Stanghellini Arturo

Introduzione alla vita mediocre

Pubblicato il: 26 Agosto 2013

Da tempo aspettavo il momento giusto per leggere questo libro, anni ormai, e il momento è arrivato all’inizio di questa estate, quando ho voluto dedicarmi un po’ a tre autori pistoiesi del passato: Francesco Andreini, Policarpo Petrocchi, Arturo Stanghellini (ordine alfabetico e cronologico). Tutti e tre hanno l’onore della toponomastica cittadina, in quei modi diversi dovuti al sentire di chi nel tempo dette i loro nomi alle varie strade. Potrebbe essere interessante soffermarsi su tali dati, curioso cercare di capire, risalire ai vari periodi, ma qui c’è un libro che chiama, di cui c’è da scrivere, non si può divagare sempre e comunque come fa chi sta battendo sui tasti adesso. Divagherò brevemente, dunque: uno dei tre è raffigurato nel Chiostro della Santissima Annunziata, a Firenze.

Detto ciò, Introduzione alla vita mediocre è un romanzo redatto in forma diaristica sull’esperienza dell’autore della Grande Guerra negli anni tra il 1916 e il 1919, ed esce in prima edizione per l’editore Niccolai nel ’20 “quando il grosso del pubblico se n’è dimenticato o se ne ricorda con una nausea, che farà passare diversi quarti d’ora d’indifferenza all’autore ritardatario.” (pag. 7), scrive l’autore nella sorta di prologo-dedica alla madre, figura fondamentale per la formazione culturale del giovane. Il libro avrà tre successive edizioni per Treves (1921, 1923, 1936), per la cui prima (seconda in totale) vi sono due prefazioni, una di Ugo Ojetti e l’altra dello stesso Stanghellini, per poi non essere più ristampato interamente (solo lacerti in vari volumi) fino al 2007 dalla Associazione Libreria dell’Orso edizioni di Pistoia, con la cura di Giovanni Capecchi, che è l’edizione da me letta.

Un’edizione ben curata, con un apparato critico chiaro ed esauriente, e che reca in fine le due prefazioni già citate e un’appendice iconografica con foto dell’autore sul Carso e con disegni dello stesso risalenti a quel periodo (uno dei quali è anche in copertina).

La narrazione comincia il 6 luglio 1916, giorno della partenza da Firenze, e termina col ritorno a fine luglio del 1919: parte un uomo che si sente solo e triste e torna un uomo che si sente solo e triste, ma sono solitudini e tristezze diverse, solitudini e tristezze spezzate da una guerra non condivisa ma combattuta, una guerra “di talpe” e per questo invisibile, che scava chilometri di trincee non solo tra sé e i nemici, anche tra sé e i propri amici, i propri familiari, la propria nazione. Questo di Stanghellini non è un romanzo di guerra, ma un romanzo su ciò che la guerra lascia in chi l’ha combattuta, la guerra come spartiacque tra un prima e un dopo inconciliabili, la guerra come introduzione alla vita mediocre. La vita, dopo la guerra, dopo quel tipo di guerra, non può essere che “mediocre” per l’autore, ormai abituato ad osservare ciò che lo circonda in modo del tutto diverso da prima, portando nel corpo, nello spirito, ogni respiro dei giorni in cui ogni respiro poteva essere l’ultimo, e non è stato.

“E si pensa che la vita più forte era vicina a quella calda morte sanguinante.” (pag. 88)

Ma come avviene l’impatto con le prime linee?

Il 6-7 luglio 1916, i primi due giorni, la prima notte.

“Dal fondo di una buca di granata un teschio dissepolto ghignava al sole. Ecco, questa veramente era la guerra.” (pag. 22)

I tenenti Stanghellini e Castellucci, di fronte al colonnello Molina per prendere le consegne…

“Noi non sapevamo, è vero, ma la nostra ignoranza non era indifferenza o dispregio; era l’aria che avevamo respirata in Italia dove il sole non fa troppo lungamente pensare alle tristi cose e venivamo al macello come agnelli bianchi d’innocenza.

I nostri occhi avevano tutto da vedere.

Le nostre orecchie tutto da udire.

Il nostro cuore tutto da sanguinare.” (pag. 23)

Da subito si avverte la distanza tra l’Italia e il fronte, tra chi parla della guerra stando comodamente a casa e chi vi è immerso, e questo è ciò che più deprime e fa arrabbiare il giovane soldato: la guerra è inutile da raccontare a chi non la vive, non la capirà mai, e come aggravante sembra che ci sia una ferrea volontà di non comprendere cosa essa sia, possa essere, cosa possa lasciare nelle persone che la vivono, l’hanno vissuta.

