Troisio Luciano

Intervista a Luciano Troisio – Locations, Impermanenza. L’amore al tempo del pc

Pubblicato il: 21 Dicembre 2012

Locations, impermanenza l’Amore al tempo del pc” è l’ultima raccolta poetica di Luciano Troisio. Sono poesie nate spesso durante i suoi lunghi viaggi in Oriente, come ben indicano luogo e data (a volte ora addirittura) di composizione. Altre volte invece i versi sono nati a Padova, nel quartiere Arcella, dove l’Autore abita.

Non si tratta però solo di bei quadri orientali, suggestivi e originali, il tessuto poetico è permeato d’interrogativi sul mondo, sul suo esistere, “Il mondo è solo nella mente/al di fuori ci è vietato” “il mondo è un ologramma” e sulla scienza e i suoi traguardi più recenti. Con ironia e precisione Troisio guarda al mondo e alla sua sostanziale Nullità, al vano agitarsi degli uomini, alla loro ricerca di senso.

Si stagliano nette le luci della Bellezza, sia quella naturale in forma di giardini lussureggianti, sia quella umana nelle vesti femminili, bellezza che sempre attrae il poeta e pare rasserenarlo.

In questa dettagliata intervista abbiamo invitato l’Autore a spiegarci il suo ultimo lavoro e a illustrarci il suo pensiero.

1 “Locations, impermanenza, l’amore ai tempi del pc”: come hai scelto questo titolo (in due lingue, oltretutto), che cosa vuol significare. Impermanenza, mi sembra già una parola evocativa….

R: Il titolo definitivo è arrivato come sempre all’ultimo momento, all’ultima bozza, dopo difficile gestazione. Ho stampato una pre-edizione in dieci copie, molto più voluminosa, intitolata: L’amore al tempo del pc. (Il pc allude a un fondamentale oggetto accompagnante e tramite col mondo dei materiali che non mi abbandona mai durante i miei viaggi. Il pc allude a una temuta, grave “perdita”). L’ho spedita a pochi amici, che l’hanno letta e ci hanno scritto sopra recensioni, riflessioni, saggi. Nel frattempo ho avuto dei ripensamenti su parecchi testi, e da père sèvère li ho sacrificati, perché ho sempre presente lo spettro dell’inutilità.

Ma altri ne ho anche inseriti, scritti all’ultimo momento a Padova, con valore di spiegazione e guida/chiarimento. Sono facilmente individuabili, dalle date più recenti e dal luogo (Padova Arcella).

Un paio di anni fa – l’arco della raccolta comprende circa sei anni- avrei voluto intitolarlo: Paesaggi della nostra impermanenza. Perché una delle mie linee fondamentali (che mi guardo bene dal rinnegare), è l’adesione/aderenza al Paesaggio; poi qualcuno mi ha ricordato che descrivere paesaggi è troppo legato al “carezzare il corpo della madre” (lo sapevo già dagli anni Sessanta). L’ho scritto altre volte: l’”area cultissima” veneta non può prescindere dal Postpetrarchismo (inteso pressappoco come Bellezza>Donna Angelicata>Gatta Spelacchiata>Paesaggio Sublimato>Retorica>Inutilità).

Alla fine ho dato la preferenza alle Locations, intese come palcoscenici artificiali, un non-mondo allestito per i fatti nostri, orribile o anche turistico-meraviglioso, un mondo per Alice e homeless, un mondo pulito e bello, come le isole da sogno, che a pochi metri dalle coste incantevoli hanno colline di rifiuti maleodoranti mimetizzati nella foresta.

In questo senso lo considero erede del Post-Neopetrarchismo made in Veneto, prima sui Colli Euganei di Arquà, poi sul Montello del Galateo in bosco, dove però vige la Legge della Yungla. Un concetto già chiaro negli anni Cinquanta (dietro il Paesaggio). Ma nel Sessantotto: Napalm dietro il Paesaggio.

Impermanenza”allude al fatto che in questo set gli “attori-attanti” vivono nascono muoiono amano uccidono, solo per un breve segmento, poi vengono sostituiti da altri miseri turisti, da altre Alici da altri homeless. I turni sono insensati, i Paesaggi rimangono, almeno si spera.

