Reyes Dolores

Mangiaterra

Pubblicato il: 27 Ottobre 2020

“Mangiaterra” è la voce stridula di chi non ha più voce. È un romanzo composto di tanti frammenti, come fosse un sogno o un’agonia. Il vissuto sembra una sorta di allucinazione decomposta, un caos dentro cui ci si può perdere e in cui può accadere il peggio. “Mangiaterra” è un’opera prima e la sua autrice è un’insegnante argentina nata nel 1978. “Mangiaterra” è un caso letterario, dicono quelli che amano il clamore. Per me “Mangiaterra” è un libro doloroso scritto in maniera sublime. C’è una dedica all’inizio e dice: “Alla memoria di Melina Romero e Araceli Ramos. Alle vittime di femminicidio, a chi è sopravvissuto“. Dolores Reyes insegna in una scuola a Pablo Podestá, nella provincia di Buenos Aires. A qualche centinaio di metri dalla scuola c’è un cimitero in cui sono sepolte Melina Romero e Araceli Ramos, le ragazze a cui è dedicato il libro, entrambe vittime di femminicidio.

I corpi di tante donne vengono ritrovati senza che nessuno sappia chi le abbia uccise. Accade molto spesso in Argentina, ma accade in tanti altri luoghi del mondo. Mangiaterra è colei che può vedere cosa ne è stato di chi non c’è più. Scende nel buio della terra, penetra negli occhi di chi muore per raccontare come è morto e chi l’abbia ucciso. Mangiaterra è poco più di una bambina quando perde sua madre. “Chiudo gli occhi per appoggiare le mani sulla terra che ti ha appena ricoperta, mamma, e per me diventa notte. Serro i pugni, la prendo e me la porto alla bocca. La forza della terra che ti divora è oscura e ha il sapore di un tronco d’albero. Mi piace, mi mostra, mi fa vedere. […] L’hanno picchiata. Vedo le botte, anche se non le sento. La furia dei pugni che sprofondano come pozzi nella carne. Vedo papà, le sue mani uguali alle mie, braccia forti per quel pugno che si è agganciato al tuo cuore e alla tua carne con la forza di un amo. E qualcosa, come un fiume, che inizia ad andarsene. Morire, mamma, e strapparti a noi nel fiore dei tuoi anni“.

Mangiaterra resta sola con suo fratello Walter. Crescono come piccoli animali liberi, senza scuola, senza guida. Si sostengono e si fanno grandi in un quartiere povero a pochi chilometri dalla grande città. C’è poesia in questo narrare senza tempo e c’è l’inarrestabile procedere di qualunque vita. Mangiare la terra per Mangiaterra è infilarsi in un incubo, un rivivere la morte e percepirne le ombre. Vede assassini capaci di aggredire, violentare, soffocare e nascondere. Le persone spariscono in silenzio e l’amore di chi resta non basta a guarire, per questo davanti alla casa di Mangiaterra arrivano bottiglie piene di terra e biglietti. Ci sono richieste d’aiuto da parte di chi crede che il dono di Mangiaterra possa arrivare lì dove la polizia non sa arrivare. “Mangiaterra”, infatti, è anche un romanzo poliziesco in cui la risoluzione dei casi è affidata alle visioni di Mangiaterra e non agli organi preposti.

Che schifo. Se ti rivedo mangiare di nuovo la terra, ti brucio la lingua con l’accendino“. Vedere oltre la vita, vedere quello che molti non vogliono vedere diventa uno stigma. Mangiaterra non è una ragazzina normale, non lo è perché lei si infila in bocca una manciata di terra che qualcuno ha toccato e sa vedere nel fondo di un destino. Per questo viene emarginata anche se c’è chi ha bisogno di lei per ritrovare il corpo di chi non si trova. Mangiaterra non riesce e non vuole compiere quei viaggi nel buio. Le bottiglie davanti la casa in cui vive con suo fratello si ammucchiano. “Lasciavano la terra dei loro morti in una bottiglia. Anche un biglietto e, legato al collo della bottiglia, un nome. Io le sistemavo tra le piante del giardino. Il sole le faceva brillare. Quando pioveva tanto, l’acqua ci entrava dentro e le faceva traboccare, mischiando la loro terra alla mia. Ogni bottiglia era un po’ di terra che poteva parlare“.

“Mangiaterra” denuncia le donne morte, denuncia i bambini scomparsi, denuncia l’incapacità di chi dovrebbe trovare la verità e non sa farlo, denuncia la sofferenza di chi resta senza risposte, denuncia l’estrema povertà che maledice e non spiega, denuncia la solitudine di chi è diverso. È l’Argentina ma non solo. Sono le migliaia di donne vittime silenziose di un fenomeno barbaro e osceno che non ha confini: il femminicidio. L’orrore e l’indignazione che un tema del genere suscita, in “Mangiaterra”, si rivestono di una bellezza e una grazia stilistica che sembrano quasi stridere con tutto il resto. Una bellezza che, in ogni caso, conquista e affascina e che rende onore al talento della donna che questo libro ha scritto, Dolores Reyes.

Edizione esaminata e brevi note

Dolores Reyes è nata nel 1978 a Buenos Aires, dove ha studiato Lettere classiche. È insegnante, nota per il suo attivismo femminista, e madre di sette figli. “Mangiaterra” è il suo primo romanzo, diventato subito un caso editoriale e politico in Argentina, poi rimbalzato anche in Spagna. È dedicato alla memoria di Melina Romero e Araceli Ramos, vittime adolescenti di femminicidio, i cui resti riposano in un cimitero vicino alla scuola di Pablo Podestá, area metropolitana di Buenos Aires, dove l’autrice lavora.

Dolores Reyes, “Mangiaterra“, Solferino, Milano, 2020. Traduzione di Sara Cavarero. Titolo originale “Cometierra” (2019)

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