“14 agosto 1916 Da Cascina Viola al Pecinka

Ora la partenza per la solita, ignota destinazione raffreddava ogni ebbrezza. Chi ha scritto l’”aurea” sentenza che il soldato deve considerare il giorno di partenza per la trincea come un giorno di festa, conosce il soldato come io conosco l’aramaico. Si contenti che il soldato in trincea ci va e ci resta. Non chieda altro. La gioia è per la vita; non per la morte. Io scriverei anzi in un libro meno aureo, ma più umano: è strettamente obbligatorio aver paura, ma restare al proprio posto.” (pag. 32-33)

Qui si trova un altro aspetto dell’autore: il suo senso del dovere. Non condivide la guerra, non i suoi motivi, e peraltro avrebbe potuto non partire grazie a conoscenze di famiglia, ma la guerra c’è, si è scelta di fare e va fatta.

Il libro si snoda tra le operazioni militari, aneddoti (come la visita di D’Annunzio, cui vengono dedicate due righe… come la visita di un nobile settantenne, cui invece viene dato più spazio…), morti, e soprattutto riflessioni sul proprio animo: è racconto intimo quello che fa Stanghellini, racconto delle trincee interiori. Così, anche Caporetto più che descritta è sentita: all’inizio incredulità, di fronte alle notizie che arrivano, poi tutto appare sfocato e al tempo stesso più forte, ciò che prima era inoffensivo e bello diventa marchio, tortura, offesa.

“Caporetto.

27 ottobre 1917 – Il mattino

C’era il sole.

Tutte le volte che io ripenso a quelle prime ore della nostra passione, devo ricordarmelo con qualche sforzo, con qualche pena.

C’era anche il sole. E l’Isonzo era azzurro come per un giorno di festa e scorreva limpido e lieve tra due ali di ghiaia indicibilmente bianche.

Gradisca annidata tra il verde.

Sul San Michele gonfio di morti, grandi nuvole bianche.

[…]

Allora l’aperta fiamma del sole parve una falsa luce d’ecclissi che fa tremare il corpo sotto un brivido misterioso… Allora il sole fu una tortura agli occhi come l’esposizione di una intima angoscia davanti ad una moltitudine indifferente.” (pag. 89)

Poi il ritorno. E sarà: vita mediocre. Stanghellini lo descrive in quattro piccole scene, quattro gradini verso qualcosa di molto simile ad un Inferno. La prima scena è alla stazione di Bologna, il giorno stesso del ritorno, dove incontra amici dell’università, amici che in quei tre anni hanno fatto concorsi, hanno pubblicato, e lui, cosa ha fatto?

“Sono evidentemente rimasto molto indietro a loro. E pure in fondo all’anima qualcosa mi dice che sono invece più avanti…Forse perché sono indietro. E questa è la prima.” (pag. 175)

La seconda scena e la terza sono riferite ad amiche di sua madre. La seconda, in particolare, in cui dopo aver raccontato qualche vicissitudine bellica:

“E nel silenzio mi arriva come non potrebbe essere più dolce e più crudele la voce della signora: <<Ma ora, Arturo, ti metterai a fare qualcosa?>>” (pag. 176)

La quarta, sentita come la peggiore, non la vive in prima persona. È riferita ad un suo amico, che spesso si trovava a raccontare le sue storie, e che viene interrotto dalla propria ragazza.

“Quando si desidera farsi conoscere si presenta la parte migliore di noi. La parte migliore gli sembrava il dovere compiuto davanti alla morte. Per parlare di felicità, per entrare nel regno della felicità ove tanti mediocri sono domiciliati fin dalla nascita senza accorgersene, gli pareva bello dire: io vengo dal dolore…

Gli pareva. Un giorno la fidanzata lo interruppe:

<<Ma tu non sai parlare altro che di guerra!>>”. (pag. 176)

Nell’autore, a questo punto, la consapevolezza che tutto ciò che lo aspetta non lo potrà portare più avanti del luogo in cui si è spinto in quei tre anni. Sarà una vita ben dietro quella trincea cui era arrivato.

“Io ho dentro me una strada nella quale l’ultimo passo è stato compiuto.” (pag. 180)

Edizione esaminata e brevi note

Arturo Stanghellini (Pistoia, 2 marzo 1887 – Pistoia, 27 giugno 1948) insegnante, tenente dell’esercito, scrittore.

Arturo Stanghellini, Introduzione alla vita mediocre, a cura di Giovanni Capecchi, Associazione Libreria dell’Orso edizioni, Pistoia, 2007

A.B. 26 agosto 2013

Aggiornamento del 3 dicembre 2019: Il libro è stato ripubblicato nel 2018 da Tarka.