“Resta comunque inspiegabile – al netto di eventuali mazzette – quest’ossessione unanime, fanatica, ideologica se non addirittura religiosa, tipica di certe sètte estremiste, per quel gigantesco pertugio nella montagna. Alcuni psicanalisti, di fronte a certi grattacieli e ad altri ecomostri falliti che deturpano le città, parlano di invidia del pene. Per gli adepti della Banda del Buco, non c’è altra spiegazione che l’invidia dell’ano”. Così Marco Travaglio al termine del primo capitolo di “Perché No Tav”. Al di là dell’espressione anale, tipica di un giornalista che, proprio grazie al suo sarcasmo e alle sue provocazioni, si è attirato addosso strali di ogni tipo, bisogna ammettere che il suo intervento è stato molto preciso e documentato nel denunciare, in poco più di cinquanta pagine, la storia politica dell’affare Tav in Val di Susa. O per meglio dire la storia di una grande speculazione, sostenuta da narrative sempre diverse, che soprattutto alimenta una classe di “prenditori” al di là del fatto che la famigerata opera venga terminata o meno. Il libro del resto si presenta senza troppe perifrasi: “Un volume che è anche manifesto di un pensiero: quello di chi lotta contro il trasversale partito del cemento, pronto a speculare sulla regina delle grandi opere: il Tav. Imprenditori, o meglio “prenditori”, che vanno a braccetto con politici e vecchie cariatidi di sistema interessate direttamente all’affare. E chi si riempie la bocca di paroloni come “futuro”, “sviluppo”, “modernità” forse non sa che in quasi venti anni di studi e carotaggi abbiamo già buttato oltre un miliardo e mezzo e tenuto la Val di Susa in stato d’assedio permanente. La relazione ministeriale costi-benefici – che pubblichiamo integralmente – certifica che la realizzazione del tunnel di base avrebbe un saldo negativo di circa 7 miliardi di euro. Un motivo sufficiente per dire una volta per tutte “No Tav”. Ognuno degli autori di questo libro affronta un tema specifico del dissenso per spiegare perché quel tratto di alta velocità conviene solo a pochi”.
Un libro scritto per conoscere le ragioni di chi si oppone da trent’anni a un progetto sostenuto da una propaganda pressoché unanime presso la grande stampa; e sempre in base ad argomentazioni tipo “ce lo chiede l’Europa”, oppure “non possiamo rimanere isolati dall’Europa”, magari dimenticando che la Val di Susa è già percorsa “da una linea ferroviaria internazionale a doppio binario che il tunnel dei Fréjus, ancora perfettamente operativo dopo centoquarant’anni, affiancato peraltro al tunnel autostradale” (pp.86).
Le motivazioni di chi si oppone sono chiaramente più di una e non sono assimilabili alla voglia di “decrescita felice”, NIMBY, oppure alle pulsioni anarchiche e violente che vengono attribuite ai “No Tav”. Sono motivazioni che partono dalla questione finanziamenti, con le parole di Marco Revelli (“Il meccanismo di finanziamento dell’Opera, d’altra parte, è pensato esplicitamente per privatizzare gli utili e socializzare le perdite”), per arrivare alla questione ambientale con Luca Mercalli. Intendiamoci: chi volesse davvero approfondire il sistema Tav italiano dovrebbe leggersi le opere del compianto Ivan Cicconi, oppure un’inchiesta sul campo come “Binario morto” di Rastello, De Benedetti, per rendersi conto della mistificazione costruita sulla tratta Lisbona – Kiev; ma anche con questo libro il neofita dell’argomento potrà farsi un’idea. Questo detto senza alcuna intenzione complottista – in questo periodo di covid ne sentiamo fin troppe – visto che si tratta di affermazioni comprovate da chiare evidenze, documentate una ad una. Non certo dei “si dice” che animano i peggiori istinti dei contestatori.
Rimane semmai sullo sfondo la questione, accennata da Travaglio con la sua espressione anale, del condizionamento dell’opinione pubblica da parte dei media. Argomento peraltro affrontato anni fa in uno studio di Antonio Calafati, “Dove sono le ragioni del sì?” e probabilmente troppo presto dimenticato. Studio che prendeva atto di slogan cari ai politici di destra, centro e sinistra, propalati senza alcuna analisi oggettiva da parte di giornalisti ed editorialisti. Probabilmente “quest’ossessione unanime, religiosa” è conseguenza davvero di una contrapposizione ideologica, dato che parte dei No Tav – un popolo in realtà estremamente variegato, dai pacifici abitanti della Val di Susa, agli accademici, ai facinorosi – almeno quelli che hanno più visibilità mediatica, sono assimilati alla sinistra radicale o all’anarchismo di destra, allora è possibile, anzi forse scontato, che d’istinto il cittadino che non ha niente a che fare con questi gruppi estremisti, si schieri dalla parte dei Si Tav; ma, come sempre accade, a prescindere da ogni reale valutazione sull’opera. Già il fatto che Travaglio, odiato mortalmente dagli antigrillini, dagli elettori di destra o dai cosiddetti “riformisti” (espressione molto imprecisa, va detto), si sia schierato contro la Tav in Val di Susa, ci sta abbia portato nuovi consensi all’opera, ancora una volta a prescindere da ogni valutazione onesta e oggettiva.
“Perché No Tav” può essere quindi un libro davvero utile per comprendere i danni economici, ambientali, umani che hanno a che fare con questo “buco nella montagna”. In attesa che i “Si Tav”, messi da parte gli slogan facili facili sull’Europa e il progresso, possano replicare punto per punto alle argomentazioni di questo e di altri libri in argomento. Cosa che al momento non pare sia mai avvenuta, neppure in sede istituzionale.
Edizione esaminata e brevi note
Marco Travaglio, Erri De Luca, Marco Revelli, Tomaso Montanari, Luca Mercalli, Angelo Tartaglia, Livio Pepino, Alessandra Algostino, Claudio Giorno, Chiara Sasso, Luca Giunti, “Perché No Tav”, PaperFIRST, Roma 2019, pp. 272.
Luca Menichetti. Lankenauta, agosto 2020
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