Tobino Mario

Il Clandestino

Pubblicato il: 1 Giugno 2009

Fu un amore, amici,

che doveva finire;

credemmo che gli uomini fossero santi,

i cattivi uccisi da noi,

credemmo diventasse tutta festa e perdono,

le piante stormissero fanfare di verde,

la morte premio che brilla

come sul petto del bambino

la medaglia alle scuole elementari.

Con pena, con lunga ritrosia,

ci ricredemmo.

Rimane in noi il giglio di quell’amore”.

“Il Clandestino” è un romanzo che gronda vitalità e freschezza e riesce a spiazzare i lettori di Tobino, autore che ci aveva abituati al lirismo, a libri con una loro unità, ma realizzati per episodi, dove la prosa si sviluppava con una certa immediatezza, prorompeva libertaria e trasudava lo spirito vitale del suo autore.

Qui Tobino ha costruito un romanzo solido, con un suo impianto narrativo, le sue spiegazioni storiche, le descrizioni, l’analisi di personaggi e paesaggio, ma, a ben guardare, la sua vitalità, la sua passione per l’essere umano sono rimasti intatti e Tobino è riuscito a narrare vicende storiche – l’inizio della Resistenza – con i toni dell’avventura, della saga eroica.

Scritto tra il 1956 e il 1961 “Il clandestino” ottenne grande successo di pubblico, ma lasciò sconcertata la critica proprio per il suo tono diverso rispetto alle opere precedenti di Tobino.

Il romanzo è ambientato a Medusa, in cui si riconosce Viareggio, città dell’Autore, località balneare e turistica, stretta tra mare e rilievi appenninici, dotata di una sua vita mondana e sociale, sensibile alla politica e facile a infiammarsi.

Le vicende iniziano il 25 luglio ’43 con l’annuncio della caduta del fascismo, quando un gruppo clandestino – già esistente – costituito in prevalenza da giovani tra i venti e i trent’anni, decide di agire, organizza un comizio nella piazza principale e fa stampare dei volantini.

Finiranno incarcerati, ma solo per breve tempo e soprattutto quello “strano carnevale” di quarantacinque giorni preparerà la situazione ben più grave dell’8 settembre ’43, quando la lotta si farà più seria e difficile.

L’attenzione di Tobino si concentra nei mesi compresi tra l’8 settembre e la chiamata alle armi, avvenuta prima dell’estate successiva, per i ragazzi di venti e ventun anni, da parte della neonata repubblica di Salò: allora il “clandestino” finisce e inizia la Resistenza vera e propria, la lotta armata in formazioni di tipo militare.

Una scelta s’imporrà e numerosi giovani, vuoi per opportunismo, vuoi per ideale, guarderanno ai ragazzi del clandestino come a “fratelli maggiori” e si uniranno alla loro causa.

Il romanzo di Tobino è d’ampio respiro, fitto di personaggi – tanto che qualche volta la trama rischia di disperdersi – non fazioso e antiretorico, è un libro vivo e palpitante d’ideali e d’entusiasmo.

L’Autore evidenzia che la Resistenza, fin dai suoi albori, fu vissuta soprattutto dai giovani, i più anziani, quelli che hanno subito le violenze del fascismo o il carcere, sono solitari, isolati nei loro ricordi e nei loro sentimenti e noiosi agli occhi dei ragazzi, pervasi di entusiasmo e spontaneità.

Ha un qualcosa di epico e scanzonato insieme la scena in cui i nostri eroi partono in bicicletta – e in diciannove – col fucile sul manubrio per la primissima organizzazione, che avrà come base la casa in collina di uno di loro.

Eppure tutto sembra esser spontaneo nel loro agire, lo slancio entusiastico ha il sopravvento anche se sono consapevoli di essere in pochi, per nulla organizzati, privi di risorse. Politicamente si collocano a sinistra, riescono a definirsi marxisti o leninisti, ma non sono del tutto consapevoli del significato di queste parole, non hanno ancora avuto contatti col Partito, li avranno in seguito, quando la situazione evolverà e non sempre si troveranno d’accordo con l’Organizzazione centrale.

Tobino non tralascia la sua ironia: “Ancora il clandestino di Medusa non aveva toccato le acque del Gange, gli unti del Signore, i veri, i grandi compagni”. (p.115)

Per loro il comunismo è “la speranza del futuro, la fiducia negli uomini, la loro elevazione, il bene vittorioso sul male, l’egoismo piegato dalla generosità”. (p.26)

Non è l’ideologia a trionfare in questo romanzo, sono la passione, l’umanità, il sorgere di solidarietà nuove tra le miserie e la devastazione della guerra, la capacità di scegliere, la freschezza di animi infiammati dal desiderio di libertà opposti alla tetraggine della dittatura.

Tutto sembra evolvere con naturalezza: ciascuno assolve i propri compiti in base alle capacità, chi comanda è il più adatto e viene accettato da tutti, l’entusiasmo è forte, i legami d’amicizia e solidarietà costituiscono linfa vitale, si stagliano anche delicati ritratti femminili.

Tobino ci presenta una galleria di personaggi ben delineati, vivi, appartenenti a classi sociali diverse, si va dal laureato al muratore e al calafato.

Memorabili il Summonti, detto il “prete rosso”, futuro commissario politico e l’ammiraglio Saverio, vecchio monarchico, sognatore e aristocratico, appassionato della Regia Marina. Insieme alla sua amante, la deliziosa e sensuale Nelly, aiuterà i giovani. E poi il Mosca, il calafato Adriatico, il filosofo Duchen, il borghese e benestante Roderigo, che mette a disposizione beni e strutture.

