Daino Chiara

L’Eretista

Pubblicato il: 27 Aprile 2020

Quando nel 2011 questo romanzo viene pubblicato fa la sua comparsa anche nelle Classifiche di Qualità di PordenoneLegge-Dedalus di dicembre appena fuori dalla top10, dopo il libro di Paolo Di Paolo, Dove eravate tutti, Feltrinelli, e prima di quello di Giorgio Fontana, Per legge superiore, Sellerio. Al primo posto era L’amica geniale di Elena Ferrante, che condivide con il romanzo di Chiara Daino un omaggio a Dossi, seppure lì si palesi nel titolo mentre qui sia interno al testo. Certo fra primo e undicesimo posto di distanza ce n’era, e ancora maggiore è diventata negli anni successivi, l’uno arrivando al successo planetario con tanto di serie tv e l’altro finito fuori catalogo. Forse L’Eretista ha voluto seguire le orme di Dossi fin troppo bene. Ma mettiamo da parte questi aneddoti, scrolliamo la polvere dalle pagine e iniziamo a capire com’è costruito il romanzo.

I capitoli hanno un’intestazione che indica luogo e ora precisi in cui siamo, tra una calanca sarda, un comune piemontese, un bar romano, un hotel, un appartamento e via dicendo; il romanzo comincia con una domanda – “Come si cattura un ermellino?”- cui fa seguito il primo capitolo, ambientato in Sardegna, dopo di che si fa un salto spaziotemporale di tre anni e rotti e ci si trova in Svizzera, dove qualcuno scrive a una persona salutandola per sempre, per poi passare in rassegna, giorno per giorno, i 27 giorni precedenti e terminare con “In questo momento”. Ogni capitolo ha un narratore diverso, uomo o donna che sia, e la trama principale si potrebbe dire che è la ricerca di una “chiave” sottratta a un potente direttore di giornale da tale Milla, attrice, artista; ricerca affidata dal direttore al figlio Isaak, giornalista della testata paterna. Eccolo: il solito viaggio dell’eroe per recuperare l’oggetto prezioso e che diviene anche viaggio per trovare sé stesso attraverso una serie di avventure, che in questo caso possiamo meglio definire come accidenti, data la polisemia del termine. E invece no.

La scrittura è un proliferare di dialoghi, considerazioni, sessioni d’alcol e di sesso, riflessioni, citazioni che passano dalla Grecia e dal greco al teatro all’opera alla letteratura al burlesque alla musica (dalle canzoni d’autore al rock, dalle opere al metal, con una predilezione per il club dei 27 e tanto altro), mimetica ai tanti personaggi che si incontrano anche se i fondamentali sono tre: Milla, Nemi, Isaak. O forse nessuno di questi, e i personaggi principali diventano il testo e chi legge.

La storia – divertente da seguire per i continui sbalzi, i rallentamenti e le accelerazioni, i cambiamenti di voce (ma dobbiamo intendere voce come si può leggere su una partitura musicale la dicitura “lento”, “moderato”, “veloce”, “pianissimo”) che ne fanno una sorta di ottovolante letterario – è usata a mo’ di maschera riflettente, esattamente come Milla e Nemi sono per i personaggi che incontrano: specchi. Nella recente serie tv Watchmen, sequel ispirato alla famosa omonima miniserie a fumetti di Moore e Gibbons, uno dei personaggi si chiama appunto Specchio e indossa una maschera che gli copre totalmente la testa e che è, ovvio, riflettente. È l’addetto agli interrogatori, diciamo così. Milla e Nemi sono così: specchi. Quando entrano in scena, che sia realmente o nel ricordo di qualcuno, che dicano qualcosa o stiano zitte, che facciano sesso o bevano superalcolici o fumino: sono specchio. L’altro ne subisce l’effetto, e ci può parlare, bere insieme, fare sesso, ma è sempre e costantemente sotto esame, e si osserva nello specchio e fa come De Niro in Taxi driver. Scritta così sembra quasi una cosa seriosa, invece è più come giocare a “specchio riflesso” (se qualcuno si ricorda di essere stato bambino, un tempo). Si mescola continuamente il gioco alla riflessione perché in fondo l’unica cosa che si ha da prendere seriamente è il gioco, altrimenti che gioco è?

