Young Damon

Filosofia in giardino

Pubblicato il: 16 Gennaio 2016

L’abbinamento di filosofia e giardini (non necessariamente giardinaggio) potrà apparire insolito, tutt’al più idea furba per un titolo ad effetto. In realtà Damon Young, con questo suo libro ci ha dimostrato che di insolito non c’è nulla ed anzi, proprio in virtù di un contesto che combina gli enigmi della natura e dell’umanità, “il discorso filosofico investe tanto sul giardino” (pp.13). Nel caso poi di “Filosofia in giardino” possiamo parlare di divulgazione nel senso più positivo del termine: l’autore ha scritto dei ritratti filosofici che, oltre a non risultare banali, procedono in maniera scorrevole e leggera, non privi di humour. In tutto sono undici autori e autrici di fama – con l’eccezione forse di Leonard Woolf, devoto consorte per decenni all’ombra di Virginia, soltanto recentemente riscoperto per i suoi meriti letterari – che vediamo alle prese col verde dei parchi, con piante da giardino o addirittura con giardini di pietra. Cominciamo con Jane Austen, un’aristotelica che condivideva con Alexander Pope la combinazione di “apprezzamento per la condizione terrena e di fede serena e tranquilla” (pp.34): “Il giardino di Chawton Cottage era una lezione in quello che possiamo definire visione globale – ma Austen la assaporava su una scala ridotta” (pp.36). I ritratti proseguono con Marcel Proust e il suo bonsai, una sorta di omaggio alla vastità evocata dai piccoli oggetti. Questi alberelli sono intesi come un tipico meccanismo che induce a sognare l’immensità e il tempo, consolazione di un paesaggio immaginario, strumento di ricerca ossessiva svolta nel regno delle cose non appariscenti; ma soprattutto “emblema di un progetto più ambizioso: il recupero del proprio fuggevole, della propria vita” (pp.51). Per Leonard Woolf, le cui opere mostravano sempre una particolare tensione tra ordine e disordine, il duro lavoro nel giardino e nell’orto di Monk’s House, che pure non offriva nessuna consolazione in un mondo desolante, poteva rappresentare un esercizio di ascesi e “un simbolo potente di corrucciata resistenza: perseverare nel vivere, a dispetto della sua futilità” (pp.69). Friedrich Nietzsche viene poi ritratto alle prese con una natura che gli ricordava le sue ambizioni, profondamente condizionato da una filosofia radicale e dalla critica al pensiero del diciannovesimo secolo; ma di sicuro lontano dal superficiale stereotipo di superuomo: “Il suo Übermensch non era un semplice distruttore: credeva nella disciplina, nell’autocontrollo, nella delicatezza e nella sottigliezza”. E difatti il limoneto di Sorrento non gli “offriva alcuna visione confortante di un cosmo benigno e ordinato da leggi – nessuna pausa rilassante. Era una spinta a sperimentare […] Vale a dire che i giardini lo aiutavano a insistere con le proprie innovazioni radicali nella teoria, nella letteratura e nella lingua tedesche” (pp.82). Prospettiva diversa con Colette. Letteralmente preda di appetiti di ogni genere, la scrittrice pareva calmarsi con le piante che “l’aiutavano a liberarsi del desiderio: la aiutavano a essere meno affamata e più contemplativa” (pp.99). Torniamo a temi più filosofici con Jean-Jacques Rousseau per il quale la botanica rappresentava una cura per la coscienza obnubilata della civiltà moderna. In altri termini il filosofo svizzero, a contatto con le piante e la natura, poteva esercitare agevolmente le sue doti di analisi, descrizione e speculazione, perché “quell’attività lo allontanava della folla, e gli offriva qualcosa di bello, di sofisticato e di animato da contemplare. La botanica non era la rivelazione di una natura perfetta, creata da Dio, ma una riflessione sulla natura che forniva un’atmosfera meno ostile e minacciosa per la filosofia”. Insomma, “una medicina che ci si somministra da sé contro il peso della società e della propria personalità” (pp.115).

