Come spesso accade si tende ad immaginare il romanzo poliziesco caratterizzato da un copione tendenzialmente ripetitivo e poco originale; mentre in realtà chi si cimenta nella letteratura di genere, o almeno quella che sembra essere tale, non poche volte sembra avere proprio l’ambizione di abbandonare gli schemi più noti della ricerca dell’omicida, del detective geniale, coraggioso e così via; e, malgrado i tanti pregiudizi ancora esistenti, fare letteratura nel vero senso della parola. Questo è il caso di “Ninfee nere”.
Così Michel Bussi, intervistato da Repubblica nel 2016 in occasione della prima pubblicazione in Italia del suo romanzo, il “poliziesco” che pochi anni prima gli ha giustamente meritato la fama di “maestro dell’alchimia tra manipolazione, emozione e suspense”: “Comincia con un omicidio, c’è un ispettore che indaga, e ha un finale a sorpresa, quindi è vero che potrebbe sembrare un giallo. Ma prima di tutto è una storia d’amore che si svolge nell’universo artistico di Monet, quindi c’è anche un lato poetico, emotivo. Diciamo che Ninfee nere è una combinazione di diversi generi. Ho utilizzato la costruzione di un romanzo noir per farne un’altra cosa. In fondo volevo parlare del tragico destino di un donna”.
Un obiettivo che il lettore – a meno che non sia un autentico paragnosta – potrà comprendere soltanto al termine di una lunga indagine che ufficialmente non porterà a nulla. In effetti gli enigmi proposti da Michel Bussi sembrano del tutto sfuggenti, introdotti subito da una voce narrante che, a sorpresa, si svela come quella di un’anziana donna che sembra sapere molto, forse tutto, dell’omicidio su cui si incentra l’indagine poliziesca: “La faccenda durò tredici giorni. Il tempo di un’evasione. Tre donne vivevano in un paesino. La terza era quella con più talento, la seconda era la più furba e la terza la più determinata. Secondo voi, quale delle tre è riuscita a scappare? La terza, la più giovane, si chiamava Fanette Morelle. La seconda Stéphanie Dupain, la più vecchia ero io” (pp.14). Ovvero una bambina di undici anni, una giovane e bellissima donna, la maestra del villaggio, e una ottantaquattrenne acida che osserva i suoi concittadini come a volerli spiare: “erano tre persone molto diverse. Eppure avevano qualcosa in comune, una specie di segreto: tutte e tre sognavano di andarsene” (pp.13).
Un segreto, tra i tanti, che diventa ancor più inquietante grazie ad una ambientazione che richiama episodi e luoghi poco conosciuti della vita di Monet; e soprattutto in virtù di una narrazione che alterna il punto di vista della misteriosa vecchietta a quello, in terza persona, che invece vede in azione gli altri personaggi, a cominciare dall’ispettore Laurenç Sérénac, giovane, scapolo che si è letteralmente perso di fronte la bella Stéphanie; per poi proseguire con la presenza del suo vice Sylvio Bènavides, nonché del marito geloso di Stéphanie e di un pittore americano arrivato a Giverny, mentore di Fanette, considerata un stella nascente dell’arte pittorica. I luoghi della misteriosa vicenda sono quelli di Giverny, in Normandia, il villaggio dove ha vissuto il grande pittore impressionista Claude Monet; e proprio in questo mondo ormai diventato un museo a cielo aperto, avvengono degli efferati omicidi. In particolare quello di Jérôme Morval noto oftalmologo, ricco e infedele, ucciso quasi con una modalità rituale: una pugnalata al cuore, poi il cranio spaccato e per finire il viso dentro al ruscello delle ninfee. I due ispettori seguiranno delle piste diverse, con idee divergenti sul presunto colpevole, mettendo in conto traffici illeciti di opere d’arte, mariti gelosi, bambini misteriosi.
Al termine del romanzo quindi potranno tornare alla memoria le parole di Michel Bussi, proprio riguardo “alla storia d’amore che si svolge nell’universo artistico di Monet”, e che, di primo acchito, agli occhi del lettore potrà sembrare non più di un episodio inteso a raccontare un momento di debolezza reciproca: sia da parte di una giovane donna insoddisfatta del marito, sia da parte del bell’ispettore, evidentemente facile a confondere il piano personale con quello professionale. Un’attrazione – questo l’unico spoiler che ci concediamo – che in realtà si rivela uno degli elementi fondanti della storia e del mistero. Non a caso Michel Bussi, intervistato nel 2016, ha aggiunto anche come gli piaccia “trascinare il lettore in territori sconosciuti, laddove non ha certezze”, nonché il suo divertirsi a disseminare indizi per trovare la soluzione”; per poi concludere che nei suoi romanzi “il lettore è attivo, non si fa manipolare”. Affermazione che, in merito alla non manipolazione, potrebbe sorprendere e che infatti va interpretata correttamente; perché è del tutto evidente come Bussi si dimostri geniale nell’imbastire, grazie a quelli che possiamo definire dei paradossi temporali, un intreccio solo in apparenza complesso e che soprattutto lascia il lettore di fronte ad un finale del tutto imprevedibile e, in un certo senso, addirittura confortante.
Edizione esaminata e brevi note
Michel Bussi, (Louviers, 29 aprile 1965) è uno scrittore francese. È nato in Normandia, dove sono ambientati diversi suoi romanzi e dove insegna geografia all’Università di Rouen. Ninfee nere (Edizioni E/O 2016) è stato il romanzo giallo che nel 2011, anno della sua pubblicazione in Francia, ha avuto il maggior numero di premi: Prix Polar Michel Lebrun, Grand Prix Gustave Flaubert, Prix polar méditerranéen, Prix des lecteurs du festival Polar de Cognac, Prix Goutte de Sang d’encre de Vienne. Tra le sue pubblicazioni per E/O figurano: Tempo assassino (2017), Mai dimenticare (2017), La doppia madre (2018), Il quaderno rosso (2018), La follia mazzarino (2019).
Michel Bussi, “Ninfee nere”, E/O (collana “Dal Mondo”), Roma 2016, pp. 394. Traduzione di Alberto Bracci Testasecca.
Luca Menichetti. Lankenauta, maggio 2020
Follow Us