Pavese Cesare

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Pubblicato il: 22 Agosto 2006

Queste dieci, ultime poesie, (otto in italiano e due in inglese) di Pavese sono state trovate alla morte dell’autore in una cartella nella scrivania del suo ufficio nella casa editrice Einaudi. Dattiloscritte, portavano titoli e date di pugno dell’autore, pure scritto dall’autore era il frontespizio “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi / 11 marzo – 11 aprile 1950”.

Le liriche, scritte a Torino e a Roma, come si è potuto stabilire grazie all’epistolario, sono dedicate a Constance Dowling, un’attrice americana della quale Pavese si era innamorato, come testimonia il suo diario. La breve raccolta si apre e si chiude con due poesie in inglese, molto melodiose, delle quali Calvino ci ha dato una traduzione, valendo però di più la musicalità che il significato letterale dei versi. Altre quattro liriche hanno il titolo in inglese.

In queste ultime testimonianze poetiche Pavese abbandona il verso lungo e la poesia-racconto che avevano caratterizzato “Lavorare stanca” e crea dei versi molto brevi, musicali, che denotano lo stato di tensione amorosa e che vengono spesso collegati al poemetto “La terra e la morte” (nove poesie del 1945), anch’esso caratterizzato da versi brevi e atmosfere rarefatte.
Si può dire che le liriche di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” nascano e si chiudano sulla scia della passione amorosa per la Dowling: forse non aggiungono nulla di nuovo al già affermato mondo poetico di Pavese, ma offrono certamente una serie d’immagini belle ed eleganti, musicali e raffinate.
La donna amata viene accostata ad elementi della natura e diventa
“daina dalle membra bianche”, “viso di primavera”, “terra e piante,/cielo di marzo, luce”, “la tua ruga tra gli occhi come nubi raccolte – il tuo tenero corpo come zolla nel sole”, “acqua chiara”, “virgulto primaverile”, terra, “germogliante silenzio”, “dolce frutto”, “terra che aspetta”.

Eppure la passione amorosa non è mai staccata da immagini dolorose: “Sei radice feroce”, “Ricomincia il dolore”, “Sei la vita e la morte”, “hai riaperto il dolore”; a un certo punto della donna si parla al passato, come di un’esperienza conclusa: “tu eri la vita e le cose”, “respiravamo”; anche la speranza non esiste più: “O cara speranza,/ quel giorno sapremo anche noi/ che sei la vita e sei il nulla” (dove il vocativo ha qualcosa di leopardiano), o è tormentata: “La speranza si torce,/ e ti attende ti chiama”.

L’incomunicabilità si mostra: “O viso chiuso, buia angoscia”, dove l’immagine del viso chiuso riecheggia quella del “labbro chiuso” nella famosa lirica che dà il titolo all’intera raccolta. Proprio “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” è forse la poesia più bella: un congedo, un addio, per qualche critico Pavese non si rivolgeva solo ad una donna, ma anche alla letteratura: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi – / questa morte che ci accompagna/ dal mattino alla sera, insonne,/ sorda, come un vecchio rimorso/ o un vizio assurdo….”
Dopo l’ultima, devastante esperienza amorosa, conclusa anche la ricerca letteraria, l’idea del suicidio, che aveva da sempre ossessionato Pavese (fin da quando, da ragazzo, suggestionato dall’analogo gesto di un compagno di scuola, aveva cercato d’imitarlo, ma aveva poi sparato contro un albero i colpi di pistola destinati a sé stesso), ha il sopravvento e porta al noto, tragico epilogo.

 Articolo apparso su lankelot.eu nell’agosto 2006

Edizione esaminata e brevi note

Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 1908 – Torino, 1950) scrittore italiano. All’attività di romanziere e poeta affiancò quella di saggista e traduttore e fu tra i fondatori della casa editrice Einaudi.

 Le poesie analizzate sono contenute nel volume: Cesare Pavese, “Poesie del disamore”, Einaudi, Torino, 1977. Il volume è corredato di esaurienti note filologiche.