Vanderbeke Birgit

Si può fare

Pubblicato il: 14 Giugno 2013

Ritorno con piacere a Birgit Vanderbeke. Del Vecchio ha pubblicato “Si può fare”. Un libro relativamente breve, una copertina divertente e un titolo che, fin da subito, trasmette una sensazione positiva o propositiva, dettaglio che, considerati i tempi, non è propriamente trascurabile. E di propositivo, dentro “Si può fare”, c’è parecchio. Perché questo libro non fa che presentare un’alternativa esistenziale, seppur meramente letteraria. E chi dice che, alla fine, non si possa fare? Appunto.

La voce femminile narrante rimane una voce anonima. Un nome però ce l’ha Adam Czupek. “Adam era sempre stato fuori. Stare fuori è pericoloso, ma Adam non aveva altro modo, e io non avevo idea di essere stata sempre dentro, prima di incontrare Adam. Quando in Germania hai cinque bambini, sei fuori dai giochi, mi disse, prima di presentarmi la sua famiglia. Lui era il terzo. Sua madre era andata fuori di testa quando il quinto figlio aveva circa due anni. Una o due volte l’anno finiva in manicomio. Fatta di Mandrax. Stare fuori vuol dire che non è che vai al liceo con tanta facilità, mi raccontava Adam. Io al liceo ci ero semplicemente approdata, e non avevo avuto il minimo sospetto che avesse qualcosa a che fare con i miei genitori, men che mai con mio padre, che nella sua ditta era un pezzo grosso“. In effetti tra Adam e quella che diverrà la sua compagna c’è una disuguaglianza d’origini. Perché lei, l’anonima voce narrante, proviene da una buona famiglia il che sta a significare: figlia di genitori borghesi, nonché perbenisti e snob. Insomma: lei è dentro. Adam no.

I due si conoscono negli anni ’80. “Adam odorava di officina, di legno, di metallo e di lavoro. Già allora aveva mani a cui la sporcizia si era definitivamente attaccata; non era cosa da togliersi col sapone“. Ovviamente i genitori di lei non gradiscono, ma la vita sceglie diversamente perché presto i due aspettano un figlio. La casa dove vivono è piccola e messa male, ma Adam non si fa problemi: sa aggiustare e costruire quello che serve. Ha mani d’oro, come si suol dire. E la fissazione che tutto possa essere recuperato, riparato e rimesso in uso. Per questo raccatta in giro quello che la gente dismette. Basta portarlo a casa, rimetterlo in sesto perché, prima o poi, tornerà utile. “Adam trovava sempre qualcosa di decente da strappare alla caducità, da portarsi dietro in un futuro, consacrato, secondo la sua ferma convinzione, alla più tremenda follia e al disastro perché quelli ci avrebbero portato a un punto tale da ritrovarci talmente stupidi da non poter più pelare le patate, e saremmo stati del tutto incapaci anche di riattaccarci un bottone“.

L’occasione di una vita arriva per caso. Quando l’amica Fritzi riceve in eredità una casa ad Ilmenstett-mammamiafinlaggù. Che all’inizio sembrava proprio una follia: lasciare “una grande città senza eroi”, come cantavano gli Scherben, e trasferirsi ad Ilmenstett-Misteryland. Ma poi avviene. Adam avrebbe rimesso a posto la casa di Fritzi e Fritzi avrebbe ospitato l’amica, Adam e i due bambini Anatol e Magali al piano terra della casa ereditata. E quando il muro tra le due Germanie cade tutti sono già ad Ilmenstett a guardare da una minuscola TV con l’antenna la faccia confusa dell’uomo che annuncia l’inizio di una nuova, mostruosa e complicata partita a Monopoli. In breve la famiglia di città prende confidenza con il contadino Holzapfel che, dopo qualche tempo, con il supporto e il lavoro di Adam, inizia a riprendere in mano le redini della sua fattoria. Prima arriva una pensione per cavalli e poi un allevamento di polli rari, proprio quelli di cui la famiglia turca degli Özyilmaz ha bisogno per la tavola calda. A queste idee ne seguono altre: la preparazione del mechoui o la costruzione di una yurta, ad esempio.

Per Adam tutto si può fare. Con la forza della mente e delle mani, naturalmente. Perché un mondo di soli capitali e di gente che vuole dimenticare come si fa a riparare un oggetto non va da nessuna parte. La storia scritta dalla Vanderbeke, intrisa di ironia e di giocoso sarcasmo, diventa così una sorta di richiamo alla semplicità e alla concretezza, oltre che contenere una sorta di denuncia degli sprechi e delle pessime abitudini contemporanee. Il mondo che Adam e la sua famiglia riescono a mettere in piedi non ha bisogno di distruggere o consumare in maniera estrema poiché si basa sul rispetto di ciò che c’è già, sulla scelta di inventare soluzioni diverse, soluzioni che sono spesso lasciate morire per mancanza di volontà, creatività ed intraprendenza. Purtroppo siamo schiavi dell’usa-e-getta, una logica che ingozza alcuni e mortifica molti altri. I valori e i modelli di sviluppo proposti dalla Vanderbeke potrebbero sembrare ingenui o inattuabili ma, a ben guardare, non sono affatto così chimerici. Con la sua scrittura saettante e leggera, con il suo stile brioso ed autentico, la scrittrice tedesca pone l’accento, a modo suo naturalmente, sui concetti di sostenibilità e di rinascita. Perché si ha sempre di più la sensazione che non possa esserci rinascita (umana, economica, politica, sociale, ecologica) senza un progetto finalmente sostenibile e rispettoso del mondo. Insomma: si può fare.

Edizione esaminata e brevi note

Birgit Vanderbeke è nata nel circondario rurale di Dahme, Brandeburgo, nell’agosto del 1956. La sua famiglia si è trasferita all’inizio degli anni ’60 a Francoforte sul Meno, proprio dove Birgit ha studiato legge e, più tardi, lingue germaniche e romanze. Dal 1993 la Vanderbeke lavora come scrittrice e ha scelto di abitare nel sud della Francia. In Italia sono stati pubblicati diversi dei suoi libri: “La cena delle cozze” per Feltrinelli; “Alberta riceve un amante” e “Vedo una cosa che tu non vedi” per Marsilio; “Abbastanza bene” per Le Vespe; “Sweet Sixteen”, “Alle spalle”, “La straordinaria carriera della signora Choi” e “Si può fare” per Del Vecchio Editore.

Birgit Vanderbeke, “Si può fare“, Del Vecchio Editore, Roma, 2013. Traduzione di Paola Del Zoppo. Postfazione di Maria Vittoria Vittori. Titolo originale: “Das lässt sich ändern – Roman” (Piper Verlag, 2011).

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