Belgrado Valentina

Reborn

Pubblicato il: 26 Settembre 2019

I romanzi di Valentina Belgrado riescono sempre a stupirmi: sono brevi e intensi, complessi senza essere arzigogolati o noiosi, hanno uno stile curatissimo e preciso con un lessico impeccabile, che si estende anche ad ambiti scientifici, in particolare alla chimica e alla medicina. Realtà patologiche rare o comportamenti inusuali fanno parte della trama.

In questo suo quarto libro (terzo per le edizioni Nulla Die) Valentina Belgrado ci parla di una maternità, che ovviamente non poteva essere quella tradizionale, famigliare, qui abbiamo una maternità esclusiva, che non prevede alcuna presenza paterna e sembra racchiusa in un bozzolo madre/figlio.

Prisca, che ha ormai oltrepassato i quaranta, desidera ardentemente un bambino. Si è lasciata col suo compagno dopo sette anni di relazione e decide quindi di concepire in maniera assistita all’estero, ma di questa esperienza non si parla. È preceduta invece da un soggiorno piuttosto lungo in Emilia-Romagna, regione che permette di avviare pratiche di inseminazione artificiale fino a 46 anni compiuti della madre. Prisca si ritira così a Vigorso, vicino a Budrio, in campagna, in un monolocale all’interno di un casale, la cui locatrice è Selene, che vive lì con il compagno Saverio. Prisca conoscerà la loro storia.

Per inciso, a Budrio vive anche Simona Vinci, citata direttamente nell’epigrafe del romanzo e poi anche all’interno dello stesso.

Il soggiorno in Emilia-Romagna è però “racchiuso” al centro del libro: all’inizio e alla fine vediamo Prisca già con Tancredi, il suo bambino, che lei accudisce con accuratezza quasi maniacale. La maternità è scrutata e analizzata con tale precisione da rasentare la freddezza, lo stile è affilato, analitico riguardo sentimenti e sensazioni. Non c’è il tradizionale effluvio amoroso, a volte persino stucchevole, che accompagna la maternità, qui c’è qualcosa di malato, di asettico, una “duplicazione” che la protagonista fa di se stessa in un figlio.

Tancredi si chiama così sia perché Prisca ha molto amato “Il gattopardo” libro e la sua trasposizione cinematografica, compreso l’interprete, sia perché la vocale finale ha un suono argentino, “tinnante”, che assicurerà, secondo lei, successo al bambino.

Tancredi è bello, è buono, sembra il bambino perfetto, tutto in lui funziona e i piccoli difetti si sistemeranno col tempo. Prisca lo studia, lo scruta, lo analizza come faceva con i bambolotti con i quali amava giocare da piccola.

La loro relazione è metodica e chiusa, è come se Prisca vivesse in un altro mondo, lei e Tancredi costituiscono una “monade simbiotica all’interno di un guscio”.

A questo punto ci si possono porre svariate domande su questa maternità: per non anticipare la trama posso solo dire che nulla è come sembra, che l’autrice saprà trarvi in inganno e sorprendervi fino all’ultima pagina.

Gli altri personaggi sono pochi: l’ex compagno di Prisca, evocato soltanto, col quale ha convissuto, forse per opportunismo, e il cui ruolo sembra essere solo funzionale all’evolversi della trama, e poi Selene e Saverio, la coppia del casale. Selene ha idee razziste, al contrario di Prisca che si professa aperta e progressista, anche se non è priva di fissazioni e manie igieniche. Ad esempio veste Tancredi solo con colori neutri e tenui, perché teme che le tinte troppo accese possano favorire l’insorgere della dermatite atopica, della quale lei stessa ha sofferto da bambina.

Oppure non arreda la cameretta del piccolo con alcun oggetto infantile, perché lo ritiene superfluo e distraente dal fine ultimo della genitorialità.

Questo bambino sembra più un oggetto da accudire che un autentico, urlante e tirannico neonato. Da lettrice vi metto in guardia fin dal titolo…

Prisca, di famiglia borghese agiata, tanto che può vivere senza lavorare, si definisce dalla facile irascibilità, vanta una parossistica insofferenza verso ogni genere di banalità e un purismo lessicale addirittura esagerato. Non ha vie di mezzo, è metodica.

I temi del romanzo – così breve – sono numerosi e complessi, vi è anche un riferimento alla nuova medicina germanica di Hamer e a idee xenofobe (forse perché stanno dilagando e sono pericolose?).

Il consiglio che posso dare ai lettori è: mettetevi d’impegno, fate ricerche, controllate bene il significato delle parole e… divertitevi a capire. Resterete sempre e comunque sorpresi.

Edizione esaminata e brevi note

Valentina Belgrado, nata a Firenze nel 1975, si è laureata in Letteratura Teatrale Italiana nella sua città, per trasferirsi successivamente ai Castelli Romani, dove vive con il marito e il figlio. Prima di Reborn, ha pubblicato poesie su riviste e antologie, recensioni a libri e film su riviste, il romanzo Ius (eBook ©2017 Amazon Formato Kindle), il romanzo Eloheinu (Nulla Die, 2018) e il romanzo Il gioco interrotto, finalista al Premio del Mare Marcello Guarnaccia (Nulla Die, 2019).

Valentina Belgrado, Reborn, Piazza Armerina, Nulla Die 2019.

I romanzi di Valentina Belgrado su Lankenauta.

I romanzi di Valentina Belgrado sul sito dell’editore Nulla Die.