Schena Roberto

Storiacce padane

Pubblicato il: 19 Febbraio 2014

Schena Roberto “La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni. Qua rischiamo di diventare un popolo di ricchioni” (pag. 90). Questa una delle tante perle dell’On. Calderoli che vengono ricordate in “Storiacce padane” di Roberto Schena. E fin qui nessuna particolare novità: avevamo già letto ben altre antologie di raffinatezze padane ed ormai certe espressioni disinvolte non ci stupiscono. E’ vero però che il libro di Roberto Schena, già redattore e poi caporedattore della Padania, quanto meno ha avuto il merito di aggiungere qualcosa di inedito alla pubblicistica sulla Lega Nord. Innanzitutto, malgrado le frequenti evocazioni di culattoni ed islamici, abbiamo avuto conferma (lo sapevamo già da altre fonti), che Calderoli, una volta dismessi i panni del kamikaze padano, di persona “è tutto il contrario rispetto al ruolo che interpreta pubblicamente […] La verità: Calderoli vuole apparire duro, deciso, cattivo, puro, ingenuo come egli ritiene siano i suoi valligiani bergamaschi” (pag. 87). Ma soprattutto, a parte il ridimensionamento di certi personaggi legati alla Lega, Schena, con tutta la perfidia dell’ex, ha raccontato l’involuzione del movimento dalla prospettiva del quotidiano “La Padania”, senza per questo dimenticare alcuni passaggi politici ancora oscuri e che hanno probabilmente condizionato la strategia di Bossi, sia quando era in salute, lucido e gran volpone, sia quando, malato, si è affidato in tutto e per tutto al “cerchio magico”. La storia, con parecchi rimpianti, di tutte le svolte politiche della Lega, dagli anni di Miglio, dall’antiberlusconismo al berlusconismo, dalle idee oscillanti e confuse di federalismo e di indipendentismo fino ad ogni perdita di pudore con Belsito, Rosi Mauro e il Trota. Vicende che, in “Storiacce padane”, prendono le mosse quindi dalla redazione di un giornale di partito, non priva di contraddizioni. Lo stesso Pino Aprile, autore della postfazione, si chiede come sia stato possibile che, per anni e anni, professionisti anche di cultura libertaria abbiano potuto convivere con personaggi del calibro di Borghezio, scrivendo per un quotidiano che passava disinvoltamente dal sostenere la mafiosità di Berlusconi all’alleanza di ferro col Pdl, dagli insulti ai preti (“Il Sud è quello che grazie all’Atea Romana Chiesa, con i suoi vescovoni falconi che girano con la croce d’oro nei Paesi dove si muore di fame: il principale potere antagonista dei padani”) all’integralismo cattolico in odore di scisma lefebvriano, dalle ampolle celtiche del dio Po’ alla pretesa cristianizzazione del Nord, agli articoli revisionisti di Angela Pellicciari e Francesco Mario Agnoli, con la costante dell’insulto nei confronti di immigrati, gay e meridionali. Evidentemente per lunghi anni è rimasta ferma l’idea che molti di quei limiti fossero più di facciata che reali, superabili nel tempo e che comunque ci fosse un pedaggio da pagare per far sì che la Lega regalasse agli italiani un sistema federale tipo Svizzera, più consono alla nostra realtà sociale. “Padania” non come uno Stato a sé, ma un federalismo alla Cattaneo, laico, che avrebbe voluto dire tutt’al più una macroregione. Contraddizioni evidenti visto che è lo stesso Schena, tra i primi entrati in redazione, ad ammettere che “la collaborazione fra giornalisti appartenenti a un’area politica differente e i leghisti fu possibile perché il nemico comune dichiarato, nel 1997, era ancora Silvio Berlusconi” (pag. 26).

