Stella Gian Antonio, Rizzo Sergio

La deriva

Pubblicato il: 6 Giugno 2008

Quando mi capita di scrivere del carattere degli italiani e del loro rapporto con le Istituzioni cito spesso una frase, che tutti avrete sentito (forse in qualche bar?) e di certo anche condivisa da parte di voi che mi leggete: “chissenefrega se fa gli affari suoi, l’importante è che faccia anche i miei”.
Che poi il meccanismo “virtuoso” funzioni davvero bene, nell’affidarsi a coloro che pensano innanzitutto ai propri interessi, è tutto da dimostrare; va notato semmai che si parla di interessi “miei” e non dello Stato o della società italiana nel suo complesso.
Ebbene l’ultimo libro di Stella – Rizzo, “La deriva”, ripropone temi già affrontati nella “Casta”, l’ultimo successone editoriale della coppia di giornalisti; soltanto che lo sguardo adesso si è ampliato e gli strali colpiscono le “caste” al plurale, non soltanto quella strettamente politica: insomma tutta quella parte di società italiana, anche quella considerata “civile”, che, tra incredibili sprechi, ritardi, menefreghismi, ottusa difesa dei propri privilegi, sta conducendo il nostro paese verso un preoccupante declino.
Questo l’indice, come potrete leggere, già molto eloquente:

– Un Paese di poeti, santi e scodellatici. E siamo arrivati al bivio: o una svolta o la sindrome Argentina:

  1. Quando i cinesi eravamo noi. Solo 270 giorni per fare la Costituzione, 8 anni per l’Autosole;
    2. Sempre più ai padri, sempre meno ai figli. E ogni neonato ha 250.000 euro di debito pensionistico;
    3. Bolli, sempre bolli, fortissimamente bolli. Per aprire una trattoria 71 timbri, per una licenza edile 27 mesi;
    4. Infrastrutture: da primi a ultimi. Tredici anni per un ponte di 81 metri, 4 a Shanghai per 36 chilometri:
    5. Cristoforo Colombo è finito in secca. Porti, navi, aerei, treni: fotografie di un declino:
    6. Ingordi di energia senza pagar dazio. Il nucleare no, gli inceneritori no, l’eolico no…;
    7. Qui ci vuole un commissario. Emergenza! Emergenza! E lo Stato aggira le regole dello Stato;
    8. Il sole buio della “Florida d’Europa”. Insicurezza, estorsioni, rapine: e gli investimenti fuggono:
    9. Il processo? Ripassi nel 202. Due giorni di cella all’uxoricida, 35 anni di rinvii per un fallimento;
    10. Ho frodato i risparmiatori: embè? In USA decenni di carcere per un crac, qui 104 giorni per Tanzi;
    11. Perdono, perdono, perdono. Tutti condonati: evasori, abusivi, deltaplanisti…;
    12. I dipendenti pubblici? Dieci e lode a tutti. Il miracolo di San Precario: assunzioni in sanatoria dal 1859;
    13. Niente pagelle, siamo professori. Nove milioni di somari promossi, 574 telefonate per un supplente;
    14. Lauree belle, lauree fresche, prezzi buoni! Università in crisi: dai concorsi taroccati agli atenei fai-da-te;
    15. Prostate d’oro, primari tesserati. E al San Cavilli un letto costa come una suite al Plaza di New York;
    16. E c’è chi vuole l’Albo degli imam. Gli Ordini non tengono ordine ma guai a chi li tocca;
    17. Taglia taglia hanno tagliato i tagli. Solo volenterose sforbiciatine agli sprechi della politica.

