Jolanda Insana

Pubblicato il: 29 Ottobre 2016

Jolanda Insana, poetessa messinese, è morta nella sua casa di Roma, dove risiedeva dal 1968.

Scoperta nel 1977 da Giovanni Raboni, che fece pubblicare la sua raccolta Sciarra amara nella collana da lui diretta «Quaderno collettivo della Fenice» (Guanda), nel 2002 vinse il Premio Viareggio per la poesia con La stortura (Garzanti). Nel 2007 per Garzanti, nella collana «Gli Elefanti Poesia», era uscito il volume Tutte le poesie. In seguito aveva pubblicato La tagliola del disamore (Garzanti, 2005), Satura di cartuscelle (Giulio Perrone editore, 2007) e nel 2012 la sua ultima opera, Turbativa d’incanto (Garzanti).

 

Alcuni testi, da Tutte le poesie, Garzanti.

 

Le svogliate voglie

esposta a stagionali crolli
gridore imperialesco m’intabacca il cervello
e con disperaggine smortiosa percorro
i lunghi viottoli di questo male vero
che fa mattanza di maschere biancospinate
e schernisce i dolci scherzi

col piede fermo sugli infossamenti
m’incitrullo e languo dentro svogliate voglie
e soprattutto non ho nulla da dire
e indietro non torno

e pieno di voglia il viso
qui non venne
e prese commiato

linguettando confusamente me ne sto accanto alla stufa
e tremo al verso aperto sulla contropiega della vita
studiatora di trappole linguarde senza pomposa sportula
spuntate sono le armi e non la spunta l’imbriacaggine
sugli strumosi trimetri del racconto impiccatorio
ma da te non imparo come il bambino che non crede
e non si fida del gioco

più che creatura
mi venne incontro donna di misericordia
frappona e tritaverso
che di furia s’infratta e s’impoesia
contando miracoli flagellatori sopra l’altrui pelle
e non è purtroppo un sogno

braccata dentro le mie stesse mura
farsi vela di nessuna bandiera
e non piegarsi a chi divide le noci vuote dalle piene
e non le sa schiacciare
il mio cuore infardato di gramuffa
che nessun fottiverso raschia e sgraffia
con il suo litterume
soprattutto perché nella scena finale
gorgheggia davanti al patibolo
come nell’opera
sotto gli occhi del boia

c’era una tréccola trangugiaismi
che trescolando e trincando in apparenze reinesche
voleva stritolare senari e doppi alessandrini

le mancava un forte ventricchio
e se ne andò di visibilium in visibilio
gli occhi ingannando e l’arte
con trafocarìe e novelluzze
senza lasciare profumo nemmeno di zibetto

per essere perfettamente spregevole aveva un pregio di troppo.

Non c’è tempo

troppo cauta cerco il varco nella strettoia del momento
e sembra che tutto avvenga lentamente perchè di scatto
mi levo
e metto mano al fuoco volendo risentire la storia
delle due pietre e della scintilla che apre la pupilla
al seduttore di fantasmi canforati e lo rianima
e lo seduce alla vita

a calda forza precipita la ripida assenza
e poichè mi costringo a riceverla come dono
ho deciso di mettermi a tavola prima del suo ritorno
e scontando al meglio la mia parte
racconto dell’inferno come un angelo per riconquistarmi
la quotidiana porzioni di sete

l’anima corporale si fa azzurra
per andare incontro a un’altra azzurra
assaporando l’aria dove l’ombra è scancellata
e il desiderio ricucito per tentazione solare
così con le molte dissimiglianze visibili fanno modo
alla stretta rassomiglianza e l’eroe che incalzò
e mise alle strette il nemico
incespica sulle pietre del ritorno
incalzato dal fantasma che aveva disossato

esce dal banchetto di tutti i sensi con la mente limpida
e non può maledire o non può più
perchè ha veduto che di passione si muore o si rinasce

Ho le radici proprio qui beate nell’abisso di passione
e sono disgiunte e separate
e il pesco non saprà mai il sapore della pesca
né io posso chiamare beata l’anima che non sa il nome
atterrita da troppo fuoco
ed è acerbamente risaputo che è festa di spegnimento
senza botto
per i luoghi disastrati della terra

non rompe le nevi non sprezza le piogge né il vento
e s’avventa occhi e cuore in fiamma sul corpo
robusto disprezzatore di maneggi
e non arresta il corso
seguace di falsa apparenza sperde quello che ha
e fluisce lasciando traccia di fiato
male avvaertito a procacciare né mai a godere

dianzi non ero così sbiancata e parlavo e ho mancato
quando che la zagaglia mi ha mancato
molti luoghi attraversando e in nessuno restando
e però il massimo dei lussi me lo sono goduto
disponendo tutto il mio tempo nello sforzo massimo
di stare dentro il tempo

di questa lotteria non ho manco un biglietto
e giocata dalla tentazione arriverò in tempo per l’estrazione
godimento di tutti i piaceri senza confusione
abbrancare l’inabbrancabile
e corro e predo fino alla fattoria del profeta.