Giuttari Michele

Il mostro. Anatomia di un’indagine

Pubblicato il: 21 Luglio 2012

Probabilmente per spiegare come mai Giuttari è tornato a scrivere del mostro di Firenze, dopo l’ottimo “Compagni di sangue”, è bene iniziare dalle ultime pagine del libro. Dopo quasi vent’anni dall’ultimo omicidio seriale, quello dei due francesi nel 1985,  negli uffici del Gides, Silvio De Iorio, un assistente del commissario Giuttari, in uno dei faldoni relativi ai delitti del “mostro”, trovò una busta con un fazzolettino macchiato di rosso, e un pelo. Saltarono fuori anche dei documenti che dimostravano la richiesta di una perizia, peraltro pagata, che venne  ritrovata in copia soltanto all’Istituto di Medicina Legale. Risultò che quelle macchie erano di sangue umano di gruppo B e anche il pelo era umano, e precisamente un capello castano liscio. Gruppo sanguigno raro e capello simile a quello trovato nel pugno di Clelia, una delle prostitute uccise a Firenze negli anni ’80. Quei reperti furono trovati nel 1985 da un giovanotto, Walter, che si trovava nel bosco degli Scopeti con sua sorella e il di lei fidanzato, proprio poco dopo il duplice omicidio e vicino al luogo dello scempio. Ed oltre al fazzoletto macchiato di sangue c’erano anche dei guanti da chirurgo.

Fu una scoperta sconcertante, non fosse altro perché così, vuoi anche solo per mera cialtroneria, per anni e anni furono trascurati elementi che supportavano efficacemente la tesi del cosiddetto doppio livello: ovvero Pacciani e i suoi compagni di merende come meri esecutori degli omicidi e soprattutto procacciatori di quei feticci, il pube e il seno reciso delle vittime, che sarebbero stati richiesti da un gruppo di ricchi pervertiti. Come racconta lo stesso autore nella premessa, questi nuovi elementi lo hanno convinto a riprendere le fila dell’inchiesta, quanto meno nelle vesti di scrittore.

Ricordiamo brevemente cosa avvenne nelle campagne toscane tra il 1974 e il 1985. A fronte di un duplice omicidio avvenuto nel 1968, dal movente realmente passionale e dal quale probabilmente è scaturita la calibro 22 che ha armato la mano dei “mostri”, le “dolci colline di sangue” sono funestate da atroci delitti: sette coppie vennero massacrate nei luoghi isolati dove si erano appartate. Anche due turisti tedeschi, maschi, subirono la stessa sorte in quanto Rusch Uwe Jens, a causa dei suoi lunghi capelli biondi,fu scambiato per una donna. Di delitto in delitto i cadaveri delle vittime furono sfregiati con sempre maggiore accanimento: nel 1974 qualcosa che poteva far pensare ad un rito esoterico (tralcio di vite infilato nella vagina della vittima) e poi nei successivi omicidi l’escissione del pube della donna e poi dal 1984 pube e seno atrocemente mutilati. Le indagini seguirono diverse piste, ma sempre condizionate dalla tesi di quel serial killer unico che in realtà fin dal 1981 una perizia medico legale aveva considerato improbabile. Insomma la teoria aveva condizionato le indagini a tal punto che gli inquirenti scelsero di non prendere in considerazioni fatti incompatibili con la tesi del serial killer solitario e che appunto potevano dimostrare la presenza di più persone sulla scena dei delitti.

Poi la svolta: le indagini si concentrarono sul contadino Pietro Pacciani, che nel frattempo stava scontando in carcere una condanna per lo stupro delle figlie. Le prove raccolte lo fecero condannare nel 1994 all’ergastolo, ma non convinsero affatto il procuratore Pier Luigi Vigna. Non appariva credibile che un uomo grezzo e ignorante come Pacciani avesse fatto tutto da solo, dimostrando pure grandi capacità nel sezionare le sue vittime. In previsione del processo d’appello del 1996 Vigna decise di affidare le indagini a Michele Giuttari, appena nominato capo della Mobile di Firenze. Dopo una faticosa full immersion nei verbali e nella documentazione raccolta, dopo aver recuperato prove testimoniali mai prese in considerazione, il poliziotto si convinse che gli elementi fino ad allora trascurati e gli ambigui amici di Pacciani potevano rivelare una realtà molto diversa da quella scaturita dalla sentenza di primo grado. E presto anche Giuttari si convinse che Pacciani non poteva aver agito da solo. Da qui, dopo serrati interrogatori ed intercettazioni, l’incriminazione per gli amici Vanni e Lotti, accusati di aver partecipato attivamente agli delitti del “mostro: emerse un mondo di sedicenti maghi, orge, riti esoterici, morti misteriose di personaggi che avevano avuto a che fare con i “compagni di merende”, stupri, un probabile omicidio spacciato per suicidio, grottesche perversioni sessuali tra prostitute e vibratori.

Ma i misteri non finiscono qui. Anzi si aprirono nuovi interrogativi ancor più inquietanti. Giuttari, e con lui i magistrati che si erano occupati del caso, alla luce dei nuovi elementi probatori che erano emersi negli anni, si convinsero anche a tirare le fila degli omicidi non c’erano Pacciani e i suoi amici, di fatto meri esecutori, ma degli insospettabili  che commissionavano i delitti e collezionavano i feticci forse per  usarli in occasione di riti satanici. Pacciani morì in circostanze oscure (Giuttari mette in conto un possibile omicidio) e a questo punto le indagini divennero sempre più complicate e difficili, di fatto ostacolate dai superiori di Giuttari, con inviti pressanti a interromperle. Le indagini presero anche la via dell’Umbria dove, nel 1985, morì in circostanze sconcertanti il giovane dottor Narducci, di ottima famiglia e già legato a personaggi della cerchia di Pacciani.

