MAGLIANI MARINO

PENINSULARIO

Pubblicato il: 9 Dicembre 2022

Marino Magliani è per me uno dei più grandi amici e maestri, quindi prendete questa mia recensione come il segno non solo dell’apprezzamento di un lettore, ma della profonda comprensione della natura di un artista. Perché di questo dobbiamo parlare, riferendoci all’opera di questo scrittore figlio del mondo, e non solo della Liguria e dei tanti paesi, in Europa e fuori, in cui ha abitato e abita ancora (penso alla sua Olanda). Peninsulario, uscito da poco per Italo Svevo Edizioni con la prefazione di Filippo Tuena, è infatti una cartina tornasole di tutta la sua cifra stilistica.

Formalmente è una raccolta di cinque racconti, ora più brevi, ora più lunghi, ma nella sostanza si tratta di uno di quegli esempi di ciò che – mutuando un termine dalla musica – mi piace chiamare “passacaglia letteraria”, ovvero una serie di variazioni su un tema di fondo, che si articolano in strutture sempre nuove. E il tema di fondo, qui, è l’anima, ovvero il genius loci della terra ligure, e segnatamente del Ponente di cui lui è originario.

Che si tratti delle schermaglie sentimental-erotiche di un gruppo di giovanotti in cerca del cammino lungo il mare e tra i rovi dell’entroterra sulle tracce di un fantomatico proprietario di canali televisivi e case editrici, o ancora di questioni di spaccio di “fumo” a cavallo tra Italia e Francia o di lavori di costruzione nelle aspre campagne che si arrampicano sulle alture a ridosso della costa, l’autore scende fin nel midollo dell’energia caratteristica di questa sottile e arcuata fetta d’Italia, dando la viva sensazione di usarne, come un ottimo artigiano – perché l’arte è fatta anche di sapiente artigianato – i materiali costitutivi, la terra, la roccia, il legname e la carne viva di persone vere o immaginate, per realizzare un affresco in costante movimento.

Il risultato di tutto questo è una scrittura che accompagna passo dopo passo nelle fibre intime delle situazioni evocate, per cui il lettore si sente profondamente , con un risultato subcreativo – ovvero di sospensione dell’incredulità – che personalmente ho sperimentato in pochi altri autori. Su tutti, penso al Tolkien da me a lungo studiato. E non cito a caso il padre del genere feerico, come lui diceva, giacché la parola “fantasy” lo svilisce fin troppo. Il punto è che, nel suo caso come in quello di Magliani, che pur è fondamentalmente realista, siamo di fronte a una narrativa “mitica”, perché riesce a recuperare, nelle pieghe dei fatti, dell’animo dei personaggi e dei luoghi stessi, i micro-quanti di energia che definiscono esattamente e in modo vivido e verace ciò che un fatto, uno stato d’animo e un luogo sono nella loro essenza, facendocelo avvertire con l’intensità di una netta cuspide percettiva.

Filippo Tuena, nella sua prefazione, ben sottolinea la fondamentale importanza del tema del ricordo. Sì, perché il segreto a mio avviso sta proprio qui. Il ricordo come elemento di distanza da ciò che è oggetto del pensiero e dei sentimenti di un uomo che vive per lo più lontano dalla sua terra, ma anche come ponte che, sia pur imperfettamente, lo ricollega a quei luoghi, quelle situazioni, quei personaggi. E ce lo spiega proprio Magliani, nel racconto “L’uomo veloce”, quello sull’imprenditore rincorso per i sentieri del Ponente: quando infine il protagonista riesce a rimediare, tramite lui, l’indirizzo della responsabile di redazione di una sua casa editrice, e le manda una proposta, ottiene dalla signora una risposta che non è né negativa né positiva, ma parla di racconti che sembra riguardino il nostos, «e invece il nostos non c’è» (pag. 89). E lui le ribatte educatamente che «non c’era di proposito, forse perché mica si tornava da nessuna parte, anche se in effetti si tornava, dal momento in cui si partiva. E il bello era lì, perché se non si torna non si parte e se non si parte non si torna» (pag. 90).

Insomma, i racconti di Magliani – e in fondo tutte le sue opere – vivono proprio in questa sospensione, perché sono l’espressione diretta della sua modalità esistenziale, appunto sospesa tra i mondi, la Liguria e l’Olanda, o prima la Spagna, l’Argentina o la Norvegia, di qua e di là dalla pozza, come in altri libri ha chiamato l’Oceano Atlantico; in una dimensione che è prima di tutto mentale, o forse, meglio ancora, emozional-energetica, fatta delle vibrazioni intime che sostanziano la luce, la terra, le acque del mare e la pelle brunita dal sole di tanti degli abitanti del Ponente – che si tratti di contadini, di lupi di mare o di splendide turiste in vacanza e relativi vitelloni al seguito. Ecco, dunque, che il vero luogo di ambientazione è in realtà un locus totalmente interiore, una “terra di mezzo” di Liguria perenne, in cui lo scrittore ritrova e ci fa trovare gli elementi essenziali di quella specifica variante di universo.

Non è un caso che sempre Tuena sottolinei l’impronta calviniana di questo approccio narrativo, riferendosi specificamente alle brevi descrizioni introduttive dei luoghi evocati all’inizio di ogni racconto, che ricordano un po’ Le città invisibili. Lo spirito è esattamente quello, sospeso tra la fiaba e il realismo, con la disinvoltura e la semplicità di chi sa – e io lo sostengo da vent’anni – che qualunque rigida barriera tra i generi letterari è esercizio sterile e dannoso, perché l’arte è una cosa sola con infinite varianti stilistiche, che ci toccano dentro da angolature diverse.

Dopo Il cannocchiale del tenente Dumont (ed. L’Orma, 2021), che è valso a Magliani il Premio Sergio Maldini e l’accesso alla dozzina dello Strega, un’altra eccellente prova d’autore, che sfida con la sua intensa genuinità tanta scrittura industriale e di cassetta in voga, non si sa poi perché, nel nostro paese.

Edizione esaminata e brevi note

Marino Magliani, originario di Dolcedo, nell’entroterra di Imperia, è un romanziere e autore di racconti, oltre che un traduttore letterario. È autore di numerosi romanzi, tra cui Quattro giorni per non morire, Il collezionista di tempo, Quella notte a DolcedoLa tana degli AlberibelliLa spiaggia dei cani romantici (uscito anche in spagnolo e in olandese), e ancora Amsterdam è una farfalla, Soggiorno a ZeewijkPrima che te lo dicano altri, ambientati tra la Liguria, l’Olanda (dove vive), la Spagna e l’Argentina, che ha conosciuto nei suoi numerosi viaggi. Notevoli anche le sue raccolte di racconti, tra cui ricordiamo in particolare Non rimpiango, non lacrimo, non chiamo, La ricerca del legname, Zoo a due e Carlos Paz e altre mitologie private, con cui ha vinto il Premio Chianti nel 2017. Con l’ultimo romanzo Il cannocchiale del tenente Dumont ha vinto l’edizione del 2022 del Premio “Sergio Maldini” per la narrativa di viaggio ed è entrato nella dozzina del Premio Strega.

Marino Magliani, Peninsulario, Italo Svevo Edizioni, 2022, pp. 161.