Siviero Luigi

Un’astrazione linguistica dai toni freddi

Pubblicato il: 9 Ottobre 2019

Sarà banale dirlo ma il rapporto con un libro comincia dal titolo. Esso sintetizza l’opera, ne rappresenta l’ingresso, permette un primo contatto. Così questo libro di poesie di Luigi Siviero ha un titolo che condensa la visione del suo autore, ne fonda l’operazione come esito che definirei concettuale, “Un’astrazione linguistica dai toni freddi”, edito dalle Edizioni Montag nel febbraio del 2019.

Potrebbe essere una definizione di questa poesia, che, se tende all’astrazione, ci restituisce con freddezza una sorta di reportage del caos linguistico operante nel nostro tempo. Questo libro si rivela così denso di interrogazioni, profondamente moderno e come tale sorprendente.

Si tratta, infatti, di un libro scritto utilizzando la tecnica del cut- up. Riporto la definizione che dà Wikipedia di questo procedimento, nato nell’ambito del dadaismo: “Il cut-up è una tecnica letteraria stilistica che consiste nel tagliare fisicamente un testo scritto, lasciando intatte solo parole o frasi, mischiandone in seguito i vari frammenti e ricomponendo così un nuovo testo che, senza filo logico e senza seguire la corretta sintassi, mantiene pur sempre un senso logico anche se a volte incomprensibile.”
In questo caso i tagli sono effettuati su materiale eterogeno: vengono cucite insieme frasi estrapolate dal Corriere della Sera, dalla rivista di cinema Film Tv e soprattutto dalla homepage di Facebook.

L’autore quindi sparisce totalmente in questo collage di flussi semantici che non sono l’espressione della soggettività ma, nelle parole dell’introduzione di Siviero, incarnazione di uno scenario: quello del discorso collettivo contemporaneo, cumulo di macerie linguistiche sotto il cielo vuoto di un’astrazione davvero gelida.
Il procedimento viene definito ”sequenziamento” da Siviero, espressione questa che “in biologia indica la determinazione dei nucleotidi che costituiscono l’acido nucleico” per quel che concerne la mappatura del DNA.

Così Siviero mostra il volto segreto del linguaggio, la sua derivazione macchinica, il suo automatismo impersonale, i suoi meccanismi di alienazione collettiva. Lo sfondo è quello del nichilismo contemporaneo, della crisi del linguaggio come fonte di valori certi e stabili, della disintegrazione del soggetto. Sebbene non nuova, l’operazione di Siviero è sconcertante, questo linguaggio, che non ha autore, sembra anche non avere destinatario, è una colata lavica di informazioni che codificano la contemporaneità come non luogo di una farneticazione senza senso, senza scopo, senza volontà. Questa operazione non sarebbe dispiaciuta al Deleuze dell’AntiEdipo, perché mette in atto numerose macchine desideranti inceppate, mostra la natura assolutamente alienata e alienante del linguaggio comune, nella scissione schizofrenica della sua frammentazione.

È uno scenario inquietante; a dominare queste liriche è naturalmente il vuoto, e specchiandosi in esse, noi come i vampiri non possiamo più riflettere alcuna immagine, ci dissolviamo in questi versi realmente gelidi, paradossalmente quasi non umani, in cui l’io scompare ed emergono flussi caotici, casuali e indeterminati.
Tutto nasce da un disagio, se “uno dei principali strumenti del potere è il linguaggio” qui si prova a scardinarlo mostrandone la futilità angosciante. La forma è tutto, il contenuto solo un pretesto, l’assemblaggio di queste voci è reso stilisticamente nella maniera di flussi che si intersecano, come in un montaggio cinematografico dove fra un verso e l’altro si intuisce proprio l’operazione tecnica di giunzione di parti di una pellicola.

Qui i concetti di bello e brutto, di bene e male, di giusto e sbagliato, sono inservibili, le nostre categorie sono messe radicalmente in discussione. È quella di Siviero un’operazione estetica dalle implicazioni filosofiche evidenti. Cos’è il pensiero? Cosa è il messaggio? Chi è che sta parlando? A chi? Dov’è il significato? Il significato… Ebbene, questa rassicurante codificazione di significanti si perde nel gran marasma di flussi semantici che debordano da tutte le parti.

Questo libro dunque riproduce il blob linguistico che ci assedia, ne denuncia l’onnipotenza criminale, mostra oltre ogni ragionevole dubbio che “Io è morto”, e che la comunicazione ormai avviene fra monadi e non fra individui e che se “il mezzo è il messaggio” ci troviamo oggi in un deserto dove Nessuno parla a Nessuno, dove Tutti comunicano compulsivamente perché tutto è collassato in un buco nero. La morte dell’autore si è dunque consumata, come scriveva Blanchot. Oltre l’orizzonte di questi eventi linguistici le parole si confondono, il caos si impadronisce del discorso e detta le regole, la poesia stessa è un residuo, una scoria, un frammento, tutto diventa assurdo e senso e non senso celebrano la loro fusione.

“Un’astrazione linguistica dai toni freddi” è dunque un libro davvero inquietante perché, andando alla sostanza della nostra epoca, mostra come l’alienazione vociferante abbia oramai preso il sopravvento e alla poesia non resta che testimoniarlo. Concludiamo leggendo il flusso che apre il libro:

“Fare entrare in risonanza
bellezze divine senza nome
non ci renderà immuni
al sistema che garantisce lo stile e la classe
le idee di giusto e di sbagliato.
Come faccio sapere chi si ama veramente?
Cerco un nome
ho bisogno di un nome.
Ho deciso che vi porterò qualcosa dal nome gelido
un’astrazione linguistica dai toni freddi”

Edizione esaminata e brevi note

Luigi Siviero è nato a Trento nel 1977. Ha realizzato i saggi “Analisi del fumetto”, “Dylan Dog e Sherlock Holmes: indagare l’incubo”, “Dall’11 settembre a Barack Obama”. Ha pubblicato anche racconti, poesie, fumetti. Nel 2016 ha vinto il Premio Fogazzaro nella sezione Microletteratura e social network – Premio speciale umorismo. Nel 2018 ha pubblicato un romanzo ”Il tramezzino” con l’editore Centoparole.

Luigi Siviero, Un’astrazione linguistica dai toni freddi, Edizioni Montag, febbraio 2019

Lo spazio bianco
La zona morta
trentoblog

Ettore Fobo, Lankenauta, ottobre 2019