“La mia è una storia fatta di tante ferite. Sono nato da una ferita, quella di mia madre, e vorrei, un giorno non troppo lontano, andarmene senza ferire nessuno, ma soprattutto senza ferire me stesso. Intendo dire che non voglio sentire dolore. Una morte indolore desidero. Mi chiamo Davide e sono un puro. Ho l’età che ho ma nei fatti sono vecchio di almeno sessanta anni. Sono nato vecchio e nel tempo continuo a invecchiare. I miei fratelli credono che io abbia quindici anni, ma loro non capiscono la mia vera età“. Le frasi iniziali de “Il maggiore dei beni”, opera prima della scrittrice foggiana Valeria Caravella, rappresentano il leitmotiv dell’intera vicenda narrata che, come si intuisce fin dall’inizio, è trasmessa in prima persona dall’unica voce narrante, quella di Davide per l’appunto, in una forma che fluttua tra il flusso di coscienza e l’annotazione diaristica.
Davide è sicuramente un ragazzino problematico. Lo è sempre stato, fin da piccolo. L’unica persona che sembra capirlo senza giudicare le sue stranezze è zia Anna o Zanna come la chiamerà da un certo punto in poi. Davide è un puro, una creatura senza sesso, né bella, né brutta. Davide ha la pelle chiara e le vene che si vedono in trasparenza. Ha i capelli scurissimi, è alto e magrissimo. Un individuo sicuramente molto diverso da quelli che lo circondano in casa o fuori, tra le baracche in cui vive. Lì ci sono i grezzi, personaggi volgari ed aggressivi che non sanno parlare, non sanno vestirsi, non sanno pensare e, soprattutto, non hanno la sensibilità che Davide vorrebbe rintracciare in qualche essere umano. Anche per tali difficoltà, Davide è finito nel pozzo: “È una metafora, non è che sono proprio caduto nel pozzo che non sono sciocco fino a sto punto e poi pozzi non ce ne sono più. Il senso è che sono finito dentro una sofferenza nera, profonda e vischiosa. Quando finisci nel pozzo è molto difficile uscirne, specialmente se arrivi alle mani. Una volta che sei lì ti puoi fare pure il segno della croce. Quelle ti trattengono e oltre a non lasciarti andare ti spingono giù verso il basso più profondo, dove non c’è più luce e ti dimentichi di essere vivo“. La tristezza lo ha inondato e di tristezza Davide si è nutrito a lungo. L’episodio che ha fatto precipitare Davide nel pozzo è stata la violenza subita da un gruppo di ragazzi. “Ho capito di essere finito nel pozzo quando ho aperto la porta di casa e mi è sembrato che nel mondo non ci fosse più aria, che la notte se la fosse respirata tutta“.
Si è ripromesso di morire giovane, Davide. Non sa esattamente come fare ché di morire in modo violento e doloroso non gli piace proprio, ma sa che arriverà a capire cosa ci sia dopo questo limite rappresentato da un’esistenza infelice e colma di assurdità. Davide ha sviluppato, col tempo, un sesto senso: intuisce a primo sguardo quelli che definisce “casi umani”. Persone disperse e disperate come Alice, una ragazzina bruttina ed infelice che, in breve, diventa la sua anima gemella, una creatura cupa ed insoddisfatta, Alice, quindi del tutto identica a Davide. “Alcune volte non riuscivo a guardarla in faccia, tanto che era sgraziata quella bambina, ma poi mi sforzavo di andare al di là delle apparenze e la vedevo in tutto il suo splendore. Alice era un fiore, solo che voleva a tutti i costi un fidanzato“. Ed oltre ad Alice, Davide si ritrova ad instaurare un rapporto d’affetto anche con la “scrittrice”, la giovane donna che insegna nella scuola per ragazzi problematici che Davide frequenta.
Davide scrive e racconta. Lo fa col linguaggio leggermente caotico e contorto degli adolescenti. Ammucchia un po’ alla rinfusa ricordi, percezioni, paure, rancori e speranze. Scrive con tutti i difetti del parlato: frasi brevissime, congiuntivi a scadere e un tessuto di luoghi più o meno comuni a rafforzare certi concetti. Davide è un ragazzino fragile sì ma fino ad un certo punto, è egocentrico come buona parte degli umani, sa dissacrare ed ironizzare quando vuole, conosce perfettamente le sue paranoie e le sue manie, si offende abbastanza facilmente ma a modo suo è generoso e si preoccupa di chi gli sta a cuore. Un personalità che Valeria Caravella ha forgiato in maniera egregia soprattutto perché rimane coerentemente intricata e lucidamente delineata lungo tutta la storia. Le memorie di Davide rappresentano, alla fine, un percorso di formazione che può somigliare alle fasi di crescita e maturazione di molti. Ovviamente Davide è un personaggio estremo, una figura sui generis e, proprio per questo, narrativamente molto stuzzicante e divertente.
Edizione esaminata e brevi note
Valeria Caravella è nata a Foggia nel 1982. Adesso vive a Vieste, sul Gargano.
Valeria Caravella, “Il maggiore dei beni“, Nowhere Books, Foggia, 2017.
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