L’Eretista è un romanzo canzonatorio, parodistico, metaletterario, metabiografico, grottesco, temporalesco, burlesco, che verso la fine offre un racconto che sembra uscito da una penna, non so, americana (intendendo da nord a sud), o forse asiatica, o britannica, o europea, o infine proprio italiana e che, comunque, sta lì: goccia di mercurio del termometro romanzesco rotto e finita sul tavolino, splendida lucente e magica.

«se vuoi entrare non te lo impedirò, ma hai letto il cartello all’ingresso? Non dovresti parlare con me, io sono un mostro, làsciami perdere, làsciami nella mia caverna a giocare con le ombre che perdo dalle dita. Siamo a sud del deserto di Tàlora e, qui, il tempo ha smesso di essere importante. Non te l’hanno già insegnato? È una regola del deserto: dimenticare le leggi decisive. Le esperienze fondamentali sono quelle che non ti ricordi. […] La vita, come l’arte, è un fatto casuale. Dipende dagli strumenti che ci sono offerti. E non puoi mai dire se ti daranno gli strumenti per vivere o gli strumenti per scrivere.

Nel deserto di Tàlora viviamo da sempre, notti e mattine, chiusi nelle nostre baracche. Poi, nel pomeriggio, lasciamo il deserto e ci sparpagliamo nelle città vicine. Lavoriamo da mendicanti, perfettamente addestrati. Supplichiamo elemosine, pochi soldi presi dalla tasca di un altro. Roba da spendere sùbito. Mai trattenerlo troppo, o il denaro diventa tuo e comincia a mancarti. […]

Ma non si deve mostrare delusione o rancore: si deve ridere sempre, ridere forte, ridere per non rischiare di farci rubare il sorriso dal primo ladro di luci che passa.

[…] Più ci ragiono e più credo che sia importante essere nel luogo giusto al momento sbagliato e in quello sbagliato al momento giusto. Vivere inopportuni e molesti. Ma sempre con discrezione e con grazia. La grazia non è che la necessità di tacere. […]

È questo il segreto di Tàlora: non esserci mai, perché esserci è un misfatto. Non avere un mondo. Dire cose che sembrano inutili e fare cose che non sembrano belle. […]

Noi, a Tàlora, sappiamo di non partecipare né alle trame né ai traffici del mondo: lo cambiamo, di notte, nel nostro deserto. […]

Non guardarmi troppo. Conosco molte lingue, non ne parlo una. […] Mi capita tutti i giorni, di avere questa visione: ma non mi sembra affatto strana. Credo che sia più strano non avere visioni: essere aridi e morti. […]

Credo che non siano anni, questi, propizi alla pietà. Credo che non sia neppure un tempo generoso. Nel momento in cui si hanno delle idee e le idee sono realizzate, e che dalle speranze e dai progetti scaturisce qualcosa di concreto, si assiste solo a dei soprusi. […] I poveri e i matti sanno sempre dove stanno.” (pag. 199-206)

Unica nota stonata: le note inserite nell’Appendice che non sono indicate nel testo con il solito numero ma in corsivo, col difetto che non sono le uniche parole che compaiono in corsivo.

Edizione esaminata e brevi note

Chiara Daino, sbucciata dall’utero il 5 marzo 1981 a Genova, alterna produzione autoriale e attività attoriale. La sua natura poliedrica è segnata dalla musica e dai suoi trascorsi di cantante Heavy Metal.
Tra le sue pubblicazioni i romanzi La merca (Fara editore, 2006; lulu.com 2020), L’Eretista (Sigismundus, 2011), Siamo soli [Morirò a Parigi] (Zona, 2013); la raccolta di racconti Siete dei (Il leggio, 2016); le sillogi poetiche Virus 71 (Aìsara, 2010), Metalli Commedia (Thauma, 2010; lulu.com 2019). Presente in varie antologie, tra le quali Bastarde senza gloria (Sartoria Utopia, 2013); Storie di cibo, racconti di vita (coautrice di milAnoressica con Lello Voce, Skira, 2012, drammaturgia). Ha recitato in diversi Festival Nazionali/Internazionali e partecipato a diversi poetry slam vincendo il Monza Poetry Slam 2010 (Apocalissi quotidiane). Dalla collaborazione con l’artista Antonio Minerba nacque il volume Atti intimi (Chiaredizioni, 2018, pittura e poesia, ita/esp). Dopo alcune esperienze come direttore di collana attualmente corregge refusi a scopo di lucro.

Chiara Daino, L’Eretista, Sigismundus, 2011

ab, 27 aprile 2020