Niffoi Salvatore

Cristolu

Pubblicato il: 13 Giugno 2022

Sono nata nella Marsica, la terra che è di “Fontamara” ma anche di qualche frate che si è fatto brigante. E leggere “Cristolu” di Salvatore Niffoi mi ha riportato alla mente sia le tematiche care a Silone, sia le antiche storie di frati che impugnarono le armi per difendere le proprie idee. “Cristolu” non è un libro recente. È stato pubblicato, per la prima volta, nel 2007 per l’editore Il Maestrale. Lo scorso anno è stato ripreso e ristampato da Giunti. Un romanzo sardo, non potevano esserci dubbi. Sardo per la lingua, per i personaggi, per le atmosfere. Ma anche un romanzo universale per via di quei principi di ricerca di giustizia, seppur ottenuta in maniera tutt’altro che “legale”, che richiama concetti atavici legati alle radici del mito.

La terra di “Cristolu” è, di nuovo, la Barbagia che Niffoi conosce per nascita, per spirito e per appartenenza. Il primo personaggio che incontriamo a Orotho è don Frunza, un prete dall’appetito costante, la stazza notevole e dai moti dell’animo imperscrutabili. È il giorno dei morti e il sacerdote accoglie in chiesa le solite donne del paese: “vecchie incanite affamate di paradiso, costrette da vedovanze precoci o amori andati a male alla solitudine, all’idea della morte imminente“. Don Frunza ha una sua idea degli abitanti di Orotho, un’idea che tiene per sé e non confessa nemmeno al vescovo. “Gente semplice fino a essere rude, vinta da una vecchiaia precoce, così considerava quelli di Orotho don Frunza. Gente di carattere, buona, ma portata da una sua filosofia all’autodistruzione. Uomini e donne che già da piccoli si lasciavano corrodere dal tarlo del tempo. Il resto lo faceva il vino buono e asprigno delle colline di Arzullè e Marapongiu, aggiungendo euforia provvisoria, infermità, apatia, sangue“.

Per il giorno dei morti, come sempre, il prete, i chierichetti e le “viudas di Orotho” si recano al camposanto per la benedizione di rito. Proprio nei pressi dell’ultimo filare di tombe, don Frunza s’accorge della presenza di qualcosa di diverso dal solito, “un cenotafio aggiunto all’ultima fila, proprio sotto il cipresso che ospitava il nido del cuculo. Il cero lacrimava su un mattone che qualcuno aveva posato sopra una grossa scatola di latta chiazzata dall’umidità“. Il prete porta con sé la scatola e scopre che al suo interno vi è una pila di fogli che, una volta giunto a casa, fa asciugare al tepore del camino. “Sulla prima pagina, sotto un cristo nudo e crocifisso a due tavoloni: Barore Suvergiu, noto Cristolu Vita e morte di un frate bandito“. Ed è solo a questo punto che si giunge in presenza del Cristolu del titolo, nato Barore (Salvatore) Suvergiu, figlio di Frantzisca Rosaria e di Felleddu, noto Vurittu. “L’inizio del manoscritto che pareva una carta d’identità del Regno di Sardegna: Mi chiamo Barore Suvergiu, noto Cristolu. Nato a Orotho il giorno diciannove febbraio del 1850. Stato civile nubile e professione nessuna. Un po’ frate e un po’ bandito, questo lo decida chi leggerà un giorno la mia storia. Altezza un metro e sessantacinque senza i cosinzos, capelli pochi, occhi verdi e sempre tristi da quando il destino mi ha dato un calcio nel basso ventre e il Signore non è riuscito a trattenere la mia collera. Segni particolari: una cicatrice da forcipe sulla tempia sinistra e una da coltello sul fianco destro“.

Don Frunza, dopo aver letto lo strano manoscritto, decide di convocare una trentina di preti e, con il benestare del vescovo, dona loro una copia della vita di Cristolu affinché venga letta dal pulpito, durante la messa della domenica. “La vita di quell’uomo era in fondo un modello di cristianità da portare ad esempio a tutte le genti di Barbagia, e se era il caso anche ai marghinesi e costerini“. La storia di Barore è quindi letta ai fedeli, quasi come un novello Vangelo. Di puro spirito cristiano, nel racconto dell’uomo che si descrive “po’ frate e un po’ bandito“, ce ne è molto e la gente di Barbagia sembra apprezzare, tanto da riversarsi in chiesa come mai era accaduto prima. Le due narrazioni procedono in parallelo: la vita di Cristolu si innesta e si insidia nella vita di don Frunza e non solo. L’espediente del ritrovamento di un manoscritto, si sa, non ha nulla di originale ma consente di capire che da un secolo all’altro certe regole, come Silone insegna, non cambiano: i ricchi restano padroni, i poveri rimangono asserviti e senza voce.

La vita cristiana di frate Barore è esemplare e, se tutto fosse andato nel verso giusto, magari l’avrebbe condotto almeno all’odore di santità. Ma il sopruso e la violenza stravolgono quello che sembra un destino segnato nel nome di Cristo. Barore dismette il saio per diventare bandito. La piccola gente che ascolta la storia di Cristolu riconosce in lui “il martire che sacrifica la sua vita per gli altri“. Le autorità ecclesiastiche vorrebbero che i sacerdoti smettessero di leggere in chiesa le gesta di un frate che, dopo aver persino compiuto miracoli, sceglie di non perdonare ma di farsi giustizia da sé, rinnegando i principi basilari di una fede che pretende di porgere pacatamente l’altra guancia. La vicenda di Cristolu diventa esemplare per chi l’ascolta poiché in quella figura d’uomo la povera gente di Orotho si riconosce e si immedesima. Cristolu è comunque un eroe cristiano nonostante i peccati commessi, perché il male è di questa terra e la promessa di un Paradiso a venire non può lenire né sanare, da sola, la paziente sopportazione di quel che è ingiusto. Niffoi riesce, ancora una volta, a restituirci scene e personaggi di enorme fascino e spessore. Un variegato universo di volti e di voci, di luoghi e di pensieri tracciati con una potenza descrittiva unica.

Edizione esaminata e brevi note

Salvatore Niffoi è nato nel 1950 ad Orani, in Barbagia, provincia di Nuoro. Ha studiato Lettere a Roma e si è laureato nel 1976 con una tesi sulla poesia in sardo. Il suo primo romanzo si intitola “Collodoro” ed è stato pubblicato nel 1997 da Solinas. Nel 1999 pubblica per Il Maestrale “Il viaggio degli inganni” a cui fanno seguito “Il postino di Piracherfa” (2000), “Cristolu” (2001) e “La sesta ora” (2003). Invece i romanzi “La leggenda di Redenta Tiria”, “La vedova scalza” (Premio Campiello nel 2006) e “Ritorno a Baraule” sono pubblicato da Adelphi. “Pantumas” (2012) e “La quinta stagione è l’inferno” (2014) sono editi da Feltrinelli. “Il venditore di metafore” esce per Giunti nel 2017, per lo stesso editore, nel 2020, esce “Le donne di Orolé” e nel 2021 “Cristolu”.

Salvatore Niffoi, “Cristolu“, Giunti Editori, Firenze, 2021.

Pagine Internet su Salvatore Niffoi: Wikipedia / Làcanas / Premio Campiello