2 Le poesie riportano molto spesso la data e anche il luogo in cui sono state scritte, a volte addirittura l’ora: è importante il tempo per la poesia? E quando scrivi che il tempo non esiste che cosa vuoi dire?

R.: È molto importante. Per quanto mi riguarda questi dati mi rammentano anche altre cose privatissime relative al mio viaggio, a quel giorno, alle foto che ho scattato nel contesto ecc. Ma scrivendo, il tempo diventa quello di Bergson, quindi è come se si scrivesse in una ideale dimensione T con zero, fuori del tempo (inteso come durata, sebbene poi ci sia quasi sempre un lungo e a volte noioso labor limae, quest’ultimo inserito nel banale decorso del tempo).

3. Genesi dell’opera (che si estende in un arco cronologico abbastanza ampio). Come si colloca nella tua lunga produzione?

R.: La mia prima silloge è: L’angelo alle spalle, pubblicato nel 60 da Rebellato nella prestigiosa collana degli Zecchini d’oro. C’era ancora quasi un sacro timore reverenziale, un rispetto, un affacciarsi adolescenziale, una paura di “sporcare” il mondo bellissimo.

Nell’Ottanta tutto era mutato, maturato, pieno di energia pericolosa e contraddittoria; alla “fine di un periodo”, quasi come consuntivo traballante, pubblicai Precario, da Lacaita. Ormai facevo parte della neoavanguardia di masnadieri che avanzavano distruggendo tutto. Un’avventura travolgente, assieme a indesiderata gentaglia, ladri, prevaricatori; ma anche amici per bene e ottimi poeti. Per parte mia: volontà acribica, faticosa, quasi stanca, a volte crudele e disorientante, mai priva di profonda umanità.

Verso la fine del millennio, avendo capito che i maestri non sono affatto infallibili, che se ne vanno e dobbiamo pensare da soli, ho reagito all’oscurità e alla rottura della bussola, ora stabilizzato, dall’interno dell’Accademia, da cui mi sentivo totalmente estraniato, pur costretto al ruolo di maestro, non più allievo (se non on the road), chiedendo aiuto all’ordine che sopravvive anche nella vigna di Renzo, nelle regole automatiche (del Galateo) che vigono perfino nelle foreste esotiche. Quel mondo si era esteso di molto, fino ai limiti dei grandi oceani. Il mio soprannome Sinicopleuste (Lett.: che ha navigato fino alla Cina) allude ai miei forsennati viaggi compiuti da solo, disprezzato dai maestri-padri forse umiliati dal mio imprevedibile tradimento, dal mio allontanamento/divorzio, dal mio rifiuto del ruolo di loro mediocre servitore/cortesan, che la dice lunga sull’autonomia/libertà. La quale presuppone solitudine, rifiuto/assenza di padrini, di ancelle e nutrici.

Una fase intermedia, di allontanamento, di presa di coscienza che forse la comunicazione è almeno in parte possibile, è costituita dalla centrale silloge Prove di diluizione, pubblicata sulla rivista border-line “La Battana”, con un saggio introduttivo di Franca Bentivoglio, e questo prima della fine del 1999, quando molti si preoccupavano del disastro che avrebbe provocato il cosiddetto Baco.

Poi le speranze nel nuovo millennio, per il momento deludenti.

Locations, impermanenza dice della comunicabilità, del desiderio di parlare di poesia con gli altri, dice del mondo visitato, esaminato, digesto in diurnalis-giornale, affinché resti traccia delle cose anche minime, che non la lascerebbero, come le sciocche orme di un cagnolino che cammini su mattoni freschi.

Attenzione, non tutto riguarda il viaggio: ci sono parecchie pagine che sono riflessioni più generali e quasi filosofiche (su cosmogonia ed escatologia), altre dedicate ai fiori, a sogni angoscianti, ecc. Il sostegno del pc è il filo segreto che lega i testi, rende comprensibili i decollanti “salti” del non detto.

Potrei attingere alle varie recensioni, ma non voglio. Chi vuole se le legga.

4 A metà libro c’è una pagina bianca “omaggio di Luciano Troisio”, già altre volte l’hai inserita. Perché è così importante, che cosa vuole dirci?

R.: Ho inserito una page intentionally blank in Parnaso d’oriente, pubblicato da Marsilio nel 2004.

