla un siciliano stretto, in questo libro. Una lingua rude come le mani callose dei contadini, una lingua che pare intessuta della stessa magia che la storia di per sé già trasmette. Va letto con lentezza “La Dragunera”, ripetendo e scandendo a voce appena sussurrata termini che, a poco a poco, germogliano tra la lingua e il palato prendendo il verso giusto. Una volta, due volte, tre volte. Poi tutto torna, tutto si con-torna.

Paolo lavora accanto a suo padre Tano Rizzuto come gli è stato insegnato da quando era bambino. Lavora ogni giorno come un mulo. La soddisfazione arriva al sabato quando ha la paga e, come ogni maschio che si rispetti, va a trovare le femmine. “Prima di nesciri si profumava tutto perché poi le buttane gli facevano i complimenti mentre lo spogliavano. Sì, a loro ci toccava spogliarlo, questo era il patto. A lui più di tutte gliene piaceva una che abitava in un cortiletto vicino alla Colombaia. Ci entrava da un cancelletto di legno malandato. Di nome e di ngiuria faceva «la Sciandra», una che se lo girava e rigirava come un pupo nel letto, e la stanchezza gliela faceva passare tutta; lui non si doveva smuovere, che lei sapeva dove mettere le mani“. Per la Sciandra quel ragazzo che si vede arrivare ogni sabato ha un valore diverso, lo sa, lo sente. Paolo è diverso. Paolo vuole che quando c’è lui non ci sia nessun altro uomo lì attorno. Paolo resta nel suo letto e le racconta le sue giornate. “Lui si appoggia alla spalliera, a volte fuma a volte no, e parla. Gli altri no, con gli altri quello di dopo è tempo rubato; lo fulmina con lo sguardo l’uomo che rivestito la raggiunge in cucina e la guarda con occhi di animale intorbiditi dal sesso. Con un cenno forte del mento gli indica dove poggiare i soldi, e la porta. Non li guarda neanche dopo i clienti, se potesse glielo strapperebbe il tempo che le hanno preso, e la memoria, coi morsi, e la faccia, il corpo, ogni cosa di lei“.

Biagio, invece, è un’altra cosa. Con Paolo, suo fratello, non ha molto da spartire. Biagio se ne era tornato dal continente con la scusa della nostalgia e, poco dopo, s’era preso per moglie la Dragunera. Quella che Tano non avrebbe mai accolto in casa sua. Quella che tutti vogliono tenersi lontana per colpa delle sue malìe e delle voci che tutti sanno. “Si pigliò a una femmina di gente che manco a cercarli con la candela e scartarli come ceci in mezzo alla sinapa erano buoni. Una che si capiva subito era meglio starci lontano, una strega, coi capelli rizzi e niuri come scursuna nturciuniati. Al paese si diceva che era magara, ntisa la Dragunera, così la chiamavano, come la tempesta di vento e acqua a capo di verno“. Biagio era sempre stato “babbasunazzo” e da quella Dragunera s’era fatto infinocchiare ben bene. Lo pensava Paolo, lo pensava Tano, lo pensavano tutti. Donna Angelina, la madre, come ogni madre, cerca a modo suo di rimettere le cose a posto, prova a ricreare la pace tra padre e figlio, tra fratello e fratello. Lo fa la sera, quando si ritrova a letto col marito che ogni volta si “scanta” e bestemmia e si rivolta. Angelina ci prova con ostinazione davanti a un tribunale di statuine di santi che la proteggono e le fanno coraggio.

Un’atavica rivalità di sangue quella che la Barbarino va a costruire nel suo romanzo. Una fratellanza che non c’è mai stata e che non si può rimettere al mondo, nonostante le forzature di Angelina. Le passioni, qui, sono violente, silenziose, carnali e feroci. Proprio come quelle di una tragedia che si ripete da millenni, in una terra fatta di gente che di tragedie si nutre dagli stessi millenni. È la memoria immutata che mescola stregonerie e santità, scongiuri e preghiere, scaramanzie e miracoli. I desideri somigliano quasi sempre alla sofferenza che costano. Forse anche per questo ammutoliscono e rimangono appesi. Come fa l’amore di Rosa, la Sciandra, per Paolo. Un amore che non può essere davvero, non in questa terra, non in questo tempo. Qui l’amore arriva a essere rinnegato perché inseguito a vuoto, contro la volontà di chi, invece, vorrebbe divorarlo di notte, di nascosto, mentre si impasta il pane.

Un romanzo potente, “La Dragunera”. Una storia scritta in maniera impeccabile, che si fa forte di una lingua scavata nella gola, coi suoi suoni chiusi e sordi. I motivi sono ancestrali e ripercorrono una classicità che dalla Grecia antica arrivano fino ai nostri occhi. La Barbarino è un’esordiente speciale perché ha scritto il suo primo romanzo quando aveva più di 50 anni. In un’intervista spiega che si arriva a scrivere un romanzo quando le persone vere non bastano più. E ciò può accadere a ogni età e in ogni vita.

Edizione esaminata e brevi note

Linda Barbarino è nata e vive a Enna, dove insegna italiano, latino e greco in un liceo classico. “La Dragunera”, suo romanzo d’esordio, è stato finalista al premio Calvino.

Linda Barbarino, “La Dragunera“, Milano, Il Saggiatore, 2020.

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