Grudova Camilla

Alfabeto di bambola

Pubblicato il: 23 Marzo 2021

Tredici i racconti contenuti in “Alfabeto di bambola”. Ogni racconto è una sorta di viaggio nell’imprevedibile poiché tutto ciò che la Grudova narra non ha alcuna possibilità di poter essere immaginato. Tredici racconti che somigliano a tredici fiabe sbilenche ma perfette. Tredici fiabe che di sognante hanno poco. E quel poco che può avvicinarle al mondo dei sogni si riduce per lo più a un incubo. C’è chi ha rilevato nel mondo e nel modo della Grudova qualcosa di Angela Carter e qualcosa di Margaret Atwood. Personalmente ci ho trovato parecchio Kafka.

Le atmosfere di “Alfabeto di bambola” sono sempre surreali, semi-distopiche e grottesche. Ogni luogo e ogni personaggio porta con sé qualcosa di guasto, di disfatto, di avvizzito. Ci sono stanze piene di oggetti privi di vita o privi di bellezza e ogni descrizione lascia immaginare luoghi abbandonati o semplicemente vissuti male. Il fantasy si mescola all’horror che si mescola al giallo che si mescola al gotico che si mescola a chissà cos’altro. Di certo la sorpresa nello scoprire quel che avviene dopo non manca mai.

Credo che sia l’inquietudine la sensazione prevalente che pervade chiunque legga “Alfabeto di bambola”. Il primo impatto è con “Scucirsi” che ha un incipit notevole: “Un pomeriggio, dopo aver bevuto una tazza di caffè in soggiorno, Greta scoprì come scucirsi. I suoi vestiti, la pelle e i capelli le si staccarono di dosso come la scorza sbucciata di un frutto, e il suo vero corpo se li lasciò alle spalle. Greta era molto ordinata, così, prima ancora di prestare attenzione alla sua nuova fisionomia, scopò via quel vecchio sé e lo depose nella pattumiera, e la difficoltà di adoperare i nuovi arti non ostacolò in alcun modo la sua determinazione a tenere pulita la casa“. Le donne possono scucirsi, gli uomini no. La ragione è semplice: “Non avevano sé «veri e segreti» all’interno, soltanto quello che era insegnato e saputo“.

La presenza delle macchine da cucire è costante in quest’opera della Grudova. Ma sono costanti anche deformità e altri degradi che tramutano il mondo e le persone in qualcosa di assurdo e perfido. Il mondo che la scrittrice canadese mette su carta potrebbe arrivare da un lontanissimo passato, ma potrebbe benissimo appartenere a una crisi post apocalittica. In ogni caso anche negli universi solo immaginati dalla Grudova esiste un maschilismo radicato, latente e perfettamente congegnato che costringe le donne a subire brutalità svilenti perché divenute consuetudini istituzionalizzate.

Un gigantesco insetto nero. Era una macchina da cucire nera e dorata, un modello vecchio e maligno, attaccata a un tavolo da lavoro sotto il quale stava un pedale di metallo lavorato come le grate davanti ai forni o sopra le fognature“. In “La macchina di Agata” torna il feticcio della macchina da cucire. Qui il bizzarro meccanismo è in grado di dare vita a strani soggetti in barattolo direttamente connessi coi desideri di chi li ispira. Tra i miei racconti preferiti c’è “La triste storia del candelabro” in cui narrano le bizzarre vicissitudini di un candelabro nato dall’accoppiamento di un polpo e una polena a forma di sirena. Qui, ma anche altrove, viene a galla anche l’aguzza ironia di Camilla Grudova, un’ironia che sferza e viaggia veloce tra paradossi e figure imperdibili.

Stilisticamente molto divertente anche “Spratti ungheresi” costituito, in buona sostanza, da diverse pagine colme, semplicemente, di un elenco improbabile di oggetti e altre amenità che altro non sono che una lista di oggetti perduti dentro scatolette di metallo appartenenti a un fantomatico Barone Dąmbski: “un singolo fazzoletto, una confezione di pastiglie al sapore di liquirizia, gemelli d’argento, un dizionario tascabile inglese-tedesco, un dizionario tascabile polacco-italiano, un paio di binocoli da opera, mutande di seta, una pipa, un set di carte dai disegni erotici che ritraevano donne con animali esotici (leoni, elefanti ecc.), una scarpa spaiata, un intrico di bretelle nere che all’inizio furono scambiate per anguille, un pacchetto di preservativi fatti con budella di agnello, occhiali da lettura, piccole forbici dorate a forma di airone, grandi forbici argentate, una statuina di Arlecchino del diciottesimo secolo“.

Edizione esaminata e brevi note

Camilla Grudova è una scrittrice canadese. Ha conseguito una laurea in Storia dell’Arte e Tedesco presso la McGill University di Montreal. Alcuni dei suoi racconti sono apparsi su Granta e The White Review. La raccolta “Alfabeto di bambola” è stata finalista allo Shirley Jackson Award e al Danuta Gleed Literary Award. La Grudova vive a Edimburgo.

Camilla Grudova, “Alfabeto di bambola“, Il Saggiatore, Milano, 2020. Traduzione di Andrea Morstabilini. Titolo originale: “The Doll’s Alphabet” (2017).

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