La pagina (o meglio carta) bianca allude a molte cose: soprattutto alla violenta-virtuale cancellazione totale del Reale, al Blanchissage lavacro delle lavandaie-lavatrici, al Blanchissement degli intellettuali del non dire, ridotti al lumicino e al foglio bianco, al quadro bianco costosissimo (che non acquisterò mai). Quindi la tendenza avanguardistica (nonostante le varie autopsie) non si è ancora estinta. Allude alla centralissima figura della Ticoscopia (dal greco: osservazione del muro), splendida idea già nota migliaia di anni fa, seppur con diverso significato, e cioè letteralmente “visione dal muro, dall’alto delle mura” (di una città sotto assedio) si informa (la platea) su quello che si vede fuori scena, fuori campo.

La cosa è molto interessante per me, per il fatto che si tratta di una location, di un set dove si informa efficacemente su ciò che si è visto fuori (del testo) delle locations, e quindi l’invito ai pronomi deittici può essere accettato attraverso la mediazione di una carta bianca, sulla quale bene integrare le informazioni, con nuovi testi altrui, ma soprattutto, ecco la novità, anche con disegni e immagini.

[Il vero valore della ticoscopia consiste nel trasmettere informazione/descrizione con grande efficacia. Ticoscopia (in latino Evidentia): descrizione di cose assenti dalla realtà, presenti nella fantasia (ipotiposi).]

Anni fa, alla Biennale di Venezia, il padiglione degli USA distribuiva gratis enormi fogli bianchi un metro per settanta, con una luttuosa cornice nera in tre redazioni differenti. Dichiarava la sua incapacità di “dire”, chiedeva all’Altro di collaborare alla sua opera. Io e Mirella non ne prendemmo nemmeno uno. Il giardino di Sant’Elena era costellato di cesti di rifiuti pieni di questi scroll, prima arrotolati, poi presto abbandonati. Sembra un episodio secondario. Invece si dovrebbe rifletterci a lungo (anche solo sull’assenza, sul rifiuto di collaborare).

Ancora significa che chiedo all’Altro, ai “pronomi deittici”, (al fatico Caso Vocativo), invoco un carteggio, un dialogo. Gli fornisco come melliflua esca il foglio bianco perché non abbia scuse.

E ancora un po’ ironicamente, significa che il mio messaggio non arriverà al destinatario (che non saprà mai di questo dono-preghiera, per il semplice fatto che nessuno comprerà il libro…)

5 Ci sono ancora poeti italiani contemporanei che apprezzi e chi sono. Oppure chi rileggi?

R.: Rileggo i grandi della prima metà del Novecento, non rinnego le “cotte” che ebbi da giovane. Riesamino con affettuoso distacco. Cerco di astenermi dai poeti di fine millennio, sebbene abbia ormai accumulato sufficienti anticorpi per rischiare qualsiasi immunodeficienza, avendoli conosciuti da vicino (e quindi disprezzati). Leggo anche stranieri, italiani dei secoli scorsi, non compero la rivista “Poesia”. In compenso ricevo altre riviste (avanguardie ormai esodate che si ripetono identiche da trent’anni), e visito quelle on line. Evito le grandi collane che mi sembrano decadute e inaffidabili. Non leggo i miei allievi di successo che hanno tradito (del resto il “Maestro-Guru” va intanto ucciso, se si vuole liberare il suo posto). Seguo alcuni giovani e gli emarginati in generale, sono molto interessato al vivace dibattito sulla poesia. Leggo per imparare da tutti, mi pare che molti poeti siano più brillanti come saggisti, trovo parecchie poetesse piuttosto disinformate. Mi contraddico stimando moltissimo due poetesse amiche, di intensa felicità e bravura (una veneziana, di originale celestiale delicatezza, e una anche dialettale, napoletana, provvista di eccezionale forza espressiva).

6 Tu hai partecipato alla Neoavanguardia: è rimasto qualcosa di quell’esperienza, ne hai un po’ di nostalgia?

R. Ne ho molta nostalgia, perché ero giovane, c’erano “molti che mi corrispondevano”, la poesia ci coinvolgeva a tempo pieno quasi quanto le belle ragazze. In quella fase ho fortemente virato dalla mitezza veneta della pittura dei geni del Rinascimento, al cataclisma, all’Albedo, agli acciai nucleari, al napalm, ai disastri della pars destruens, agli spretati sacerdoti dell’Incomunicabilità, alla polvere del campo fottuto sterrato; (dall’Evidenza emergeva il Subbuglio).

