Oz Amos

Scene dalla vita di un villaggio

Pubblicato il: 28 Luglio 2013

Ci sono libri che ti vengono incontro da soli. Magari perché una sera, mentre dai un’occhiata alla bancarella di libri usati, il libraio ti riconosce e ti dice: “Tu sei quella che legge gli scrittori ebrei!”. E’ passato un anno, ma lui si ricorda di me. Perché, come mi spiega, sono l’unica a comprare libri dalle copertine improbabili, scritti da autori dai nomi altrettanto improbabili. “Pensavo che quei libri non li avrei mai venduti… erano veramente brutti da vedere”. Capisco cosa intende. Nel frattempo è impegnato a rivestire di cellophane “Scene dalla vita di un villaggio” di Amos Oz. “Questo potrebbe piacerti?”. Penso che potrebbe piacermi. Lo compro e lo leggo durante il poco tempo libero che in questo periodo mi resta.

Tel Ilan è un ameno villaggio israeliano che può vantare almeno un secolo di storia. Un secolo non sembra molto, ma in un Paese come Israele è un’eternità. In otto racconti, Amos Oz ci fa entrare dentro le case di alcuni degli abitanti di Tel Ilan, ci racconta le loro vicende e si addentra in quei circuiti emozionali e mentali di cui ogni essere umano è portatore, più o meno consapevole. Ogni “scena” è progettata per interrompersi e finire nel nulla, senza alcun accenno di soluzione. Non c’è mai un autentico epilogo, qualunque esso sia. Oz costruisce un impianto perfetto, ci fa addentrare nei misteri, nelle paure, nei vari ed inspiegabili moti umani per poi abbandonarci nel nulla tra domande senza risposta. Per questo non sapremo mai come finiranno le storie che ci racconta. Uno stratagemma letterario non proprio originalissimo che però fornisce il vantaggio di indurre chi legge a riflettere sulle inconcludenze che costellano sistematicamente la vita. Leggiamo una storia per trovare una soluzione, un finale, magari persino un happy end, ma la realtà non si comporta esattamente come un romanzo. Amos Oz, attraverso “Scene dalla vita di un villaggio”, è capace di trasmettere lo stesso senso di incompletezza e di confusa incertezza che può caratterizzare la vita di chiunque.

Di stravaganze, infatti, la normalità è piena. Ce ne accorgiamo ogni giorno. Quindi non sarà poi tanto assurdo incontrare personaggi come quelli che popolano Tel Ilan. Persone normali, in fin dei conti. Come il protagonista di “Eredi“, la prima scena. Arieh Zelnik ha una moglie che ha scelto di trasferirsi negli Stati Uniti e di mollarlo a distanza, due figlie che si tengono alla larga da lui e da Israele. Vive in una vecchia casa con una madre molto anziana, malata, sorda e ormai inebetita dal tempo. Un giorno si presenta in casa sua un forestiero. “Quell’uomo aveva un’aria furba e soddisfatta, come si fosse appena andata in porta una diabolica macchinazione. Dietro, o piuttosto da sotto quella faccia sconosciuta, ne trapelava un’altra – una faccia nota, sgradevole, inquietante: quella di qualcuno che ti aveva fatto del male, una volta? O al contrario, eri tu in torto con lui, e non te lo ricordavi più?” Lo sconosciuto è l’avvocato Wolff Maftzir. Chiacchiera in continuazione ed è di un’invadenza intollerabile. La casa di Zelnik e di sua madre, nei discorsi dell’avvocato, diviene “la nostra proprietà” e anche quando Arieh vorrebbe che se ne andasse, lo sconosciuto si intrufola in casa fino a raggiungere la stanza da letto della vecchia. “Eccoli tutti e tre: la signora padrona di casa, il figlio taciturno e lo sconosciuto che continuava ad accarezzarla e baciarla mormorando dolcemente che tutto sarebbe andato per il meglio, carissima signora, tutto sarebbe stato bello qui, tutto si sarebbe sistemato“.

