Brokken Jan

Anime baltiche

Pubblicato il: 3 Ottobre 2018

Sono arrivata ad “Anime baltiche” grazie alla recensione più che entusiasta di un blogger di mia conoscenza. Solitamente non mi lascio convincere dagli ardori generati da letture altrui ma in questo caso, conoscendo il blogger, ho creduto in quel che diceva e, una volta tanto, ho fatto bene. Perché “Anime baltiche” è una lettura speciale e coinvolgente e, per quanto mi riguarda, ha rappresentato l’avvicinamento a realtà geograficamente e culturalmente distanti da quella mediterranea di cui mi sento parte e, soprattutto, la scoperta di città, colori, vicende, tragedie e personalità di cui difficilmente si sente raccontare. Quello di Brokken è un libro di viaggio, indubbiamente, ma è anche la narrazione accurata e trascinante di vite spezzate dalla violenza della storia e ricostruite altrove, è il rinvenimento di identità sfumate dall’oblio del tempo, di città perdute e recuperate mille volte i cui nomi sono stati trasformati e riscritti in lingue che variano in continuazione e di terre che, nei secoli, hanno visto scorrere fiumi di sangue.

Estonia. Conoscevo il paese solo di nome, per via di quell’elenco imparato a scuola: Estonia, Lettonia e Lituania. Una filastrocca impossibile da dimenticare“. Jan Brokken è un olandese viaggiante che si dedica, nell’arco di anni diversi, alla scoperta dei tre Paesi baltici le cui vicissitudini storiche, solitamente, sono poco note o interessano raramente. Attraversare l’Estonia, la Lettonia e la Lituania è per Brokken l’occasione perfetta per celebrare e ricordare personaggi più o meno famosi originari di questi luoghi, ma è anche una ragione sufficiente per scavare nella storia di nazioni che, nell’arco della loro esistenza, sono state perennemente conquistate, devastate, usurpate, occupate e contese. Terre dominate da svedesi, russi e tedeschi, per lo più, in cui gli autentici abitanti, estoni, lettoni e lituani, si sono visti disgregare, deportare, uccidere e mettere in fuga da accadimenti che la memoria sbiadita degli uomini ha replicato nel tempo.

Così lo scrittore e viaggiatore di Leida ci permette di conoscere i palazzi Jugendstil di Riga ma anche i quartieri ebraici di Vilnius, il fiorente passato della città di Königsberg (oggi Kaliningrad), in cui è nato Kant prima e Hannah Arendt qualche secolo più tardi, ma anche i castelli e le ville della Curlandia. Ci fa sentire il freddo che taglia la faccia ma ci fa ammirare anche tramonti che tolgono il respiro e boschi che sembrano uscire da antichi libri di fiabe nordiche. Dodici capitoli, uno per ogni storia, che si dipanano come dodici brevi romanzi, pieni di vitalità, di memorie e di personalità sorprendenti. Interessanti e utilissime anche le numerose immagini che costellano ogni capitolo, fotografie storiche originali che consentono una conoscenza anche visiva di volti e luoghi. Magnifico, ad esempio, il primo capitolo di “Anime baltiche”, dedicato alla vita del libraio ed editore di Riga Janis Roze, il cui lavoro appassionato viene interrotto brutalmente dagli invasori russi il 14 giugno 1941 quando i Roze vengono deportati in Siberia così come altri 15.424 lettoni. “Janis fu arrestato perché considerato un nemico di classe: era a capo di un’impresa capitalista con sessanta dipendenti. Ogni lettone che possedeva un pezzo di terra, una casa, un negozio o un’azienda venne deportato con tutta la famiglia. Fu un’epurazione etnica e sociale: chi era privilegiato doveva pagare. Ecco perché il 1° luglio del 1941 quando entrarono a Riga a passo di marcia, i nazisti furono accolti come salvatori e coperti di fiori. Ancora una volta, tuttavia, i lettoni vennero imbrogliati: approfittando abilmente di quella momentanea ondata di simpatia, Hitler costituì una Legione Volontaria locale agli ordini della Waffen-SS. Volontaria per modo di dire: i ragazzi e gli uomini arrestati durante i rastrellamenti venivano costretti a firmare. Circa centomila lettoni servirono da carne da macello nella lotta contro l’Armata Rossa – tra loro anche parecchi dipendenti della Janis Roze“. Quella di Janis Roze, morto nel 1942 per stenti e fame, è la storia dolorosa di una persona uccisa da regimi che si sovrappongono gli uni agli altri e, in “Anime baltiche”, la presenza di eserciti, zar e kaiser è una costante così come sono costanti le guerre, i pogrom e gli antagonismi tra etnie e popoli che si opprimono e si combattono ininterrottamente.

