San Guedoro Lodovica

La vita è un sogno

Pubblicato il: 31 Gennaio 2025

La fantasmagoria, forma di teatro nata nel XVIII secolo, grazie a particolari lanterne magiche, generava immagini mostruose oppure fantastiche, per poi mettere in scena storie soprattutto caotiche – in senso buono – ovvero ricche di immagini e personaggi che si succedevano vorticosamente uno dietro l’altro. L’aggettivo fantasmagorico, proprio per questo motivo, se può significare qualcosa di nebuloso, nello stesso tempo proprio in virtù di questa ambiguità, permette di esprimere tanta creatività. Non è un caso quindi che Lodovica San Guedoro, nel raccontare il suo “La vita è un sogno”, abbia usato più volte il termine “fantasmagorico”, che – lo abbiamo capito leggendo il suo romanzo – è un concetto ben distinto rispetto il “fantastico”. Romanzo felicemente anomalo anche nel suo sviluppo: basato su un dramma, scritto tra il 2002 e l 2003, era nato con grandi ambizioni, degno di grandi scenografie. Poi sappiamo come vanno le cose in Italia e della rappresentazione rimase soltanto una lettura scenica in quel di Roma.

Un peccato perché fin dalle prime pagine di questo romanzo si coglie perfettamente quanto potevano risultare suggestive sulla scena tutte le ipnotiche visioni che si susseguono senza soluzione di continuità. In realtà si dovrebbe parlare di visioni solo in parte. Forse più corretto esprimersi in termini di realismo magico congiunto con una lettura straniante di tante vicende contemporanee.

E’ vero che, in una sorta di viaggio tra gli anni cinquanta e il duemila, la scena iniziale dipinge, ovviamente trasfigurato, un episodio realmente avvenuto nell’infanzia della San Guedoro, ma presto la narrazione si popola di tanti altri personaggi, di fatto simboli delle crisi politiche, sociali che molti di noi hanno vissuto durante tutto il lungo percorso pluridecennale del treno in cui sostanzialmente è ambientato il romanzo-dramma. Così incontriamo l’ex simpatizzante extraparlamentare, il giovane che si atteggia alternativo, il marito individualista, il poeta ozioso, il drogato, il giornalista, una madre con la figlia piccola, il sindacalista, la donna settantenne, l’artista che vaga senza meta, il controllore pennuto e tutta la schiera degli aggressivi pennuti; e tante altre comparse, vuoi enigmatiche, vuoi più che conosciute a ciascuno di noi. Ma al di là di ogni altra considerazione, l’opera di Lodovica San Guedoro coglie nel segno – proprio come avevamo anticipato – per l’approccio fantasmagorico, che fortunatamente, grazie alla sensibilità della scrittrice, riesce a procedere di pagina in pagina, dosando suggestioni e scenari onirici, senza dare l’impressione che sia stata scritta con intenti programmatici e quindi appesantita da forzature.

Eppure, nelle pieghe di un linguaggio particolarmente raffinato, proprio come si raccontano i personaggi, archetipi contemporanei, ognuno di noi viene provocato a comprendere come del sogno iniziale, della vita promessa, descritta con toni idilliaci, nel corso di quel viaggio in treno, di idilliaco sia rimasto molto poco ed invece moltissime cose siano cambiate in peggio.

E’ bastato un semplice gesto della bambina, un’artista embrionale – in questo possiamo rilevare un aspetto autobiografico – come dare da mangiare a degli strani uccelli che poi, evidentemente ben pasciuti e con sempre più potere, causeranno tanta infelicità: “La signora anziana, sottovoce, per non essere udita dalla bambina: ‘Sono diventati in un attimo grossi come polli e, lei non se ne è accorta hanno mangiato la farfalla”. Tra gli adulti cade un silenzio sgomento” (p.22). Sgomento e poi infelicità che condurrà alla morte dell’ex bambina, ora diventata artista a tutti gli effetti. Salvo poi, proprio nelle ultime pagine, assistere ad un improvviso cambio di scena e rivedere l’iniziale campagna ancora piena di armonia, dove la bambina però modifica completamente l’atteggiamento nei confronti dei famelici uccellini: “Quando degli strani uccelli le si posano intorno, sorride e fa per tirar loro molliche… Ma, improvvisamente la sua fronte si rannuvola come per un brutto ricordo o presentimento, e la sua mano si ritira…Delusi, gli uccelli si rialzano in volo. Lei girella di nuovo, serena e svagata, per il prato mangiucchiando […] La sua espressione è di intensa meraviglia. La valigia si rivela piena zeppa di fogli scritti…La richiude e, poiché sul limitare del bosco è apparsa sua madre, le va incontro con questa, sorridendo illuminata di una gioia solare” (p.121).

“La vita è un sogno” è un gran bel romanzo, o dramma che dir si voglia, soprattutto perché Lodovica San Guedoro, grazie ad una prosa immaginifica e coltissima, ci ha regalato una rappresentazione “fantasmagorica” – forse una delle chiavi di lettura più plausibili – su come i sogni possano diventare incubi; e viceversa.

Edizione esaminata e brevi note

Lodovica San Guedoro, scrittrice, drammaturga ed esteta, è l’autrice più ombrosa della letteratura italiana contemporanea, inattuale per elezione, affascinante come un personaggio letterario, passionale, idealista, intransigente, credente. Cofondatrice, inoltre, con Johann Lerchenwald di Felix Krull Editore, una casa editrice fieramente definita senza pari, con sede a Monaco di Baviera. Una delle sue imprese è stata farsi proporre sei volte per il Premio Strega. Tra i suoi libri: Requiem di Arlecchino, L’ultima estate di Teresa Tellez e S’io fossi foco, sulla cui copertina compare un globo terrestre avvolto dalle fiamme.

Lodovica San Guedoro, “La vita è un sogno”, C&P Adver Effigi, Arcidosso 2024, pp. 144

Luca Menichetti. Lankenauta gennaio 2025