Indagini che quindi toccarono ambienti facoltosi, legati alla Massoneria. Insomma fin tanto le inchieste furono rivolte contro un contadino violento e i suoi improbabili amici le indagini andarono avanti spedite. Quando però gli occhi degli inquirenti si volsero verso personaggi di ben altra levatura sociale, ben introdotti nelle stanze del potere, le cose cambiarono radicalmente. “Compagni di sangue”, scritto in coppia con Carlo Lucarelli ed edito nel 1999, ci ha raccontato la fase cruciale dell’inchiesta, quella affidata proprio a Giuttari e che poi condusse all’incriminazione di Pacciani, Vanni e Lotti per gli omicidi delle coppiette attribuiti al “mostro”. Ma come scrive Giuttari: “non poteva essere il libro definitivo. C’era ancora da dire, e molto”. “Il mostro” però a quanto pare ha avuto una genesi complicata, non fosse altro che l’autore ha avuto non poche grane giudiziarie con coloro che sostenevano tesi alternative alla verità giudiziaria e hanno rispolverato la pista sarda e la tesi del serial killer unico. Tutte teorie che fanno a pugni con la realtà, le risultanze giudiziarie ed anche con il buon senso, ma tali da creare un certo seguito editoriale e solleticare gli spiriti complottisti di quella parte di italiani che si rivolgeva a Pacciani come ad un dolce nonnino. Pietro Pacciani, contadino grezzo e lontanissimo dal fisic du role del raffinato serial killer alla Annibal Lecter, era già stato in galera per omicidio, per lo stupro delle figlie, ma nonostante tutto – ricordiamolo a futura memoria – il can can mediatico lo ha trasformato in un “agnelluccio”, per molti vittima di una macchinazione ordita dal vero mostro. Un articolo dell’Espresso del tempo, presente nel libro di Giuttari, mostra dei nostri connazionali che raccontano Pacciani come “anima santa”, “il mio più grande e migliore amico in assoluto”, “nonno”, “uomo meraviglioso”, “vero uomo”. Insomma un infinito campionario di comprensione e amore nei confronti di un figuro che in quel di San Casciano veniva invece considerato un personaggio violento e perverso. Il libro di Giuttari ha avuto una genesi complicata– lo abbiamo colto dalla vicenda del reperti dimenticati – anche perché l’autore ha voluto affrontare l’inchiesta sui complici, o meglio sui mandanti, che ad oggi non ha avuto ancora una fine certa nonostante l’assoluzione del Calamandrei, l’ex farmacista di San Casciano Val di Pesa.

Rispetto “Compagni di sangue” il lettore quindi troverà delle ricostruzioni più approfondite, una maggiore attenzione a personaggi inquietanti come il Salvatore Indovino, il “mago”, ed altri che, morti prematuramente e in maniera misteriosa, potevano raccontarci molto di quel gruppo dedito a orge, perversioni e probabilmente a riti inconfessabili. Inoltre nella terza parte Giuttari racconta della vicenda Narducci, quasi disturbante per la sua carica di mistero, che è  già stata analizzata con dovizia di particolari da Cardinalini e Licciardi nel loro libro “La strana morte del dr. Narducci. Il rebus dei due cadaveri”. La tesi di fondo di Giuttari, propria anche dei magistrati perugini, è chiarissima:  Pacciani e i suoi non possono aver agito da soli. Non a caso il libro dedica molto spazio alla scoperta dei conti segreti di Pacciani e Vanni, un contadino e un postino, in possesso di ingenti somme di denaro venute fuori da non si sa dove. Da qui ad ipotizzare che quei soldi abbiano rappresentato il compenso per qualche azione inconfessabile, e nella specie i delitti e la cessione dei “feticci”, il passo è breve. Di fronte a tante morti e tanto sangue forse risulta un po’ cinico scriverlo ma davvero, con la sua prosa scorrevole, con il susseguirsi di colpi di scena e di insoluti misteri, il libro di Giuttari si fa leggere meglio di un romanzo giallo. Dopo anni e anni di mezze verità e di numerosi omicidi ancora insoluti (tra i tanti quelli di Francesco Vinci e del suo servo pastore, Milva Malatesta e suo figlio di tre anni, Milva Mattei), la conclusione dell’autore è sconsolata: “Il mio tempo è scaduto. Raccolgo in un dossier tutta l’inchiesta, che contiene l’incontrovertibile verità investigativa. Il tempo dirà se coinciderà con quella giudiziaria o, come è già malauguratamente accaduto una volta in questa vicenda, le due finiranno per divergere”.

Edizione esaminata e brevi note

Michele Giuttari (1950) ha ricoperto incarichi alle Squadre Mobili di Reggio Calabria e Cosenza e alla Direzione investigativa antimafia di Napoli e Firenze, dove ha condotto con successo le indagini sulle stragi di mafia del 1993. Come capo della Squadra Mobile di Firenze, ha diretto le indagini sul «mostro». È autore di Scarabeo (2004), La loggia degli innocenti (2005), Il basilisco (2007). Sul caso del “mostro” ha già pubblicato un libro, Compagni di sangue, in collaborazione con Carlo Lucarelli (Rizzoli 1999). The Times lo ha definito “il principale scrittore italiano di polizieschi”. Il suo sito è www.michelegiuttari.com.

Michele Giuttari, Il mostro. Anatomia di un’indagine, Rizzoli (Bur narrativa), Milano 2007, pag. 354, euro 9,90

Luca Menichetti. Lankelot, luglio 2012

Recensione già pubblicata il 21 luglio 2012 su ciao.it e qui parzialmente modificata.