L’idea di società si riaffaccia nel racconto della vita intellettuale di George Orwell, uomo fragile e nello stesso tempo tormentato e appassionato, che “aveva uno spregio monacale per il denaro, e vedeva il giardinaggio come un bastone tra le ruote del consumismo di alto bordo” (pp.120). Difatti, come ci ricorda ancora Damon Young, lo scrittore britannico era abituato a sottolineare l’economicità delle cose migliori della vita, tanto che il giardino si rivelava alla stregua di “un laboratorio nel quale veniva messa alla prova la sua stessa relazione con la verità”. Le sue profonde convinzioni antitotalitarie si potevano quindi esprimere in maniera insolita: “Di fronte a pericolosi conflitti politici e militari tra dogmatismi acritici di ogni denominazione (comunisti e capitalisti, antisemiti e sionisti, nazionalisti e imperialisti), Orwell riteneva che l’unica speranza risiedesse nell’onesto buon senso: in un approccio alla realtà più attento e più critico. E questo metodo lo scoprì, almeno in parte, in un maglio costruito in casa e in un falcetto ben affilato” (pp. 126). Il capitolo successivo ci riporta indietro nel tempo di qualche decennio e sull’altra sponda dell’Atlantico, precisamente nella tenuta di Homestead, dove viveva quasi da reclusa Emily Dickinson. Non però del tutto reclusa perché la poetessa americana, grazie al suo amore per il giardinaggio (in lei amore per i fiori e la poesia interagivano), riusciva a condurre una sorta di vita sociale; e per di più la sua simbologia privata era in stretta relazione col giardino, col quale esprimeva se stessa. Un giardino invece molto diverso quello di Nikos Kazantzakis in “Rastrellare i sassi”. Lo scrittore greco, infatti, vide nelle pietre del karesansui, il più noto dei giardini zen, lo specchio del suo credo filosofico e artistico: l’attività, il dinamismo, il movimento. Una concezione nichilistica che aveva molto a che fare col giardino di roccia buddista, pensato non per il piacere dei sensi ma per la contemplazione e il riconoscimento della realtà transeunte. Kazantzakis, “uomo degli estremi”, vedeva nel karesansui un “invito a continuare a trasformare se stessi e il mondo, pur sottolineando la fondamentale futilità di questa lotta” (pp.145). Segue il prototipo dell’intellettuale contemporaneo, Jean-Paul Sartre, che invece odiava le piante e gli alberi (“Per il filosofo la natura era particolarmente degna d’indifferenza e di disprezzo”): “è stato il pensatore moderno, urbano per antonomasia, per il quale i giardini occupavano un posto tra la noia e il disgusto. E non rimpianse mai ciò che perdeva” (pp.161).

Ed infine ancora un passo indietro nel tempo con Voltaire alle prese con i giardini di Ferney, “emblema della sua azione di una riforma locale altruistica, in contrasto con un conservatorismo pervicace” (pp.168). I giardini, secondo il filosofo francese, non erano affatto simboli di una quiete monacale. Erano anche “una chiara metafora di compassione, responsabilità e pragmatismo; un invito a migliorare l’ambiente immediatamente circostante”; ovvero “esempi del progetto etico del deista Voltaire. Tutti ritagli di natura, talvolta costruiti in parte dall’uomo, nemmeno indispensabili per vivere liberamente la propria vita intellettuale; ma di sicuro opportunità per meditare e contemplare un mistero. Come scrive Damon Young, “un compagno di avventure filosofiche sempre in attesa […] appena oltre le porte” (pp.176).

Edizione esaminata e brevi note

Damon Young, (Melbourne, Australia, 1975), è filosofo, scrittore e opinionista per varie testate giornalistiche e radio-televisive. Nel 2013 è stato insignito del Media Premium dall’Australasian Association of Philosophy per la sua attività di divulgatore, commentatore ed editorialista sui media. Attualmente “Honorary Fellow” in filosofia all’Università di Melbourne, è autore di Distraction. A Philosopher’s Guide to Being Free (2008), e How to Think about Exercice (Macmillan Publisher, 2014), che indaga il nesso che c’è tra l’esercizio fisico e il pensiero, tra il corpo e la mente. Filosofia in giardino (Philosophy in the Garden) è il suo primo libro pubblicato in italiano, uscito in Australia nel 2012 e in Gran Bretagna nel 2014 con il titolo “Voltaire’s Vine and Other Philosophies: How Gardens Inspired Great Writers”. Young ha pubblicato anche due libri per bambini, un romanzo, diversi racconti e poesie.

Damon Young, “Filosofia in giardino”, Iacobelli, Pavona di Albano Laziale 2015, pp. 192. Disegni di Mariella Biglino. Traduzione di Marina Vitale.

Luca Menichetti. Gennaio 2016