“Qualcosa stava scivolando giù dal muro! Sembrava una macchia di sporco che stesse colando dal piano di sopra, rapida ma inesorabile, senza alcun rumore. Ma non era tanto quello a incuriosirlo, quanto il fatto che la ‘cosa’ sembrava cambiare direzione volontariamente”.
Tre storie, tre inquietanti narrazioni racchiuse in 177 agilissime pagine, tre racconti brevi che recuperano le atmosfere fascinose di Ai confini della realtà. Un libro breve ma incisivo, quello del fiorentino, classe 1969, Lapo Ferrarese, grande appassionato di horror e fantascienza che per Galaad Edizioni ha pubblicato questa interessantissima opera seconda. A due anni da Ombre. Racconti del mistero, ecco che arriva Incubi. Racconti horror, libro in cui Ferrarese recupera le paure infantili e adolescenziali più profonde e le trasforma in allucinanti ossessioni reali, risucchiando i suoi sfortunati personaggi in un vortice oscuro da cui non c’è possibilità di ritorno. Nell’horror non esiste il lieto fine, e come nelle più riuscite fiabe gotiche Ferrarese non lo cerca mai, sorvolando giustamente su possibili considerazioni etiche o moralistiche, lasciando fluire il male in tutta la sua virulenza, nei terrificanti epiloghi. Ecco che tre storie semplici e ben congegnate, se lette con la giusta disposizione e con la passione per gli incubi e i misteri sapientemente narrati, diventano tre momenti di puro e piacevole intrattenimento orrorifico. Difatti non è tanto l’originalità delle storie in sé (difficile trovare originalità nella letteratura di genere, inutile soffermarsi troppo su questo aspetto) a convincere il lettore, quanto il taglio scelto dall’autore, la sua capacità di restituire in poche pagine non soltanto l’atmosfera incubotica necessaria a catturare l’attenzione, ma anche e soprattutto una convincente caratterizzazione psicologica dei personaggi, cosa ben più difficile nel racconto breve. Ad ogni modo, prima di approfondire ulteriormente i motivi per i quali Incubi è un’opera di genere più che convincente, ma senza svelarvi troppo, è d’obbligo lasciarvi qualche traccia delle trame sviluppate dallo scrittore fiorentino.
Nel primo racconto, Verdetto, un poliziotto e tre rapinatori sono vittime di ignote forze malefiche che si manifestano, nell’incredulità dei presenti, al termine di un inseguimento che culmina nel buio notturno un’aperta campagna. Nel secondo, Mostri in soffitta, una soffitta dai misteriosi poteri e una creatura terrificante perseguitano un adolescente rimasto solo durante la notte. Nel terzo, La villa, un ricevimento che si tiene in una villa abbandonata, a cui partecipano vip del mondo dello spettacolo, della cultura, della politica e dello sport, si trasforma in una trappola mortale per alcuni ospiti.
Entrando nello specifico dei tre racconti, notiamo come l’ambientazione del primo sia sicuramente la più originale delle tre, e che anche l’aspetto puramente spaventevole abbia la sua indubbia potenza immaginfica, considerando lo sviluppo della trama. Nonostante ciò, e partendo dal presupposto inequivocabile che Mostri in soffitta e La villa hanno un’ambientazione e degli snodi narrativi sicuramente più consueti, questi ultimi due racconti fanno però maggiormente breccia nell’inconscio e negli universi onirici sopiti del lettore, perché evocano incubi primordiali e paure ancestrali a cui nessuno di noi può essere, o quanto meno essere stato, immune. Ecco perché Incubi, titolo quanto mai calzante, visto il tema che ricorre, ovvero andare a sondare gli anfratti nascosti, i labirinti oscuri percorsi dal nostro sé infantile, sempre protetto e occultato, soprattutto in età adulta, ma costantemente pronto ad emergere ad ogni richiamo di questi affascinanti incantatori che sono i narratori. In questo Ferrarese sembra essere molto vicino al primo Dario Argento, quello che trasformò in ossessioni visive una scrittura (Argento inizialmente voleva essere solo uno sceneggiatore) che accresceva le sue perverse e inquietanti distorsioni orrorifiche mutuate dagli incubi dell’infanzia. Quegl’incubi che restano, radicati e potenti, che non svaniscono mai. Si trasformano soltanto, pronti a riemergere per essere rielaborati, vinti, superati, comunque mai dimenticati, o per diventare, attraverso l’arte sublime della narrazione, eterni compagni di viaggio delle nostre notti insonni.
“Laggiù, nella parte della villa disabitata e immersa nell’oscurità, qualcuno aveva spostato le tende da una finestra del terzo piano e si era affacciato a guardare fuori. Era una figura diafana, quasi indistinta, con il volto incorniciato da lunghi capelli bianchi fluttuanti nel vento. C’era qualcosa di sbagliato in quello che vedeva, qualcosa di alieno e freddo. Poi la figura sparì nuovamente dietro le tende, nell’oscurità da cui era venuta”.
Federico Magi, febbraio 2011.
Edizione esaminata e brevi note
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