In altri termini 306 pagine dove, non lesinando impietosi confronti con paesi in crescita come la Spagna, gli autori presentano un panorama da fine impero: gli incredibili ritardi nel costruire le infrastrutture; la legislazione cervellotica e sovrabbondante; le ben note ottusità sindacali applicate ad un sistema pensionistico che lascerà le nuove generazioni nella cacca; uno Stato che affida alla Protezione Civile anche il restauro del David di Donatello; ordini professionali il cui compito principale è difendersi dal “pericolo” dei giovani professionisti; le mille corporazioni difese da presunti liberali e liberisti, in controtendenza con quanto avviene in tutta la UE; i progetti di treni veloci con fermate ogni 10 chilometri; i tanti commissari nominati per gestire le non-emergenze, appaltati dai partiti e pagati profumatamente; lo strumento dei condoni o dello scudo fiscale che insegna ai cittadini l’inutilità di pagare; un’Italia dove nessuno va più in galera per corruzione o concussione (possiamo controllare le statistiche delle condanne tra i colletti bianchi da noi e negli Stati Uniti); la pianificazione del ponte sullo stretto (ad oggi spesi 250 miliardi di euro in consulenze) ma con la Salerno Reggio Calabria da completare (20 miliardi di euro a km); i condannati in parlamento; vicende che ben descrivono l’arroganza e gli illeciti dei baroni universitari; i dirigenti nominati nelle Asl in base alla tessera di partito; Carlo Rubbia bollato di incapacità e nel 2005 cacciato dall’Enea da Claudio Regis “Valvola”, nominato nel CdA per meriti leghisti (ora il nobel lavora in Spagna, accolto a braccia aperte nel paese dove adesso, anche grazie a lui, stanno nascendo venti centrali solari di ultima generazione); la “modica quantità” nel falso in bilancio (sappiamo chi ringraziare); il progetto di legge per costituire l’ordine degli antropologi esistenziali; il senatore Euprepio Curto (AN) col suo progetto di albo degli ex parlamentari, già protagonista di una vicenda non troppo edificante (“del resto Euprepio non si vergognò neppure quando nel 2003 a Francavilla Fontana, il paesone in provincia di Brindisi dove lui ha il collegio elettorale, saltò fuori che dei ventisette vincitori di un concorso per dipendenti comunali ben ventidue erano parenti di politici e di questi due erano nipoti suoi. Intervistato da Antonello Caporale di “Repubblica” non fece una piega. “E che sarà mai? Solo due nipoti. Meno del dieci per cento”. Clientelismo si, ma omeopatico” – pag 237); e così via, con rarissimi momenti in cui si può leggere qualcosa che ci faccia sentire fieri del nostro paese e della nostra classe dirigente.
E’ vero che, visto il clima attuale, un’operazione editoriale come questa potrebbe apparire in qualche modo “furba”, se la si volesse interpretare come l’ennesimo tentativo di cavalcare la cosiddetta antipolitica, ma è altrettanto vero che, pur senza approccio scientifico, quanto leggiamo su “La deriva”, rappresenta un panorama di dati e fatti incontrovertibili, tratti dalla cronaca più o meno conosciuta, da sentenze della magistratura e relazioni pubblicate da istituti economici; ma è altrettanto vero che la “furbizia”, ovvero il lisciare il pelo al lettore facile a suggestioni demagogiche, viene meno quando il racconto di tutti i comportamenti affetti dal virus italo-sudamericano riguarda indistintamente destra e sinistra politica, caste e lobby a cui chiunque di noi può appartenere: in altri termini, quando è anche la società cosiddetta civile ad essere raccontata nei termini del nostro saggio, è veramente difficile poter accusare Stella e Rizzo di demagogia.
Ne consegue che il libro non piacerà a tutti: quei lettori che siano partigiani acritici di una parte politica, come quelli, sempre in difetto di autocritica, che appartengano ad una della categorie sociali e professionali prese di mira, difficilmente apprezzeranno.
Quanto riferito nella “Deriva” non risulterà del tutto nuovo, almeno per coloro che già conoscono le inchieste e i documenti citati da Stella e Rizzo, oppure i loro articoli sul Corriere della Sera: il saggio al più approfondisce temi e abomini spesso non più che accennati nelle pagine dei quotidiani del recente passato.
Sappiamo bene com’è lo stato dell’informazione in Italia: cronisti che facciano il mestiere di raccontare i fatti senza genuflettersi al politico di riferimento ed editorialisti che ci regalino una loro opinione basata su di fatto realmente accaduto, non abbondano; e se ci sono danno fastidio, diventano diffamatori per definizione.
Pare risulti più comodo interpretare la professione giornalistica e di editorialista alla stregua di un portavoce che commenta ad uso della propria parte politica quanto affermato da altri politici: la cronaca, non parliamo poi di quella giudiziaria, diventa così un mondo marginale a da assumere con particolare cautela e con abbondanti omissioni ed inesattezze.
Lo spirito che anima il libro lo si capisce anche grazie ad una citazione (pag. 238): “L’Ordine dei giornalisti è da abolire. Non ha alcuna funzione, se non quella comune a tutti gli ordini professionali: difendere le mafie di interessi corporativi” (Indro Montanelli).
Anche Rizzo e Stella, con le loro inchieste, malgrado possano pure averci marciato, visto il successo editoriale pressoché scontato, ma disattendendo comunque al detto “non disturbare il guidatore”, si sono dovuti sciroppare, oltre alla meritata dose di fama e di onori, non poche grane.
Leggete “La casta” oppure “La deriva” e capirete bene il motivo, nonostante lo stile dei due giornalisti sia particolarmente brillante e ricco di ironia.
Quello che si respira dalla prima all’ultima pagina è devastante e non si salva praticamente nessuno, né della classe politica, né della cosiddetta società civile, che poi forse tanto civile non è.
Un simile panorama di inefficienza, di sprechi economici e intellettuali, di prepotenza istituzionalizzata ad uso di caste impermeabili ad ogni buon senso e senso della misura, pur raccontati con abile senso del grottesco, non possono non lasciare il lettore, almeno quello più informato, nel mezzo del solito dilemma: rido oppure m’incazzo?

Edizione esaminata e brevi note

Sergio Rizzo è nato ad Ivrea nel 1956. Responsabile della redazione economica romana del “Corriere della Sera”, ha lavorato a “Milano Finanza”, al “Mondo” e al “Giornale”. Ha scritto con Franco Bechis “In nome della rosa. La storia della casa editrice Mondatori” pubblicato dalla Newton Compton” nel 1992.

Gian Antonio Stella è nato ad Asolo nel 1953. Inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”, dopo l’esordio nella saggistica con “Schei. Il mitico Nordest dal boom alla rivolta”, ha scritto numerosi libri. Tra i quali “Tribù. Foto di gruppo con Cavaliere”, “L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi”, “Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore”, “Sogni e fagotti” (con Maria Rosaria Ostuni), “Avanti popolo. Figure e figuri del nuovo potere italiano” e il romanzo “Il maestro magro”.

Gian Antonio Stella, Sergio Rizzo – La deriva. Perché l’Italia rischia il naufragio – Rizzoli, Milano 2008 – pag. 306

Recensione già pubblicata su ciao.it il 31 maggio 2008 e qui parzialmente modificata

Luca Menichetti, giugno 2008