McEvoy Emma

Nella terra di nessuno

Pubblicato il: 16 Luglio 2014

Avi è un ragazzo israeliano rinchiuso in una prigione nel deserto del Negev. Non ha commesso particolari delitti. E’ stato arrestato perché rifiuta di servire l’esercito israeliano oltre i confini del 1967, nei territori occupati. “Dovrei essere a Gaza adesso, e attendere al mio servizio militare. Invece eccomi qui. Questo è l’evento più interessante da annotare sulla mia vita al momento“. Dalla sua cella Avi scrive la storia dell’amico Saleem, un arabo israeliano conosciuto per caso su una minuscola spiaggia. Un’amicizia speciale che forse in molti non sarebbero capaci di capire né condividere. Un’amicizia che si è interrotta a causa della morte di Saleem, ucciso dall’esercito israeliano mentre tentava di fermare un ragazzino pronto a lanciare un sasso contro un soldato.

“Nella terra di nessuno” è il primo romanzo di Emma McEvoy, un’irlandese che ha trascorso otto anni della sua vita in un kibbutz in Israele. Conosce quella terra e le sue lacerazione, ne conosce i colori, gli odori, le stagioni. Non è un caso, infatti, che nel corso di tutta la storia si soffermi con estrema accortezza sulla descrizione di ogni dettaglio ambientale e climatico: dalle sfumature del cielo all’odore della polvere, dalla spietatezza del caldo alle piogge che si fanno dorate, dal vento riarso del deserto ai freddi spiazzanti dell’inverno. Israele, come buona parte del mondo arabo, non è una terra facile da gestire. Lo sa bene Daniel, il padre di Avi, che fa il giardiniere in un kibbutz. E’ giunto dall’Inghilterra molti anni prima, ha combattuto per Israele perché fermamente convinto delle ragioni che hanno portato alla fondazione di una nazione ebraica. Poi, di ritorno dalla guerra, sui gradini della mensa ha visto e conosciuto Sareet, la donna che avrebbe sposato e dalla quale avrebbe avuto Avi.

Sareet, che ha perso i genitori e il fratellino in un attentato, dopo qualche anno dalla nascita di Avi inizia a mostrare profonda insofferenza. Non vuole rimanere nel kibbutz, non vuole rimanere in Israele. Supplica spesso Daniel affinché la porti in Inghilterra, il suo Paese d’origine. Ma l’uomo non vuole abbandonare la propria vita per nessuna ragione al mondo e Sareet, in un giorno caldissimo di luglio, quando Avi ha solo cinque anni, sparisce. Avi cresce senza una madre. Esattamente come Saleem che ha perso sua madre per colpa dell’ennesimo parto. Due sofferenze gemelle che sembrano avvicinare intimamente i due nonostante le palesi differenze: Avi è un ebreo nato e cresciuto da suo padre in un kibbutz, Saleem è un arabo israeliano tirato su da una nonna burbera ed arrabbiata, un’anziana costretta, molti anni prima, ad abbandonare la sua amata casa occupata subito dopo da una famiglia di ebrei.

Durante il mese di detenzione che ogni obiettore di coscienza è costretto a pagare, Avi riceve la visita di Sahar, la giovane vedova di Saleem. Sahar chiede ad Avi di aiutarla. “Vogliono farmi sposare Karim” (il fratello di Saleem) “Tuo padre era inglese. Hai diritto al passaporto inglese. Richiedilo. Mentre sei qui, compila i moduli e inviali. Spinge verso di me una pila di carte da sotto la rete. Questi moduli, sono tutti qui. Quando esci di qui, vai direttamente all’aeroporto. Ti aspetterò lì con i biglietti. Partiremo quella sera stessa. […] Quando si accorgeranno che sono andata via saremo già in volo per l’Inghilterra. Ci sposeremo così potrò restare legalmente. Ci troveremo un lavoro, tutti e due, e forse per la prima volta in vita nostra avremo del denaro“. Avi è sbalordito ma promette che ci penserà. Almeno quello.

“Nella terra di nessuno” prevede una lettura lenta perché è un romanzo formalmente complesso. Le vicende di tutti i personaggi sono scandagliate minuziosamente e, soprattutto, sono ridotte in una serie infinita di brandelli. Una storia che procede per strappi e che, proprio per questo, si può ricomporre solo alla fine. Le voci si rincorrono nel tempo, i flashback si accavallano e si mescolano al presente: una meccanica narrativa vagamente contorta che può spiazzare e rendere la lettura non proprio agevole. Lo stile della scrittrice irlandese è pacato, persino troppo delicato e diafano. Nelle atmosfere che costruisce c’è una certa decadenza, una sorta di costante disfacimento e, soprattutto, infinite fragilità. Quelle che, evidentemente, caratterizzano l’esistenza di chiunque viva in una terra come Israele in cui impera un conflitto perenne. La sensazione è che tra arabi ed israeliani, nonostante il tempo e le guerre, non ci sia mai un vincitore né uno sconfitto perché tutti perdono allo stesso modo.

Edizione esaminata e brevi note

Emma McEvoy è nata nel 1973 a Dalkey, in Irlanda. Ha studiato Storia e Scienze Politiche presso l’università di Dublino e, successivamente, ha vissuto per otto anni in un kibbutz in Israele. Successivamente è tornata nella sua terra d’origine ed ora vive nel West Cork con la sua famiglia. “Nella terra di nessuno” è il suo primo romanzo.

Emma McEvoy, “Nella terra di nessuno“, Nutrimenti, Roma, 2014. Traduzione di Dora Di Marco. Titolo originale: “The Inbetween People” (2013).

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