Uguccioni Claudio

Il purgatorio non è eterno

Pubblicato il: 29 Marzo 2020

“Il saio aveva lo stesso odore del fieno che l’aveva protetto dallo sguardo delle belve […] Doveva soltanto aspettare, proprio come aveva fatto nei giorni scorsi in quella povera stalla, nutrire il corpo con l’odio verso i nemici del suo popolo e dissetarlo con la preghiera rivolta a Dio” (pp.7).

Questo un breve estratto dall’altrettanto breve premessa al libro “Il purgatorio non è eterno” su cui campeggia “Montagne dell’Erzegovina, 10 febbraio 1945”. Giusto un indizio che fa intendere come la vicenda raccontata in questo romanzo poliziesco alla fin fine non si rivelerà semplicemente poliziesca; semmai arricchita da storie, del tutto plausibili, che prendono vita a causa dei crimini perpetrati oltre settant’anni fa dal regime croato degli Ustascia e che finiscono ad incrementare i traffici delle mafie contemporanee e dei nuovi regimi dell’area balcanica. Una complessità che si scoprirà di pagina in pagina visto che il primo capitolo subito si apre su una disgrazia – siamo a Roma nel 1995: Émile Martin, professore di storia medioevale nell’Università di Avignone, viene trovato morto nella sua stanza al Residence La Mimosa – che sarebbe stata subito archiviata come suicidio se non fosse stato per la tenacia del giovane vicecommissari Luigi Ranieri. È vero che il povero Martin era presumibilmente disperato data la perdita del figlio e dekla moglie morti pochi mesi prima in un incidente, ma, una volta fatta qualche indagine più scrupolosa, ecco che emergono dei dettagli che non corrispondono proprio all’intenzione di uccidersi: ad esempio la prenotazione di un volo per Washington poco prima della sua morte. Per non parlare di un’altra morte sospetta, quella di un addetto agli Archivi Vaticani, sommerso dai debiti di gioco: Remo Gentili viene infatti investito da un pirata della strada e anche in questo caso un’apparente disgrazia del tutto casuale se non fosse per l’emersione di suoi sospetti rapporti proprio con Émile Martin.

A questo punto, pur circondato da grande scetticismo se non da palesi ostilità, Ranieri prosegue l’indagine con Elena Mariani, una giovane magistrato, molto determinata, con la quale inizierà un rapporto che lo coinvolgerà, almeno d’istinto, probabilmente ben oltre la semplice stima e collaborazione professionale. Indagine che comprometterà lo Stato del Vaticano visto che la morte di Martin pare proprio abbia a che fare con un documento della Segreteria di Stato e che, giusto per rendere tutto più inquietante, avrebbe riguardato i rapporti controversi, per lo più abbuiati da una pluridecennale omertà, tra la Chiesa Cattolica e il regime sanguinario degli Ustascia croati. Rapporti probabilmente tornati d’attualità se pensiamo che questa parte del romanzo è ambientata nel 1995 al tempo della violenta dissoluzione dell’ex Jugoslavia. Da qui lo stretto rapporto tra le diverse, o apparentemente diverse, manifestazioni della crudeltà umana: “Un generale canadese che era al comando del contingente ONU a Sarajevo, ha affermato che operare in Bosnia è come avere a che fare con tre serial killers. Facendo rientrare in questa categoria tutte e tre le etnie” (pp. 184). La fine tragica di Elena Mariani però costringerà Ranieri ad interrompere l’indagine; fino al 2019 quando l’ex vicecommissario, adesso commissario a tutti gli effetti e ad un passo dalla pensione, ha l’opportunità di chiudere i conti con gli assassini in azione nel 1995 nonché con i responsabili di tutti quei traffici criminali che rappresentavano il vero movente della lunga serie di omicidi.

Il romanzo, sicuramente ben scritto, rappresenta quindi qualcosa di più di un ordinario thriller: una vicenda tragica che prende vita durante la seconda guerra mondiale, passando per l’anno 1995 e poi termina (forse) nel 2019 già può far capire che Uguccioni è stato bravo ad organizzare una trama complessa ma alla fine del tutto comprensibile; in cui soprattutto la ricerca storica – gli Ustascia, la fine di Ante Pavelić, gli intrighi del Vaticano – diventa un elemento imprescindibile insieme ad un’atmosfera mesta che quasi rappresenta l’accettazione di un male che vive nella storia da sempre e per sempre. Anche e soprattutto inteso come frutto di vendetta. Così il racconto su padre Stojic, personaggio con un passato oscuro, sempre evocato e che probabilmente è apparso proprio nella premessa del 1945: “Lui aveva un’ossessione: distruggere i comunisti. Un giorno mi ha raccontato che vivere cinquant’anni lontano dalla sua terra è stato il purgatorio in vita. Ha sofferto quella lontananza, ma dentro di sé  aveva una certezza: il purgatorio non è eterno, prima o poi le sue preghiere e le sue opere avrebbero dato i loro frutti” (pp.334). Di sicuro un purgatorio sui generis,o meglio al contrario: piuttosto che il luogo di purificazione, un processo che comunque, prima o poi porterà all’esito agognato da un prete come Stojic e dagli altri criminali presenti a questo mondo: vendetta, morte, genocidio.

Edizione esaminata e brevi note

Claudio Uguccioni, è nato nel 1959 a Saltara, in provincia di Pesaro e Urbino. Sin da giovane ha sempre ricoperto ruoli istituzionali nell’amministrazione pubblica, è stato Sindaco di Saltara per diciassette anni. Lavora nell’ambito della prevenzione, dagli infortuni sul lavoro all’inquinamento. Appassionato di romanzi gialli e di spionaggio, “Il Purgatorio non è mai eterno” è il suo primo romanzo, che ha ricevuto menzione alla XXXI ed. del Premio Italo Calvino (2018).

Claudio Uguccioni, “Il purgatorio non è eterno”, Ronzani Editore (collana “Attravèrso”), Vicenza 2019, pp. 368.

Luca Menichetti. Lankenauta, marzo 2020