Johnson Katherine

Selvaggi

Pubblicato il: 28 Marzo 2021

Un libro che oscilla tra la realtà e la ricostruzione di essa, possiamo quasi considerarlo un romanzo storico vista l’attenzione ai dettagli e l’utilizzo della finzione solo per colmare una mancanza d’informazioni dirette che data la tematica è abbastanza comune.

Si tratta della storia di tre giovani aborigeni, due uomini ed una donna, Bonangera (Bonny), Jurano e Dorondera, originari dell’Isola di Fraser, K’gari in lingua locale, che nel biennio 1882-83 vennero portati in tour per l’Europa come parte di quelli che erano chiamati “spettacoli etnici” o “zoo umani”. Un fenomeno che cominciò a partire proprio dal XIX secolo e che andò avanti fino agli anni ’50 e che si è calcolato, coinvolse 35.000 individui da ogni angolo del pianeta, raggiungendo un miliardo di spettatori. Il fenomeno fu popolare su entrambe le sponde dell’Atlantico e creò una vera e propria industria redditizia, il famoso impresario P.T. Barnum, per esempio, ne fu uno dei più celebri partecipanti.

La storia è raccontata dal punto di vista di Hilda, giovane ragazza tedesca che per sei anni ha vissuto con il padre a K’gari, con loro c’era anche la madre, morta però di malattia l’anno prima dell’inizio della narrazione. La famiglia si trovava là in una sorta di esilio volontario, il padre Louis infatti, è un ingegnere che è stato accusato del crollo di un ponte che aveva progettato in Germania.

La famiglia ha vissuto quindi con la tribù locale dei nativi badtjala, di cui Hilda ha presto imparato lingua, usi e costumi. Il futuro della tribù tuttavia è in serio pericolo: molti degli abitanti dell’isola sono già morti a causa delle nuove malattie portate dagli Europei, altri sono stati cacciati dalle loro terre dai colonizzatori.

Louis riceve lettere dalla Germania, molti impresari sarebbero contenti di finanziare un suo ritorno in patria se portasse con sé qualche indigeno da poter far esibire in uno spettacolo itinerante. Louis convince tre membri della tribù, promette loro che potranno parlare con la regina d’Inghilterra e convincerla a fare qualcosa per proteggere i badtjala e così inizia il viaggio.

Il libro segue la vicenda, basata appunto su fatti realmente accaduti, e si propone di ricostruire quelle che possono essere state le dinamiche di quest’industria dell’intrattenimento e che oggi fanno giustamente rabbrividire. Il punto di vista è sempre quello di Hilda: un personaggio molto ben costruito che dopo anni vissuti con i badtjala, fatica molto a riadattarsi alle usanze europee dell’epoca, i vestiti (cappelli, guanti, corsetti), i comportamenti considerati adatti ad una giovane donna, il conoscere il “proprio posto nella società”, tutti concetti sconosciuti ai badtjala. Hilda considera i 3 indigeni come suoi amici, soffre quando subiscono un torto, cerca di proteggerli come può, ma suo padre e tutto il mondo che le sta intorno sembra remarle contro e tratta i suoi amici solo come oggetti da studiare e analizzare, senza preoccuparsi troppo del loro benessere.

Senza voler andare troppo sui dettagli della trama, questo non è un libro felice, i momenti d’ingiustizia sono parecchi e vanno in una sorta di crescendo che culmina in un paio di scene finali che purtroppo forse sono realmente accadute. In particolare ci sono dei capitoli dove si parla della pratica del creare dei calchi in gesso degli aborigeni, in un caso però, il gesso provoca gravi ustioni a Bonny, mettendo addirittura la sua vita in pericolo e le sue parole al riguardo sono molto simboliche: «A questi uomini non importa niente di me» disse Bonny a Hilda in badtjala. «Pensano che facendo questa copia, questo guscio» disse guardando gli stampi messi ad asciugare vicino alla finestra, «potranno conoscermi. Ma non è così».

Il lavoro dell’autrice, l’australiana Katherine Johnson, è quanto più possibile rispettoso della cultura badtjala e anzi, non perde mai occasione per darci qualche dettaglio sulle loro credenze, leggende e storie, frutto di uno studio antropologico sicuramente accurato e che ci permette di avvicinarci a quello che forse hanno pensato gli aborigeni durante il loro viaggio.

In conclusione, si tratta di un libro estremamente interessante che permette d’imparare qualcosa su un tema poco conosciuto e che ci dà una rinfrescata su un altro tema invece più noto e decisamente più vecchio, la stupidità umana. Lo consiglio a tutti coloro a cui piacciono i romanzi storici e che vogliono imparare qualcosa sugli “zoo umani”.

Edizione esaminata e brevi note

Katherine Johnson, nata nel Queensland, in Australia, e cresciuta lungo il fiume Brisbane, ha lavorato come giornalista scientifica. È autrice dei romanzi Pescador’s Wake (2009), The Better Son (2016) e Matryoshka (2018), oltre a Selvaggi (Paris Savages, 2019), basato su accurate ricerche effettuate in Australia, Francia e Germania e selezionato nel 2020 per l’Australian Book Industry Awards (ABIA). Oggi vive in Tasmania con il marito e due figli.

Katherine Johnson, “Selvaggi”, traduzione di Gianluca Testani, Jimenez Edizioni, 2021, Roma.