Misterioso e inquietante. Non c’è che dire. Come misteriosa ed inquietante è la “scena” seconda: “Parenti“. In cui si resta in perenne attesa di un ragazzo che non arriverà mai. E la scena terza, “Scavano“, all’interno della quale viene tratteggiato uno dei personaggi più interessanti e ben riusciti del libro, il vecchio onorevole Pesach Kedem che “trascorreva quel che gli restava da vivere a casa di sua figlia Rahel, in fondo al villaggio di Tel Ilan, sui monti di Manasse“. Pesach è vecchio, gobbo, irascibile, insopportabile, burbero e rancoroso. Non perdona al suo partito di essersi dissolto e al suo Paese di averlo dimenticato. I suoi nemici sono ormai morti da anni, ma il suo odio nei loro confronti è rimasto inalterato. Rahel sembra l’unica in grado di sopportarlo ancora anche se deve imbattersi nelle sue pessime abitudini e nella recente fissazione: Pesach, di notte, sente degli strani rumori provenire dalle fondamenta della casa. Scavano. C’è qualcuno che di notte scava. Ma chi è? E perché dovrebbe scavare sotto la sua casa? Domande senza risposta, per l’appunto.

Le altre “scene” mantengono tutte la stessa conturbante atmosfera, quella di una normalità che diventa angoscia o delirio o semplice, vuota attesa. L’indefinibile diviene il motore delle vicende. Sono gli stessi protagonisti, in qualche caso narratori in prima persona, a non saper spiegare i loro comportamenti. Non sanno capire perché fanno ciò che fanno, sembra si muovano per sensazioni seguendo qualche arcana intuizione. Oz ha dato ad ogni “scena” la stessa impronta: il fil rouge, quindi, non è rappresentato solo dalla “location”, il villaggio di Tel Ilan, ma anche da quello sbigottimento costante che accompagna chi legge. La fluidità della scrittura, la facilità con la quale lo scrittore israeliano descrive le otto “scene” intensifica i turbamenti del lettore che non può non rilevare il contrasto tra ciò che è stato scritto e come è stato scritto. Niente male, davvero.

Edizione esaminata e brevi note

Amos Oz nasce a Gerusalemme nel 1939. Da adolescente sceglie di vivere nel kibbutz Hulda nel quale rimane per circa trenta anni. Nel frattempo studia letteratura e filosofia presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Nel 1986 sceglie di lasciare il kibbutz e si trasferisce ad Arad. Scrittore di romanzi e di saggi, ma anche giornalista ed autore di libri per bambini. Il suo primo romanzo (La terra dello sciacallo) viene pubblicato nel 1966. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti: il premio francese Prix Femina, il Frankfurt Peace Prize, il premio Grinzane Cavour, il premio Principe de Asturias de las Letras, il premio Primo Levi, il premio Heinrich Heine e il premio Salone Internazionale del Libro. Vive nella città di Arad. Insegna letteratura presso l’Università Ben Gurion del Negev. E’ uno degli scrittori israeliani più popolari e tradotti al mondo. Tra le sue opere tradotte in italiano, possiamo citare: “Terre dello sciacallo”, “Altrove forse”, “Il monte del cattivo consiglio”, “Conoscere una donna”, “La scatola nera”, “Una storia di amore e di tenebra”, “Fima”, “Contro il fanatismo”, “Non dire notte”, “Una pace perfetta”, “D’un tratto nel folto del bosco”, “Scene dalla vita di un villaggio”, “Tra amici”.

Amos Oz, “Scene dalla vita di un villaggio“, Feltrinelli, Milano, 2010. Traduzione di Elena Loewenthal. Titolo originale: “Scenes from a village life” (2009).

Pagine Internet su Amos Oz: Sito ufficiale (en) / Wikipedia / Scheda Feltrinelli