Gaudé Laurent

Salina. I tre esili

Pubblicato il: 22 Aprile 2020

“Salina. I tre esili” è un libro seducente, impalpabile e profondo. Trasporta il lettore in un cosmo lontano, a contatto diretto con una dimensione ancestrale quindi senza tempo e senza geografia. “Salina. I tre esili” ha il fascino delle leggende arcaiche, l’incanto di un mondo lontanissimo, la poesia di una civiltà che non si dimentica, l’umanità di creature primordiali e fortissime. Il nesso con il mito è indiscutibile e fa di questo breve romanzo una lettura d’estremo fascino. L’atmosfera che il drammaturgo e scrittore francese Laurent Gaudé riesce a generare attraverso le pagine del suo romanzo risucchia il lettore fino a trasportarlo in un altrove fatto di sabbia, di silenzi e di epopee senza tempo.

Al principio della sua vita, in quei giorni d’origine in cui la materia è ancora indistinta, in cui tutto è soltanto carne, rumori sordi, battiti, vene che pulsano e respiro che cerca la propria strada, in quelle ore in cui la vita non è ancora sicura, in cui tutto può rinunciare e spegnersi, c’è un grido, così lontano e strano da far pensare che la montagna, stanca della propria immobilità, si stia lamentando. Le donne alzano la testa e si bloccano preoccupate“. Questo è l’incipit e dice già molto. Dice di un mondo originario, di rumori che non si sanno, di esistenze incerte e di montagne che emettono lamenti. In questo quadro si insinua il pianto senza fine di un neonato. Deve arrivare da qualche angolo del mondo perché nessuno lo vede. È solo lo strillo feroce di una creatura appena nata. Uomini e donne si avvicinano all’ingresso del villaggio perché quel pianto si fa più vicino. Sissoko Djimba, il capo di quella gente, è pronto a schierare i suoi guerrieri con la spada Takuba, il ferro sacro degli antenati. Finalmente giunge uno sconosciuto a cavallo, un uomo che nessuno ha mai visto. Deve arrivare da molto lontano, un luogo al di là delle terre conosciute. Il cavaliere depone per terra, vicino a Sissoko, il fagotto urlante, poi se ne va.

Tra i Djimba nessuno si muove. Il bambino è per terra sotto il sole e piange. Devono aspettare che Sissoko prenda una decisione. Il neonato grida, il suo briciolo di vita riempie tutto con la sua presenza. Gli uomini rimangono seduti. Il tempo passa e Sissoko non dice una parola. Tutti capiscono che ha già stabilito di non accogliere il neonato. Non possono correre il rischio di accettarlo con il dubbio che possa portare qualche maledizione. Non devono agire. Non devono fare niente, solo rimanere lì finché il neonato, stremato, sprofondi nel sonno, si indebolisca e muoia“. Il neonato è elemento estraneo, incomprensibile, strepitante e anche pericoloso. Grida, grida non fa che gridare. Grida sotto il sole che brucia, grida tra il silenzio inesorabile del villaggio, grida tra le iene che lo annusano ma non lo sbranano. Poi, all’improvviso, una donna si alza e senza chiedere alcun permesso prende il fagotto tra le braccia. “Mamambala si apre la tunica e offre il seno gonfio al neonato, che si mette a poppare con una fame da alta montagna. La donna vede che l’esserino affamato è una bambina, allora sorride e pronuncia le parole che tutti sentono: «In ricordo del sale delle lacrime di cui hai cosparso la terra ti chiamerò Salina»“.

Questo è l’inizio della storia di Salina. Solo l’inizio. Ed è già favola e miracolo insieme. Salina percorrerà l’intero libro assieme alla sua esistenza di donna, di rinnegata, di madre violata, di vedova assetata di sangue, di esiliata annichilita. Tre volte esiliata. I sentimenti in questa storia così incontaminata e atavica sono feroci e puri come le origini del genere umano. L’odio cova per anni, in silenzio, come carbone ardente. Non passa fino a quando non sarà lavato dal sangue, nella spettrale e inesausta sete di vendetta che ne richiama a ogni fiotto. L’eroina è una donna che sembra richiamare nei suoi silenzi, nelle sue carni e nel suo destino le figure più tragiche della classicità. Il suo racconto arriva a noi attraverso la bocca di Malaka, colui che deve seppellirla. Sarà la terra a decidere se il corpo di Salina potrà essere accettato o meno. Il cimitero si trova su un’isola, l’ultima di cinque. “L’isola è cinta da mura. C’è solo una grossa porta che nessun uomo può aprire. Bisogna imbarcare i morti, e per il tempo che dura la traversata raccontare cos’è stata la vita del defunto. Il cimitero sente il racconto, e al termine del viaggio decide se la porta debba aprirsi o no“. Tutto sta nel racconto di una vita, nell’onestà di chi racconta, nella purezza della memoria che l’uomo affida a un altro uomo e alla terra che gli è concesso di abitare.

Gaudé ha intessuto una storia magica e piena di pathos. Il suo stile è evocativo e richiama motivi epici. Il suo scrivere è leggero ma, al tempo stesso, memorabile. Salina è un’eroina negletta, la memoria del suo cammino nel mondo è lasciata al lungo racconto pronunciato da Malaka lungo il viaggio verso le porte di un cimitero in mezzo al mare. La sua vita diventa narrazione prima ancora che il suo corpo sia tornato a essere polvere. E mi viene da pensare che ogni vita dovrebbe diventare racconto, una sequenza di parole da dire e da far ascoltare affinché la morte non sia eterna: le parole, per fortuna, possono vivere molto più a lungo delle persone.

Edizione esaminata e brevi note

Laurent Gaudé è nato a Parigi nel 1972. Ha studiato lettere moderne e studi teatrali nella sua città. È autore di racconti e romanzi oltre che drammaturgo. Nel 1997, ha messo in scena la sua prima opera teatrale, “Onysos le furieux”, al Théâtre Ouvert. Per molti anni ha scritto per il teatro. Il suo primo romanzo, “Cris”, è stato pubblicato nel 2001. Nel 2004 ha ricevuto il premio Goncourt per “Le soleil des Scorta”. Dal 2008 collabora regolarmente con compositori contemporanei per i quali scrive testi o libretti d’opera: Roland Auzet (Mille Orphelins), Thierry Pécou (Les Sacrifiés), Kris Defoort (Daral Shaga), Thierry Escaich (Cris) e Michel Petrossian (Le Chant d’Archak). È anche autore di due raccolte di racconti, “Dans la nuit Mozambico” e “Les Oliviers du Négus” e ha realizzato libri in collaborazione con i fotografi: Oan Kim (Je suis le chien Pitié) e Gaël Turine (Down the city).

Laurent Gaudé, “Salina. I tre esili“, Roma, Edizioni E/O, 2019. Traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca. Titolo originale “Salina. Les trois exils” (2018).

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