Un “corpo estraneo” è qualcosa che non trova la propria collocazione. Una sorta di alieno che si muove in un contesto che non gli appartiene. Un “corpo estraneo” rischia di essere risucchiato oppure espulso. E di “corpi estranei” in questo romanzo della Ozick ce ne sono diversi: i vari personaggi, ognuno a modo proprio, sembrano essere “corpi estranei”. Estranei al tempo che vivono, estranei alla famiglia a cui appartengono, estranei al luogo in cui si trovano. E forse è per questo che le figure che popolano “Corpi estranei” si muovono in continuazione: sembrano cercare, più o meno disperatamente, una collocazione accettabile.
Beatrice Nightingale (trasposizione americana del cognome ebreo russo originario Nachtigall) appartiene a “quella categoria di ridicole e ben riconoscibili insegnanti donne di mezza età che mettono da parte i risparmi per le vagheggiate vacanze estive nelle più romantiche capitali d’Europa“. Bea vive a New York, ha 48 anni, un ex marito musicista che le ha lasciato in eredità un vecchio ed ingombrante pianoforte ed è appena rientrata da un viaggio a Parigi. Nell’estate del 1952 l’Europa è investita da un’ondata di caldo torrido e muoversi tra le afose strade della capitale francese non è sempre un piacere per la corpulenta insegnante americana. Beatrice ci ha messo buona volontà ma il nipote Julian, figlio di suo fratello Marvin, è introvabile. Ha un bel dire Marvin, attraverso le sue detestabili lettere, che vuole a tutti i costi che Julian torni a casa: il ragazzo sembra sparito tra i gorghi di una Parigi fin troppo piena di gente di ogni nazionalità.
L’Europa è appena uscita da una guerra e da un altro cataclisma, la Shoah, che la Ozick non nomina mai ma che fa strisciare fiocamente tra le splendide pagine di questo romanzo. L’Europa non è l’America. L’Europa negli anni ’50 è un caos che cerca una ragione, un continente che vibra nella sua decadenza in una sorta di sbaraglio senza limiti. Forse gli americani come Julian, giovani e senza un obiettivo, sono attratti fin troppo semplicisticamente da miti che funzionano bene solo sui libri. “Si trovavano nei caffè a spettegolare e a parlar male di tutti assaporando le vecchie storie della generazione perduta, e a disprezzare quel che si erano lasciati alle spalle. Si scambiavano amanti di entrambi i sessi e giocavano all’esistenzialismo e fondavano riviste all’avanguardia nella quali si pubblicavano gli uni con gli altri e si gloriavano di aver visto Sartre al Deux-Magots, ed erano orgogliosamente, implacabilmente, incessantemente consapevoli della propria giovinezza“.
Marvin è un uomo energico ed arrogante, pedante e brutale. Un affarista che si è fatto da sé e con il rilevante aiuto della potente famiglia della moglie Margaret. Da anni non ha più rapporti con sua sorella Beatrice che considera un’incapace, ma ricorre a lei pretendendo che gli riporti indietro quell’incomprensibile figlio che da tre anni vive in Francia e di cui, ormai, non sa quasi nulla. Julian, d’altro canto, è lontano da casa proprio per scappare da quel padre prepotente. Iris, invece, è stata solo un po’ più furba: ha accettato le mire paterne e ha dato l’impressione di voler seguire alla lettera le ambizioni di Marvin. Eppure Iris segue suo fratello Julian. Va a Parigi per cercarlo ma finisce per rimanere in Francia ben oltre le aspettative e, anche lei, per allontanarsi dalle grinfie paterne. Zia Bea cerca di recuperarli entrambi ma fallisce: Julian ed Iris la snobbano allegramente. Ma Bea ora sa cose che Marvin neppure immagina: Julian ha sposato una rumena ossuta e dalla pelle scura che ha almeno dieci anni più di lui.
La moglie di Julian si chiama Lili. E’ uno dei personaggi minori di “Corpi estranei” eppure è quello che mi ha attirato e commosso di più. Forse perché in lei la Ozick ha iniettato la sostanza tragica ed indicibile dell’Olocausto. Nel suo misterioso passato ci sono sofferenze inflitte che si riversano testarde dentro ogni suo incubo. Lili che parla tante lingue, Lili che porta camicie con le maniche lunghe anche d’estate, Lili che ha il ventre squarciato da un pettine di metallo, Lili che aiuta i profughi giunti a Parigi ad andare da qualche altra parte, Lili che non ha più un marito né un figlio, Lili che insegna a Julian cosa sia la morte.
Ho letto da più parti che “Corpi estranei” rappresenta una versione in negativo de “Gli ambasciatori”, romanzo del 1903 di Henry James. Non ho letto James e in merito a tale parallelismo non posso pronunciarmi. Ciò che posso dire, però, è che “Corpi estranei” è un romanzo eccellente. Una storia complessa che si elabora pagina dopo pagina. Una commistione di personaggi costruiti in maniera magistrale da una scrittrice che sto imparando ad amare sempre di più. La sua scrittura è vigorosa e potente, il suo procedere incalza e coinvolge. Gli equilibri narrativi di “Corpi estranei” sono perfetti almeno quanto sono imperfetti quelli vissuti dai suoi personaggi che, come scrive Simona Vinci nella premessa, sono “sospesi tra più mondi, impossibilitati ad aderire davvero e fino in fondo a un luogo e a una comunità, come semi ai quali il troppo vento che soffia impedisce di fermarsi da qualche parte e di cominciare a buttare la prima minuscola radice“.
Edizione esaminata e brevi note
Cynthia Ozick è nata a New York nel 1928 da genitori ebrei russi. L’educazione religiosa che ha ricevuto non le ha proibito di conservare una mentalità comunque laica. Ha studiato Letteratura presso la New York University ed ha ottenuto un master alla Ohio State University. Il suo romanzo d’esordio si intitola “Trust” ed è apparso nel 1966. Nella sua carriera ha conquistato numerosi premi e riconoscimenti letterari ed è considerata una delle migliori scrittrici americane contemporanee. Tra le sue opere tradotte in italiano: “Il rabbino pagano”, “La galassia cannibale“, “Il Messia di Stoccolma“, “Lo scialle”, “Eredi di un mondo lucente”, “La farfalla e il semaforo”, “Corpi estranei“.
Cynthia Ozick, “Corpi estranei”, Bompiani, Milano, 2011. Traduzione e prefazione di Simona Vinci. Titolo originale: “Foreign bodies” (2010).
Pagine Internet su Cynthia Ozick: Wikipedia / Jewish Virtual Library / New York Times
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