Cossu Silvia

Il confine

Pubblicato il: 14 Aprile 2022

“Mosco comincia a muoversi sul confine scivoloso che separa la manipolazione dalla cura, la persuasione dalla terapia […] Non so chi Mosco sia stato in realtà, né cosa abbia io provato per lui. Di sicuro si è posto sempre sul confine che separa la ragione dalla fede, la prevaricazione dalla realtà, percorrendo uno spazio così poco esplorato da apparire quasi eversivo” (pp.66; 154). La parola “confine” viene citata poche volte, ma già leggendo queste frasi tratte dal romanzo di Silvia Cossu ci possiamo rendere conto di un “confine” che non assomiglia molto a quello di Z.Bauman – che “protegge (o almeno così si spera o si crede) dall’inatteso e dall’imprevedibile” – e che poi, di pagina in pagina, diventa un “impossibile punto d’unione tra realtà e suggestione”. Forse un’allusione all’annosa questione realtà oggettiva – realtà soggettiva, su cui psicologi, fisici, dibattono da tempo, ma in realtà, sopra ogni altra considerazione speculativa o filosofica, si staglia una narrazione labirintica, costruita abilmente come una sorta di thriller, seppur (forse) senza morti ammazzati.

Narrazione che viene messa in moto da un biglietto che, a quanto pare, preannuncia una cerimonia, ovvero il funerale di un celebre psichiatra letteralmente scomparso cinque anni prima; ma che soprattutto ha lasciato, nella donna destinataria del messaggio, la netta sensazione “di essere stata parte del suo gioco”. Non ne sappiamo molto di più, se non che da questo momento, con un racconto in prima persona, ci immergiamo nel recente passato, nel tentativo di capire i termini di questo “gioco”. La scrittrice, separata, frustrata, che, dopo essere stata malamente liquidata dal suo agente letterario, ha dovuto ripiegare sul mestiere di biografa di personaggi ricchi e vanitosi, “perché nel mondo resti traccia di ciò che hanno fatto” (pp.13). Ma questa volta, nel caso di Mosco, non si può parlare semplicemente di vanità e poco altro, in quanto fin da primo incontro le dice che non vuole affatto magnificare la propria vita; anzi pretende che racconti la verità. Mosco è uno psichiatra di fama internazionale, un luminare, probabilmente esponente di quell’antipsichiatria dei tempi di Basaglia, che è riuscito a costruirsi, grazie alla frequentazione “mai interrotta con molta della élite post intellettuale, politica e artistoide d’avanguardia”, la fama di “figura sospesa tra fantasia e realtà”. Di questa “sospensione” se ne renderà subito conto la biografa, quando, al lavoro con Mosco – per il quale prova “un misto di ammirazione e benessere”, salvo poi una volta per strada ritrovarsi in una situazione di “diffidenza sottile” – sente di immergersi dentro una dimensione “che fa apparire tutto possibile, o fantastico”. Fantastico o possibile, ma pur sempre frutto di una fantastica abilità forse più di affabulatore, che compare via via durante il racconto autobiografico di Mosco, questo enigmatico personaggio che può essere amichevole “e un attimo dopo, a seconda di dove sia migrato il suo pensiero, trovarsi a una distanza siderale” (pp.17).

La vicenda biografica di Mosco parte da lontano, da quando era bambino e dalle sue precoci ossessioni di controllare gli altri, oltre che dalle sue precoci intuizioni tipo il rovesciamento di prospettiva di come sia “più vantaggioso sfruttare ciò che già esiste, invece di costruire ciò che non c’è”. Una lezione fondamentale per lo psichiatra in erba. Lezione che metterà a frutto fin da giovanissimo studente di specializzazione quando riuscirà a rabbonire “la belva”, una storica degente del reparto femminile dove opera; e da allora chiederà ai suoi insegnanti di mandargli gli incurabili, i relitti umani, indagando così il contesto in cui il disturbo si è prodotto. La vita di Mosco prosegue poi come esponente di spicco di un nuovo modo di praticare l’assistenza psichiatrica, grazie alle nuove scoperte in ambito neuroscienze e soprattutto alla sua abilità di conquistare il paziente, distrarlo: in pratica una modalità nella quale “il gioco e la terapia subliminale si somigliano e terapeuta e prestigiatore si scambiano i ruoli” (pp.62). Condizionamenti di cui la stessa biografa, perennemente confusa, fin da subito si sente parte; al punto di finire coinvolta insieme ad altri personaggi legati ad un Mosco sempre più sfuggente, forse pazienti, forse semplici conoscenti, in situazioni che sanno molto di voyeurismo, perversioni, sogni inconfessabili, e che finiscono in qualche modo per diventare anche per lei una sorta di percorso terapeutico. Abilità di prestigiatore oppure di medico geniale, oppure ancora di truffatore, visto che al termine del rapporto di lavoro la nostra scrittrice, di cui tra l’altro non conosciamo il nome, sembra scoprire qualcosa di Mosco che mette, o metterebbe, in discussione tutto quello fino ad allora raccontato.

“La verità è semplicemente quella che ognuno si illude sia” (pp.149) è una delle frasi che meglio rappresentano il romanzo di Silvia Cossu, che, con innegabile bravura, ci ha regalato una  storia di manipolazioni e di incertezze, in cui, quasi raffigurazione di un certo modo di agire contemporaneo, la differenza tra impostore e filantropo diventa quanto mai labile.

Edizione esaminata e brevi note

Silvia Cossu è nata a Roma nel 1969. Ha scritto per Marsilio i romanzi La vergogna e L’abbraccio, e per la collana “Strade-Blu” di Mondadori un memoir usando uno pseudonimo, tradotto in Germania. Due suoi racconti sono presenti nelle antologie I racconti delle fate sapienti (Frassinelli), e Pensiero Madre (Neo Edizioni). Per il cinema ha sceneggiato cinque film (Bluff, L’ospite, Fino a farti male, Crushed Lives – Il sesso dopo i figli, Io lo so chi siete) selezionati nei più importanti festival internazionali, tra cui Berlino, Venezia, Montreal, Cinequest, Houston e Taormina. Il confine è il suo quarto romanzo.

Silvia Cossu, “Il confine”, Neo edizioni (collana “Iena”), Castel di Sangro 2021, pp. 154.

Luca Menichetti. Lankenauta, aprile 2021