Poi la svolta, peraltro già nota grazie ad altri libri inchiesta, che nel 2000 portò ad un repentino ribaltamento di alleanze, dopo anni di insulti rivolti al “mafioso di Arcore”, e che pare aver nascosto un vero e proprio contratto commerciale tra partiti. Tra le varie fonti che svelano l’esistenza di una sorta di compravendita, viene riportata parte dell’intervista dell’Annunziata a Gigi Moncalvo, già direttore della Padania, il quale cita anche alcuni colleghi giornalisti: “Questo contratto, mettiamolo tra virgolette, viene datato gennaio 2000, cioè un anno prima delle elezioni politiche, quando Bossi e Berlusconi si sono presentati alleati e hanno poi sconfitto il centrosinistra. A giugno dello stesso anno, quindi sei mesi dopo la firma, c’è una lettera dell’allora tesoriere di Forza Italia, Giovanni Dell’Elce, alla Banca di Roma, in cui scriveva: attenzione, noi siamo fideiussori, firmiamo per una fideiussione per due miliardi di lire a favore di qualsiasi debito la Lega abbia. L’esistenza della lettera, su carta intestata di Forza Italia, è stata scoperta e riprodotta da Mario Calabresi, che allora lavorava a la Repubblica. In pratica c’è una dazione di denaro. Per la prima volta nella storia, c’è un partito che firma una fideiussione per un altro partito” (pag. 142).

Il risultato di queste furberie da codice penale? Nessuna riforma federale, sbandierata quanto evidentemente poco sentita dagli stessi leader padani, ed invece il pieno inserimento in un rinnovato centralismo nordista: “Ha allevato una casta locale altrettanto parassitaria e partitocratica di quella nazionale di sempre. Nonostante l’ingente finanziamento pubblico spettante agli house organ del partito, la Padania quotidiano è stata ridotta ad asservire una mediocre partitocrazia provinciale, a dispetto dei militanti e degli elettori. Fino a non avere quasi più lettori” (dalla quarta di copertina). Involuzione che Schena ha voluto raccontare – ripetiamolo – partendo proprio dalla redazione del quotidiano di partito, dove meglio si potevano cogliere i limiti culturali della linea politica leghista e del conseguente prodotto giornalistico. Dall’intelligente direzione di Gianluca Marchi, al cattolicissimo e mite Giuseppe Baiocchi, per proseguire poi con Gigi Moncalvo, Giuseppe Leoni, Gianluigi Paragone e Leonardo Boriani. Quest’ultimo, tanto per gradire, “il 12 marzo 2013 viene arrestato dalla Direzione Investigativa Antimafia di Milano (Dia), nell’ambito di una indagine per corruzione nell’ambito di un’inchiesta sulle presunte tangenti nella sanità in Lombardia.Nell’ottobre 2013 ha patteggiato una pena di due anni di reclusione” (fonte wikipedia).

Per concludere ci sembra opportuno citare un passaggio dove Julius Hofer racconta del libro, ormai introvabile, “Io Bossi e la Lega” del prof. Miglio: “Quello che emergerà con evidenza in seguito c’era già tutto in quel libro del 1994: il familismo, la doppiezza, l’assoluta infedeltà alla scelta federalista, l’interesse esclusivo al cambiamento delle posizioni di potere […] Miglio non avrebbe mai riconosciuto come leghista quello che è diventata la Lega dopo il 1997: un movimento politico assaltato e sempre più sfibrato da un afflusso di militanti della idee neofasciste, razziste e perfino nazionaliste-protezioniste contrarie all’Unione Europea […] Il fenomeno è noto nella storia dei movimenti politici come entrismo” (pag. 82). Ed ancora Pino Aprile che così interpreta il disagio e la rabbia che traspare nel libro di Roberto Schena: “La Padania, il giornale, è rimasta stritolata nella contraddizione fra un partito che parla alla pancia, o giù di lì; e la natura di un giornale, qualunque esso sia, che non può prescindere dalla testa” (pag. 202).

Edizione esaminata e brevi note

Roberto Schena, giornalista professionista, è nato a Milano, dove vive e lavora. Cresciuto professionalmente con Indro Montanelli a Il Giornale, ha poi diretto vari magazine. E’ stato caporedattore della Padania. Nel 1999 ha pubblicato “Pio XII santo?”.

Roberto Schena, Storiacce padane. Come non costruire un partito, tantomeno il suo giornale, Addictions-Magenes Editoriale (collana Sinapsi), Milano 2013, pp. 240

Luca Menichetti. Lankelot, febbraio 2014