Decisamente affascinante anche il capitolo dedicato agli Ejzenštejn, il padre Michail e il suo celebre figliolo Sergej. Una disputa tra generazioni e personalità, un padre celebre in patria almeno quanto il figlio. “Michail Ejzenštejn era l’Otto Wagner di Riga, l’architetto che fece della città sulla Daugava la rivale di Vienna, l’ideatore di diciannove progetti architettonici, di cui sedici in Jugendstil, tutti nello stesso quartiere, alcuni attigui tra loro. Edifici dalle facciate azzurro cielo, verdi, giallo ambra, rosso granata o bianche, con colonne e pilastri, ornati di dee, sirene, sfingi e draghi, con balconi dalle ringhiere in ferro battuto e fiori sui vetri colorati delle finestre. La prima impressione può essere sconcertante per l’eccesso di dettagli“. Un genitore dal quale il cineasta ha sempre cercato di tenersi alla larga su ogni fronte ma che, per molti versi, ha forse inconsapevolmente celebrato attraverso lo sguardo cinematografico della sua arte. Ma non ci sono solo i rapporti deformi tra Ejzenštejn padre e Ejzenštejn figlio, Brokken si sofferma anche sul complicato rapporto tra Gidon Kremer e suo padre Markus Kremer, uno scampato alla Shoah. “Gidon, nato nel 1947 e cresciuto sotto l’ombra lunga della guerra, detestava suo padre. Non era un odio spaventoso o feroce, ma qualcosa di simile a un dolore fastidioso e incessante“. Markus obbliga suo figlio a essere orgogliosamente ebreo e, soprattutto, a divenire uno dei violinisti più talentuosi del mondo.

Tra le “Anime baltiche” che Brokken ci racconta ci sono anche nomi molto celebri come quello dello scrittore Romain Gary, che in realtà si chiamava Roman Kacev ed era nato a Vilné o Vilnius, in Lituania, oppure quello dello scultore Jacques Lipchitz, anch’esso lituano con un nome ben diverso ossia Chaim Jacob, quello del pittore Mark Rothko, che in realtà si chiamava Marcus Rotkowics, ed è vissuto a Dvinsk, in Lettonia, fino ai dieci anni, e infine quello del musicista estone Arvo Pärt che sembra aver mantenuto con la sua terra d’origine un legame profondo, quasi inconscio: “attraversando il nordest dell’Estonia non si può fare a meno di avvertire un legame tra la musica cupa e malinconica di Pärt e questo paesaggio desolato“. Insomma, il bel libro di Jan Brokken è una sequenza di biografie ma anche un percorso che abbonda di continui rimandi a mondi passati oltre che di esperienze di lettura, di ascolto, di visione: l’autore sa muoversi abilmente tra varie forme espressive che richiama e cita ininterrottamente lungo tutta la sua opera. Brokken riporta episodi e accadimenti storici anche minimi soprattutto perché sa bene che la storia si interseca e si mescola sempre coi destini delle persone, celebri o meno che siano, e trasforma, stravolge, rinnega o distrugge vite.

Edizione esaminata e brevi note

Jan Brokken è nato a Leida, in Olanda, nel 1949. E’ uno scrittore, giornalista e viaggiatore. Esordisce come scrittore nel 1984 con il romanzo “De province” (La provincia), dal quale è stato tratto anche un film. Il vero successo è arrivato però solo nel 1995 grazie al romanzo “De blinde passagiers” (I clandestini). In Italia sono stati pubblicati i seguenti libri: “Nella casa del pianista” (Iperborea, 2011) dedicato alla vita di Youri Egorov; “Anime baltiche” (Iperborea, 2014); “Il giardino dei cosacchi” (Iperborea, 2016) e “Bagliori a San Pietroburgo” (Iperborea, 2017).

Jan Brokken, “Anime baltiche“, Iperborea, Milano, 2014. Titolo originale “Baltische zielen” (2010). Traduzione di Claudia Cozzi e Claudia Di Palermo. Postfazione di Alessandro Marzo Magno.

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