Belgrado Valentina

Eloheinu

Pubblicato il: 1 Luglio 2018

Ipazia è un nome insolito. Non succede molto spesso di incontrare una Ipazia, figurarsi due, e due bambine quasi della stessa età, che abitano nello stesso paese, che si somigliano fisicamente da poter essere scambiate per sorelle, anche se non lo sono. E se la più piccola delle due fosse nata proprio per imitazione? Ci si può innamorare di una bambina tanto da desiderare di averne una uguale? Da far sì che le due Ipazia diventino amiche?

È quello che vediamo accadere in Eloheinu, breve romanzo di Valentina Belgrado pubblicato da Nulla die, raccontato dalla madre della seconda Ipazia, una donna che sembra riversare sulla figlia tutti i propri desideri. Una figlia-emanazione più che una figlia essere a sé stante, una figlia la cui esistenza ha senso se legata alla prima Ipazia. Nel racconto che leggiamo, con la prima persona che tende a immedesimarci nello sguardo della madre che per gran parte della storia è senza nome, tutto questo appare normale, un 2+2.

“La seconda Ipazia è mia figlia, perché quando vidi la prima Ipazia, congetturai subito che potesse essere un’insuperabile fonte di ispirazione e anche perché mio marito attraversava un periodo di criticità professionale e rischiava di annientare se stesso e chi gli stava intorno; infine, perché, quando Ipazia e io ci trovavamo casualmente nello stesso luogo e la mamma di Ipazia era un po’ più lontana, me ne attribuivano sempre la maternità («È sua questa meraviglia?» «Purtroppo, no»).” (pag. 14)

La scrittura di Belgrado è precisa, essenziale, scorre senza inciampi. Le due Ipazia sono i fuochi di un ellisse che comprende le due famiglie, due famiglie così distanti sotto ogni punto di vista da sembrare impossibile qualsiasi contatto. Eppure il contatto infine avviene, in modo inaspettato. Le due bambine avranno modo di interagire, sia all’interno che, in parte, fuori dalla scuola. Lentamente si accumulano elementi, informazioni, svolte nella narrazione. La seconda Ipazia che si ammala, la visita a casa della prima Ipazia, l’incrocio con una setta e con i suoi rituali, il romanzo si trasforma in una sorta di giallo medico dove ogni tassello troverà infine la giusta collocazione. Anche il marito, Piero, figura che rimane per buona parte sullo sfondo, trattato dalla moglie quasi come un oggetto, pure importante, ma sempre apatico, spento, diviene sul finale fondamentale, risolutivo.

“La ragione per cui decisi di dare a Ipazia lo stesso nome di Ipazia non è ascrivibile a nessuna logica: tant’è che io stessa, a distanza di sette anni, potrei contestare la sensatezza della mia scelta.

Credo di aver a suo tempo ingenuamente pensato che l’esuberanza e la salute, che davano l’impressione di voler sgorgare con veemenza da quella bambina come da un rubinetto riattivato dopo molte ore, fossero inscindibili dal suo nome. E che, vista l’indissolubilità di quelle due fondamentali caratteristiche dalla sua identità anagrafica, io non potessi fare altrimenti. Insomma, che non avessi altra scelta all’infuori di quella di riassociarle nuovamente.

Ma evidentemente mi sbagliai. I disturbi, dapprima soltanto lievi e indiziari, cui andò incontro Ipazia fin dai suoi primissimi anni di vita, mi sconfessarono.” (pag. 32)

Quello che sorprende è la lucidità della scrittura, la precisione, il non indulgere nell’emotività, e quando si parla di infanzia e malattia il rischio è di puntare proprio e solo su quella, sulla parte emotiva, senza curare la scrittura. Questo non accade, le pagine scivolano una dopo l’altra, con decisione, e la storia cattura e sì, ti auguri che tutto finisca per il meglio, perché quando sei vicino ai personaggi, quando ciò che leggi ti fa entrare in contatto con loro, non puoi non parteggiare, non puoi rimanere indifferente. E cosa deve fare un libro se non toccarti e non lasciarti indifferente alle vicissitudini attraversate dai suoi personaggi?

Edizione esaminata e brevi note

Valentina Belgrado, nata a Firenze (1975), si è laureata in Letteratura Teatrale Italiana nella sua città, per trasferirsi successivamente ai Castelli Romani, dove vive con il marito e il figlio.

Prima di Eloheinu, ha pubblicato poesie su riviste e antologie, recensioni a libri e film su riviste e un romanzo in formato eBook.

Valentina Belgrado, Eloheinu, Nulla Die, 2018

andrea brancolini, luglio 2018