Non manca il dottor Anselmo, l’alter ego tobiniano, alto e biondo, occhi azzurri, è reduce dalla Libia per una ferita e vive un momento di stanchezza, di debolezza, vuole solo dimenticare le brutture della guerra, ma poi, poco per volta, prende coscienza della necessità d’impegnarsi, anche perché ha sempre detestato il fascismo e la mancanza di libertà. Diverrà il “diplomatico” e l’autista del gruppo e sarà uno dei primi ad agire sul serio, con le armi, al momento opportuno.

Ciascun personaggio seguirà un suo itinerario di consapevolezza e formazione e ciascuno sembra venire valorizzato, nell’azione, per le proprie effettive qualità.

Se quelli del clandestino sono gli eroi del romanzo, cui vanno le simpatie dell’Autore, i fascisti non costituiscono una massa indistinta e vengono descritti.

Nelle loro fila ci sono personaggi con la vocazione dell’aguzzino, semplici opportunisti o persone convinte dell’assoluta bontà del regime, come Oscar, il segretario del fascio, uomo d’ordine, che “aveva sempre identificato la patria, l’onore, l’onestà, la dignità nazionale, perfino la civiltà col fascismo”. (p.77)

Tobino li descrive come uomini senza qualità o virtù particolari che per vent’anni hanno comandato e spadroneggiato con prepotenza in Italia e ora, dopo aver visto, col 25 luglio, com’erano disprezzati e derisi è come “si dimenticassero di tutto, di nuovo avvinti da un ottuso livore, dominati dalla cecità, preda della cattiveria e fossero pronti a ricominciare, a riprendere l’ignominosa strada, l’Italia il paese dove la memoria, la verità, la riflessione non esistevano, la patria il nome più equivoco”. (p.82)

Sembrano non rendersi conto che i tedeschi stanno per essere sconfitti e che l’avanzata degli alleati ormai è irreversibile, disabituati a pensare con la loro testa, sono spesso frustrati, asserviti, animati dall’odio, dalla vendetta, dal desiderio di potere, dal livore, dalla superbia. Tra gli aderenti a Salò vi sono anche semplici impiegati comunali, giudici, questori che tornano in servizio per necessità economiche, non per effettiva convinzione.

Non manca qualche figura differente e divertente come il Badaloni, milanese, un vero emblema dell’arte di arrangiarsi. Per sfamare la numerosa famiglia accetta di diventare segretario del fascio dopo l’8 settembre (nessuno dei camerati voleva farlo, visto l’odio di cui erano circondati) e inizia a espropriare le villette dei benestanti per darle al popolo, con un’azione degna dei comunisti.

Eppure è proprio all’esecuzione di un fascista, il Rindi, che sono dedicate le ultime pagine del romanzo.

Voglio essere fucilato nel petto. Sono di Medusa come voi. Almeno al mio paese gli ho sempre voluto bene” e sorrise come finalmente una verità fosse riuscito a dirla. Quando era già in attesa: “Scusate un momento” e si fece il segno della croce, e, come gli si presentasse un altro perché, aggiunse: “In chiesa non ci andavo mai”. (p.406)

Del resto fin dall’inizio Tobino osserva che tutti gli italiani furono fascisti e responsabili della guerra (a parte quell’esigua schiera che resistette anche davanti ai tribunali speciali) e quando videro che le cose volgevano al peggio scaricarono tutte le colpe sul Duce e sul fascismo. L’opportunismo, la faciloneria trionfarono e, alla caduta del fascismo, in un generale voltagabbana tutti si dissero da sempre antifascisti e si assolsero l’un l’altro.

Non sono ignoti a Tobino i difetti dei connazionali.

Romanzo corale, “Il clandestino” è racconto storico ed epico insieme, filtrato dalla memoria, come fanno capire i versi in apertura, non ha disperso la luminosità e la freschezza ideale di un momento storico unico, tremendo e sanguinoso, quando le scelte potevano costare la vita.

Si doveva uccidere, si doveva amare”dice Anselmo.

La Resistenza è descritta nei suoi primissimi albori, con la sua capacità di riunire per una causa comune anime diverse, viene narrata con allegria, con ottimismo con quella passione per l’uomo che Tobino ha sempre avuto.

“…e intanto si insinuò, e diventò sempre più ricco e dominante, il fiume delle speranze, che nella vita è il bene che trionfa, che alcuni uomini in certi periodi aggrumano in sé ogni resistenza, il sacrificio soffocato della gioia di illuminare gli altri”.(p.359)

Il nostro non è solo un movimento politico, è credere negli uomini, in noi stessi, nella vita, che i buoni son quelli che vincono”.(p.362)

Per argomento e ambientazione è possibile richiamare Meneghello de “I piccoli maestri”: anche lì i protagonisti sono giovani che scelgono ed è presente il filtro della memoria. Diverse sono la collocazione politica e l’estrazione sociale, tutti borghesi e letterati in Meneghello, ampia partecipazione popolare in Tobino.

Entrambi rifuggono retorica e facili trionfalismi, evidenziano l’acquisizione di autocoscienza e la fiducia nella possibilità di cambiare.

Al di là delle disillusioni successive, la voce del popolo si leva attraverso il calafato Adriatico: “Il male è radicato nel mondo, è impossibile levarlo, però è tanto bello e consolatore combattere per il bene”.

Articolo apparso su lankelot.eu nel giugno 2009

Edizione esaminata e brevi note

 

Mario Tobino (Viareggio 1910-Agrigento 1991) psichiatra e scrittore italiano.

Mario Tobino, Il Clandestino, Milano, Oscar Mondadori 1977. Introduzione di Geno Pampaloni.

Links:

http://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Tobino

http://www.italialibri.net/autori/tobinom.html

http://www.fondazionemariotobino.it/tobino_vita.php