Ma in poco tempo mi sono reso conto che non esistono boni doctores. Che quando l’apprendista ha “appreso” i prima elementa, poi la posizione migliore in assoluto è quella dello Sperimentalismo. Si potrà obiettare che questa è un’ottima scusa per evitare una “scelta etica”, grata soprattutto alle ideologie e alle destre (purtroppo non ci sono più le illuminate destre liberali e colte d’antan).

Ma: la Poesia non divide gli uomini in ideologie, e ha L’Uomo come Fine, perché non dimentica l’Utopia.

7 Distanza tra l’odierna editoria di poesia e quella del passato. Tu hai conosciuto editori e stampatori. Raccontaci di queste esperienze. Tu stesso ti sei occupato di stampa in passato, mi sembra.

R.: Ho conosciuto molte persone. Il mondo era molto diverso, la compagnia dei poeti mi dava un’intensa felicità. Si parlava e si discuteva amabilmente anche con persone di idee diverse, mi sembrava che fossero più sinceri. A volte sfoglio con malinconia certe antologie nostrane degli anni Cinquanta. Il Filtro era migliore, più selettivo. Quella di Amicucci ha perfino uno straordinario inserto fotografico. Ci sono le foto della prima Comunione di Liliana Cavani, Andrea Zanzotto, Sandro Zanotto, e altri poi famosi, di cui non ricordo il nome: un vero divertimento.

Ho avuto “un grande avvenire alle spalle”, collaborando con grandi artisti. Ho passato assieme a loro le più belle giornate della mia vita. Mi stimavano moltissimo, erano molto generosi (eppure avevano fama di tirchi). Negli anni Sessanta-Settanta hanno illustrato con celebri immagini i miei versi, i miei racconti. Tono veniva a stampare negli antri dei Litografi. Mi permetteva di assistere in silenzio mentre lavorava alle matrici. Gli operai-artisti salivano scendevano in pantaloni corti da vecchi macchinari bestemmiando. Poi si andava a mangiare là vicino, qualche fast cicheto, polenta e museto, sponcionsini, mezzo litro di rosso e subito al lavoro. I risultati erano geniali.

Grandi Maestri che si chiamavano Giovanni Barbisan, Giovanni Comisso, Mino Maccari, Orfeo Tamburi, Tono Zancanaro, Walter Piacesi. Escluso quest’ultimo se ne sono andati tutti. Molti non sanno che Comisso era anche pittore e divertito litografo. Molti non sanno che Maccari aveva una tale simpatia per me, che mi propose di fare un libro insieme, che venne bellissimo perché contiene varie sue silografie originali tratte da numeri de Il Selvaggio e mai più ristampate. Famosissimo il suo autoritratto e il ritratto di Curzio Malaparte.

Ora è più difficile collaborare con artisti. Lo fanno solo per soldi e ne chiedono subito troppi, ritenendosi dei geni. Ma ce ne sono ancora dal volto umano, che hanno la gioiosa pazienza di leggere, ascoltare, illustrare i miei testi. Tra i migliori mi pregio citare Andreina Bertelli, André Beuchat, Albino Palma; surreali, figurativi, ironici, assolutamente fuori moda, perché ora va molto la “cagata” informale, purché vittoriosa a Venezia.

Allora potevo “parlare” con gente seria, veri poeti, vincevo premietti, medaglie d’oro. Ora non più. Non è più possibile leggere i propri testi a persone di fiducia. Non mando nulla ai concorsi, perché bisogna accordarsi prima con i potenti a libro paga.

Il mondo dell’editoria è molto peggiorato (omissis!), ma ora chiunque può facilmente pubblicare i suoi versi spendendo poco, e questo è un bene.

Nauseato, io mi affido alla ottima Cooperativa dell’Università di Padova, pubblico 200-300 copie, più che sufficienti a soddisfare l’ingordigia nazionale.

8 La prossima opera, il prossimo viaggio.

R.: Intendo pubblicare un altro volume di diari asiatici, con particolare attenzione alla mia “prima volta” in Cambogia e Myanmar.

