Paolo Zardi, di cui avevo già letto la raccolta di racconti Il giorno che diventammo umani, con XXI secolo, edito dalla Neo Edizioni come altri suoi libri, fa il suo secondo passo nel mondo dei romanzi (e viene candidato al Premio Strega 2015). Lo fa da scrittore di racconti, strutturando i capitoli come, appunto, racconti, segmenti narrativi compiuti se presi singolarmente e che al tempo stesso fanno procedere la narrazione. La storia è semplice, siamo in un futuro prossimo, grigio di crisi e violento, e c’è questa famiglia che si trova a dover fare i conti con la malattia, e con l’infedeltà. Un padre, una madre, due figli piccoli (una femmina, la maggiore, un maschio), e un giorno un ictus colpisce la donna, la trovano i figli e ecco l’ospedale, il coma, il dolore. Il padre, poco dopo, scopre sul cellulare della moglie la sua doppia vita di amante dalle foto esplicite, dagli sms spinti e già a pezzi per dover fare fronte alla quotidianità ospedaliera rimane devastato da tutte quelle informazioni, lì, a portata di schermo. E lui, lui non può neppure sfogarsi con lei, attaccarla, discuterne, litigare, no, perché lei non è più che un corpo immobile che respira in una stanza d’ospedale. Lui, sempre in viaggio per lavoro, per vendere depuratori dell’acqua casalinghi, capace di entrare nelle case altrui e riuscire a farsi dare quella fiducia momentanea perché le persone di fronte, spesso in difficoltà, acquistino il suo prodotto, non ha mai sospettato nulla di ciò che faceva la moglie in sua assenza, in casa sua. Se lei è immobile, lui però si può muovere, e comincia a indagare, chiama le amiche di sua moglie, le incontra, le va a trovare a casa, va dalla madre di lei, contatta la sorella lontana, e nel frattempo cerca di fare quel che può per i figli, con la maggiore che presto inizia a comportarsi da “madre” per il fratello minore, senza abbandonare la moglie, vegliandola. Iniziano i viaggi, e più lunghi sono più scava dentro sé stesso, l’uomo che chi legge non conoscerà mai per nome. È una teoria di andate e ritorni, tuffi e riemersioni, quella a cui assistiamo, che spinge ogni volta un po’ più in là il limite, il confine tra comprensione e incomprensione, tra amore e non amore. Il protagonista si muove in questa sorta di mondo alla fine del mondo, a un tempo apocalittico e normale, in fiamme e calmo, dove il nostro ordine odierno non è più (ma lo è, ora?), con un caos che le persone come lui tentano di tenere fuori, con la testardaggine di chi pensa che se lui continua a comportarsi sempre allo stesso modo anche il resto del mondo prima o poi si adeguerà. Ma c’è la moglie, in coma, che non può più comportarsi in alcun modo, che è ferma, immobile, non parla, non comunica che con la sua stasi, i suoi occhi chiusi, il suo corpo ridotto quasi a “cosa”, il suo respiro. È una lotta titanica tra chi vorrebbe qualcosa e chi non può più darla, quella cosa, tra chi si muove e chi è immobile.
L’aspetto che colpisce maggiormente è che, via via, appare sempre più chiaro come ogni nuova informazione in più diventi poco influente, come tutto il portato della rabbia che all’inizio c’è si riduca. Non vuol dire, questo, che l’uomo non provi rancore nei confronti della moglie, e nei confronti di sé stesso per non aver mai neppure intuito, nei confronti di tutta la propria famiglia che gli appare costruita su una immensa menzogna, ma che tutto ciò lascia spazio ad altro, che è sicuramente imperfetto e che, nonostante l’imperfezione, ha una forza diversa che acquista senso, o sembra farlo, nello scorrere degli eventi. Maggiore il numero di informazioni, minore la loro importanza complessiva. L’autore è bravo a giocare sull’accumulo che scompare, come se pagina dopo pagina tutto quello che accade venisse svuotato dall’interno. Viene da pensare che senza ictus, ma con la scoperta del tradimento, ci sarebbero state infinite discussioni e probabilmente una separazione, poi forse una riconciliazione, oppure no. Ci sarebbe stato più movimento interno, e meno esterno. Zardi lascia il nucleo, il centro, la casa, come costante a fare da perno, e insieme a essa la donna, immobile, dormiente. La sopravvivenza della moglie diventa sia “colpa” che “motivo” per cui andare avanti, nel suo silenzio trova spazio la riflessione, l’elaborazione sentimentale, l’uomo si spoglia di tutto e rimane, di fronte, a fianco, la sua famiglia.
“Nel passato si era aperta un’enorme ferita che partiva dal giorno in cui aveva conosciuto Eleonore e arrivava fino a quello in cui lei era caduta in coma. Il presente era fatto di rabbia, sgomento, disperazione. Per assurdo, solo il futuro sembrava giustificare una sorta di tranquillità apparente: Eleonore al sicuro, chiusa dentro quel corpo immobile; lui, da solo, a domandarsi cosa non aveva capito.” (pag. 62)
Edizione esaminata e brevi note
Paolo Zardi, nato a Padova nel 1970, ingegnere, sposato, due figli, ha esordito nel 2008 con un racconto nell’antologia Giovani cosmetici (Sartorio). Successivamente ha pubblicato le raccolte di racconti Antropometria (Neo Edizioni, 2010) e Il giorno che diventammo umani (Neo Edizioni, 2013), spingendo molti a definirlo il miglior scrittore italiano di racconti vivente. Suoi il romanzo La felicità esiste (Alet, 2012) e il romanzo breve Il Signor Bovary (Intermezzi, 2014). Ha partecipato a diverse raccolte di racconti (Caratteri Mobili, Piano B, Ratio et Revelatio, Hacca, Psiconline, Galaad, Neo Edizioni) e suoi racconti sono stati pubblicati su Primo Amore, Rivista Inutile e nella rivista Nuovi Argomenti. È il primo autore italiano ad essere stato tradotto e pubblicato dalla rivista Lunch Ticket dell’Università di Antioch (Los Angeles) con il racconto “Sei minuti” in Antropometria, con la traduzione di Matilde Colarossi. Cura il seguitissimo blog grafemi.wordpress.com. Paolo Zardi, XXI secolo, Neo Edizioni, 2015. Due belle recensioni a questo romanzo, una di Demetrio Paolin su Vibrisse, l’altra di Enrico Macioci su NewsTown. ab, giugno 2016
Follow Us