Erano chiamati i “Treni della felicità“, nati da un’iniziativa che, forse, pochissimi ricordano o vogliono ricordare. Alla fine del 1946 il Partito comunista organizzava un progetto di autentica solidarietà umana e civile: l’allestimento di treni su cui far viaggiare migliaia di bambini napoletani da destinare ai territori del nord Italia. L’iniziativa era gestita dagli uomini e dalle donne del “Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli”. L’intento era quello di offrire ospitalità, nutrimento, cure e un minimo di alfabetizzazione a bambini partenopei che, immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, si trovavano a vivere in condizioni di estrema povertà in una città, Napoli, che faceva molta fatica a rimettersi in piedi. È da questo evento storico che prende vita “Il treno dei bambini”. Viola Ardone, insegnante e scrittrice napoletana, ha scelto di recuperare una vicenda sbiadita dal tempo e ne ha tratto un romanzo luminoso, appassionante, ben pensato e ben scritto che, con la sua spontaneità, la sua carica emotiva, il suo linguaggio brillante mi ha tenuta incollata a sé fino all’ultima pagina.
La scelta narrativa migliore che la Ardone potesse fare è stata quella di affidare il racconto proprio a un bambino. Amerigo Speranza. Uno scugnizzo che a scuola c’è andato qualche volta ma poi ha deciso di lasciar perdere: “Io ci sono andato, ma non mi sono trovato bene. Prima di tutto i compagni strillavano e me ne tornavo a casa con il male di capa, la stanza era piccola e puzzava di piedi sudati. Poi dovevo rimanere tutto il tempo fermo e zitto dietro a un banco a disegnare le asticelle. La maestra teneva la scucchia e parlava con la zeppola in bocca e a chi la sfotteva gli arrivava una scoppola sulla testa. Io in cinque giorni ne ho avute dieci. Me le sono contate sulle dita come i punti delle scarpe, ma non ho vinto niente. Cosí a scuola non ci sono voluto andare piú“. La voce di Amerigo è irriverente, genuina e schietta. Nel suo dire pare di sentire i suoni carichi del dialetto napoletano. Le sue parole arrivano fresche fresche dalla bocca e dalla mente di una creatura di nemmeno otto anni che di cose ne ha già viste e vissute parecchie.
Antonietta, la mamma di Amerigo, non ha molta dolcezza da spargere né tempo da sprecare. La vita l’ha lasciata da sola con un bambino che cresce come la malerba e il ricordo di un altro figlio morto bambino. Amerigo di Luigi sa poco e quello che sa glielo ha detto la Zandragliona, una vicina di casa: “Luigi era mio fratello maggiore e, se non aveva la cattiva idea di prendersi l’asma bronchiale da piccolo, mo teneva tre anni piú di me. Cosí, quando sono nato, ero già figlio unico. Mia mamma non lo nomina quasi mai, però tiene una foto sopra al comò con un lumino davanti“. La notizia che ci sono dei treni che porteranno i bambini più poveri verso il nord Italia comincia a diffondersi in fretta e con essa anche chiacchiere e voci che parlano di bambini portati dai Comunisti in Russia e poi venduti per essere mangiati, perché si sa da sempre che i Comunisti i bambini se li mangiano. “La Pachiochia, che è la capa del vicolo nostro, dice che fino a quando ci stava il re certe cose non succedevano e le mamme i figli loro non se li vendevano“.
Tra i personaggi più divertenti e ben tratteggiati del romanzo c’è proprio la Pachiochia che Amerigo descrive spesso in maniera inquietante. “La Pachiochia è nata già brutta, credo io, e perciò un marito non ce l’ha mai avuto. Ma di questa cosa non si può parlare perché è il suo punto debole. E pure del fatto che non tiene figli. Una volta teneva un cardellino, ma se ne fuggí. Manco del cardellino si può parlare, con la Pachiochia“. Eppure pare proprio che la Pachiochia sia un personaggio esistito realmente. Una sorta di capo-popolo che, inizialmente, aveva avversato in maniera durissima la partenza dei treni dei bambini ma poi, dopo aver constatato il successo del primo viaggio, decise di appoggiare personalmente e con convinzione l’iniziativa dei Comunisti.
Comunque Amerigo su quel treno poi ci sale davvero. Insieme a tanti altri bambini di Napoli. Insieme all’amico suo Tommasino e a Mariuccia, la figlia del solachianiello sopra a Pizzofalcone. Amerigo si ritrova a Modena, affidato a una famiglia che gli fa conoscere la mortadella, il parmigiano e pure la pasta fatta a mano con le uova. Amerigo, che a Napoli si divertiva a contare i piedi di chi passava, le poche scarpe buone e le troppe scarpe bucate, si accorge che al Nord questo gioco non si può fare perché di scarpe sfondate non ne vede mai. Con sé ha una piccola mela annurca che sua madre gli ha regalato prima che partisse. Ci pensa spesso a sua madre ma a Modena trova anche dei fratelli con dei nomi mai sentiti prima e persino un “babbo” coi baffoni che gli spiega come si suona la musica.
L’Emilia Romagna, ai tempi, accolse moltissimi bambini del sud ma anche piccoli che arrivavano da Milano e Torino, da Roma e provincia fino a Velletri e Latina e da Cassino. I “Treni della felicità”, nella seconda metà degli anni ’40, aiutarono più di 70.000 bambini e ragazzi campani anche grazie al coinvolgimento di altre regioni come la Toscana, le Marche, l’Umbria e la Liguria. La storia di Amerigo, che nell’ultimissima parte del romanzo, vedremo ormai adulto, ormai lontano, ormai uomo di successo, è una storia di un’umanità solidale che arriva da tempi distanti e complicati. La solidarietà, come spiega l’organizzatrice Maddalena al piccolo Amerigo in viaggio verso il Nord, “è come una dignità verso gli altri“. Una dignità che si restituisce, gratuitamente e con rispetto, a chi l’ha perduta. E la “morale” della storia di Amerigo e de “Il treno dei bambini” è concentrata proprio in questo semplice, essenziale, granitico concetto.
Edizione esaminata e brevi note
Viola Ardone, nata a Napoli nel 1974, ha lavorato nel campo dell’editoria scolastica e attualmente insegna italiano e latino al liceo. Per l’editore Salani ha pubblicato i romanzi “La ricetta del cuore in subbuglio” (2012) e “Una rivoluzione sentimentale” (2016). È autrice del racconto in rima “Cyrano dal naso strano” (Albe 2017), illustrato dalle tavole di Luca Dalisi. Nell’ambito del laboratorio di scrittura nell’Istituto penale minorile di Nisida, ha pubblicato racconti nelle raccolte: “La grammatica di Nisida” (2013), “Parole come pane” (2014), “Fuori” (2015), “Le parole felici” (2016), “La Carta e la vita” (2017) e il romanzo “L’ultima prova” (2018) con il collettivo di scrittura dei Nisidiani. Per Einaudi, nel 2019, ha pubblicato “Il treno dei bambini”.
Viola Ardone, “Il treno dei bambini“, Einaudi, Torino, 2019.
Pagine Internet su Viola Ardone: Twitter
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