Scardanelli Paolo

Belletti e il lupo

Pubblicato il: 27 Gennaio 2025

Il grande scrittore Friedrich Dürrenmatt disse “Io non scrivo polizieschi, io scrivo filosofia”. Nelle sue opere infatti ripetutamente intese dimostrare che le istituzioni non potevano contribuire alla verità, evidenziandone il contrasto con la giustizia umana. Dürrenmatt fu davvero una coscienza critica del suo paese e quindi non è un caso se i suoi “gialli” – ammesso e non concesso che si possano definire tali – siano stati definiti come prototipi del “giallo problematico”. Giallo, o noir che dir si voglia, dove cambia nettamente la prospettiva del detective: indagine come pretesto  per raccontare le contraddizioni dell’animo umano, nonché spesso conclusa col fallimento visto che la ricerca del colpevole si scontra con circostanze, spesso fatte di prevaricazioni, che prevalgono sul povero detective.

Anche il nuovo romanzo di Paolo Scardanelli, “Belletti e il lupo”, è stato giustamente definito “un rigoroso poliziesco filosofico”. Ambientato nella nebbiosa Milano del 1982, il commissario Alvise Belletti si trova ad indagare contemporaneamente due omicidi. Prima quello di un certo Andrea Costa, carpentiere di trentaquattro anni, colpito alla schiena da un proiettile e caduto dal decimo piano di un palazzo in costruzione. Il commissario, “uomo etico”, avrà a che fare con la pia moglie e con il fratello della vittima; e di conseguenza scoprirà molti altarini che porteranno poi all’arresto dei colpevoli, peraltro poveri diavoli, senza alcuna protezione istituzionale. L’indagine si intreccia e si sovrappone con un’altra morte: una modella proveniente dalla Calabria più arretrata, Lorenza Talarico, viene trovata senza vita in un appartamento della Moscova, letteralmente massacrata da innumerevoli fendenti. L’indiziato dell’omicidio è Roberto de Sottis, rampollo di una delle famiglie più facoltose di Milano, considerato dal padre un autentico degenerato, ma difeso ai limiti della corruzione soltanto per evitare che il buon nome della famiglia venga travolto.

Belletti, coadiuvato dalla giovane Regazzoni e con la solidarietà della giornalista Giacosa, forte della sua esperienza e della conoscenza dell’animo umano, ha da subito le idee chiare su quanto avvenuto sia nel caso dell’omicidio dell’operaio, sia soprattutto nel caso dell’omicidio della modella.

Belletti, nei panni di “uomo etico” si trova quindi contrapposto ad un personaggio “estetico”, nichilista e soprattutto provocatoriamente concentrato sul proprio ego. Ma mentre avendo a che fare con dei i poveracci assicurare il colpevole o i colpevoli alla giustizia sarà possibile, quando invece viene coinvolto qualche personaggio appartenente all’alta borghesia milanese, le cose cambiano radicalmente. Inutile spoilerare, ma è intuibile che per il mastino Belletti la caccia al “Lupo” non andrà come sperato da chi vorrebbe che trionfi una vera giustizia: “Me l’aspettavo, ispettrice, l’aspettavo […] Sulle pareti dei nostri tribunali campeggia il motto: La legge è uguale per tutti. Ma evidentemente così non è. No!” (p.115).

Da questo punto di vista il romanzo di Scardanelli non si identifica affatto con il classico poliziesco ad enigma tutto incentrato su chi sia il colpevole dei delitti; semmai diventa, tra innumerevoli monologhi da sapore filosofico, il pretesto di un’altra indagine: quella dentro l’animo umano sia degli omicidi sia dei corrotti e degli ipocriti che li supportano. Così viene descritto il rude e umanissimo commissario: “era una sorta di sciamano che scrutava gli animi rei sino all’essenza molecolare che neppure essi conoscevano” (p.55).

Sciamano che – ripetiamolo – niente può fare di fronte alle consuete prassi corruttive: “Cosa resta quindi a noi convinti servitori? La Giustizia non deve appartenere al genere umano, ma deve essere un concetto astratto di cui tutti noi dobbiamo avere timore e dinnanzi al cui cospetto dobbiamo tremare. Si dirà che è figlia dei tempi, ma da tempi immemori la Giustizia è stata violentata, espropriata, piegata all’umano volere; cosa resta a noi umili servitori d’essa? Il silenzio e la rassegnazione. Andare avanti come nulla fosse, dritti per la propria strada, non importa quanto ingiusto sia” (p.174). E difatti Belletti, tacciato di essere un “mastino giustizialista”, andrà avanti per la propria strada, a dispetto dei tanti ipocriti pseudo-garantisti. Peraltro proprio verso la fine della vicenda troviamo esplicitamente un riferimento all’operato di quei pochi giornalisti con la schiena dritta, quelli che devono “raccontare e trarre le logiche conclusioni, cercando di non schierarsi”. Così ragiona la Giacosa: “Si rendeva conto che era totalmente fuori moda, fuori dalla consuetudine di chinare il capo innanzi ai potenti e beneficiarli come faceva chi aveva una famiglia da mantenere […]  era una mosca bianca; ma sinché glielo permettevamo avrebbe continuato a scrivere ciò che pensava o, meglio, che vedeva” (p.181).

E’ vero che la vicenda di Belletti e il “Lupo” è ambientata nel lontano gennaio 1982, che vive di grandi introspezioni, ma di fatto – basti pensare cosa sta capitando nel silenzio dell’opinione pubblica – è attualissima nel descrivere le dinamiche e le risibili contrapposizioni tra pseudo-giustizialisti e pseudo-garantisti.

Edizione esaminata e brevi note

Paolo Scardanelli, nasce a Lentini nel 1962. Geologo, vive nella Sicilia orientale.
Con Carbonio ha pubblicato la saga L’accordo, di cui sono usciti Era l’estate del 1979 (2020); I vivi e i morti (2022); L’ombra (2023) e Un posto sicuro (2024). Scardanelli è anche autore del romanzo In principio era il dolore. Un Faust di meno (2022), con protagonista il commissario Belletti.

Paolo Scardanelli, “Belletti e il lupo. Un caso del commissario Belletti”, Carbonio editore (collana: Cielo stellato), Milano 2024, pp. 201.

Luca Menichetti. Lankenauta gennaio 2025