Nel prossimo viaggio desidererei presenziare alla solenne cremazione del ex re Norodom Sihanouk.

9 Un’ultima curiosità: a un certo punto nel libro si adombra la presenza di possibili esistenze extraterrestri: che ne dici?

R.: La cosa mi intriga moltissimo fin dalla giovinezza. Avrei voluto catalogare le descrizioni di oggetti visti nel cielo nei secoli scorsi, raccogliere le silografie e incisioni che li rappresentano. Il più celebre è il Volantino di Basilea. Ma anche la Cronica di Norimberga (1498) ne raffigura alcuni. Giulio Ossequiente, vissuto nel primo secolo dopo Cristo, nella sua opera De Prodigiis ne elenca parecchi. (Descrive anche statue piangenti).

Temo che là fuori, l’apparentemente omogeneo vuoto sia dannatamente complicato. Negare vita esterna significa ripetere l’errore superbamente egocentrico dei secoli scorsi. Ammettere vita intelligente, probabile anche solo matematicamente, significa però cadere nell’abisso dell’angoscia, porta al crollo di principi e dogmi fondamentali. Naturalmente parlo per noi Cristiani, essendo Cristo Figlio Unigenito di Dio e uomo degno di fede.

(Dovrà dunque reincarnarsi in ogni pianeta abitabile? Lo avrà già fatto? O saranno esseri angelici, già salvati, alieni indipendenti dalla nostra materia? E quanto gli viene a costare la manutenzione dei loro stupefacenti velivoli? E avranno la mutua?)

[Desidero narrare un piccolo ma importante episodio (che tu conosci già, e che è bene sapere): S.E. il Vescovo Loris Capovilla, veneziano, che fu fedele segretario di Papa Giovanni, vent’anni dopo la morte del Pontefice, rivelò che a Castelgandolfo una notte, mentre passeggiavano, atterrò un’astronave nel prato. Loro si inginocchiarono, uscì un uomo normale (con orecchie più grandi) avvolto da un’aura di luce. Il Papa si alzò e camminò verso di lui e stettero uno di fronte all’altro per 20 minuti. Poi ripartì. Il Papa tornò verso Don Loris e gli disse soltanto due parole: sono dovunque. Relata refero.

Ma a Medjugorje, quando i veggenti rivolsero alla Vergine questo quesito, Ella rispose che siamo unici, che l’Umanità è sola nell’Universo.]

intervista apparsa su lankelot.eu nel dicembre 2012

Edizione esaminata e brevi note

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Luciano Troisio (Monfalcone 1938), ricercatore del Dipartimento di italianistica dell’Università di Padova, ha insegnato nelle Università di Pechino, Shangai, Bratislava, Lubiana. Ha pubblicato numerosi volumi dedicati alla poesia: By logos, esproprio transpoetico, 1979; Folia sine nomine, 1981; e La Trasparenza dello scriba, 1982 (con Cesare Ruffato); La poesia nel Veneto, 1985; Ragioni e canoni del corpo, 2001; Linee odierne della poesia italiana, 2001. Inoltre ha pubblicato le raccolte poetiche: L’angelo alle spalle, 1960; Anamnesi in tre versioni, 1965; Parigi nord-sud, 1966; Indicativo imperfetto, 1968;Precario, 1980; Persistenza del cavallino, 1984; I giardini della maharani, 1986; Le poetesse cinesi, 2000;  Three or four girls, 2002, Strawberry stop (2007).

In dialetto altopadovano:Drìoghe ai poeti, 2001.

In prosa:Tirtagangga e varie sorgenti, 1999; Viaggio a Ko Ciang2001;Nuvole di drago, 2003;  La ladra di pannocchie 2004, Quindici alibi (2011).

Studioso, globetrotter, flaneur, i suoi campi d’attenzione sono nell’ordine: la scrittura, l’Asia, l’immagine (specialmente la fotografia e la grafica d’arte). Sue opere sono state illustrate da Emilio Baracco, Giovanni Barbisan, Andreina Bertelli, Renzo Biasion, Mino Maccari, Cesco Magnolato, Walter Piacesi, Gianni Poggeschi, Orfeo Tamburi, Hugo Wulz, Tono Zancanaro.

Luciano Troisio, Locations,impermanenza l’Amore al tempo del pc, Padova, Cleup 2012.