Bruck Edith

Il pane perduto

Pubblicato il: 15 Febbraio 2021

Diversi anni fa ho letto il primo libro di Edith Bruck, si intitola “Chi ti ama così ed è stato pubblicato nel 1959. Oggi mi ritrovo in quelle stesse atmosfere, dentro a quello stesso racconto personale e doloroso attraverso la lettura de “Il pane perduto”, la pubblicazione più recente della scrittrice ungherese che scelse l’italiano come sua lingua letteraria. Il salto dal 1959 al 2021 vale ben 62 anni. La Bruck, oggi, è una scrittrice affermata, una traduttrice di valore, ha redatto poesie e testi teatrali. La Bruck, oggi, è una donna di 89 anni con gli occhi che stanno perdendo gradualmente la loro facoltà visiva. Eppure, nonostante siano trascorsi diversi decenni dalla sua opera d’esordio, Edith Bruck non ha perso la voglia di raccontare e di testimoniare la sua Shoah, il suo tormentato percorso di crescita umana, culturale, emotiva.

Ne “Il pane perduto” la scrittrice, nata nel 1932 in un piccolo villaggio in Ungheria chiamato Tiszabercel (Seicase), ricostruisce con stile nitido, deciso e mai scontato, i passaggi fondamentali della propria esistenza. C’è una fermezza nella linea dei ricordi riportati in questo “memoir” che attesta una confidenza profonda con la propria coscienza, un attaccamento intimo a determinati fatti e determinate persone tipico di una persona abituata a trasferire su carta le sue emozioni e le sue paure. Chi ha scelto di testimoniare la Shoah, chi ha scelto di raccontare la propria deportazione, la vita nei lager, la sopravvivenza e la ricostruzione non può sottrarsi al dolore, ma sa condividere i ricordi con la schiettezza e la dignità che meritano.

Il periodo dell’infanzia è il solo ad essere narrato in terza persona. Un modo che allontana chi legge, ma anche chi narra, da eventi, luoghi, persone. Come se ciò che è avvenuto fosse avvenuto a qualcun altro in un altro tempo. L’infanzia finisce nel momento in cui dei gendarmi, nella primavera del 1944, si presentano a casa: “La madre era già semisveglia per preparare il fuoco quando bussarono forte alla fragile porta, e si svegliarono di colpo tutti. Prima che potessero chiedere ‘Chi è?’, ai successivi colpi, sempre più violenti, la porta cedette. Nel vano apparvero due gendarmi che urlavano di uscire entro cinque minuti, con un solo ricambio di abiti, lasciando valori e denari a casa“. Nel villaggio ci sono una quindicina di famiglie ebraiche, fra cui quella di Edith Bruck. Saranno tutti deportati. La mattina in cui i gendarmi apparvero alla porta, c’era il pane nella madia a lievitare, doveva essere il pane per la Pasqua ebraica, da festeggiare da lì a poco. È quello il “pane perduto” del titolo. “La madre ripeteva ‘il pane, il pane’, come se volesse salutare le pagnotte e difenderle, e persino controllarne la lievitazione“.

Da questo momento in poi la narrazione è affidata alla prima persona. Da questo momento in poi tutto diventa più vicino, reale, crudele. Dio, Dio, pane, pane!’ invocava ancora la mamma, spinta sul treno nel caos più totale dai gendarmi e da giovani croci frecciate. Le famiglie cercavano di restare insieme e appena dentro lo scompartimento crollavano tutti sulle lunghe panche di legno con una stanchezza millenaria. Nel silenzio religioso si udiva solo il rumore ritmico del treno che sembrava andare verso l’infinito“. Ci sarà prima il ghetto della città di Sátoraljaújhely e poi Auschwitz, dove la madre sarà immediatamente condotta al gas e poi al forno crematorio. Edith resta con sua sorella Judit e con lei passerà per Dachau, Kaufering, Bergen-Belsen e poi percorrerà l’atroce marcia della morte verso il nulla. “Abbiamo vissuto tra agonia, morti, freddo, fame, fino all’ultimo appello del 15 aprile [del 1945, ndr], ma dall’alba alle nove non venne nessuno a contarci. La kapò che ci metteva in fila a bastonate, perché alcune di noi non riuscivano più a stare in piedi, era sparita. L’abbandono totale era la morte?“.

C’è anche molta poesia ne “Il pane perduto”, un lirismo che traspare dalla scelta di molti termini e dall’accostamento sinuoso di certe sonorità. Il culmine, probabilmente, è quella “Lettera a Dio” che chiude l’opera. “Scrivo a Te, che non leggerai mai i miei scarabocchi, non risponderai mai alle mie domande, ai miei pensieri di una vita. Pensieri elementari, piccoli, quelli della bambina che è in me, non sono cresciuti con me e non sono invecchiati con me e neppure cambiati molto. Forse mi urge mettere sulle pagine ciò che ho accumulato nella mente perché il destino mi sta privando della vista“. A Dio la Bruck rimprovera silenzi troppo lunghi e domande rimaste sempre senza risposta. Ma soprattutto, Edith Bruck rivolge a un Dio che ha trovato spesso distante e indifferente una sentita preghiera personale: “Ti prego, per la prima volta ti chiedo qualcosa: la memoria, che è il mio pane quotidiano, per me infedele fedele, non lasciarmi nel buio, ho ancora da illuminare qualche coscienza giovane“.

Edizione esaminata e brevi note

Edith Bruck è nata in Ungheria il 3 maggio del 1932 da una famiglia ebrea piuttosto povera e numerosa. A soli 12 anni viene internata in alcuni campi di concentramento e di sterminio nazisti insieme a sua sorella. Perde i genitori e viene liberata nel 1945. Ha viaggiato a lungo e, nel 1954, si è stabilita in Italia. Ha conosciuto e frequentato, tra gli altri, Primo Levi, Eugenio Montale, Mario Luzi. I suoi libri sono scritti in italiano, la lingua che ha eletto a sua lingua letteraria. Ha collaborato con varie testate giornalistiche e ha tradotto diverse opere di autori ungheresi. Tra i libri scritti e pubblicati dalla Bruck ricordiamo: “Chi ti ama così” (1959), “Andremo in città” (1962), “Le sacre nozze” (1969), “Due stanze vuote” (1974), “Il tatuaggio” (1975), “Transit” (1978), “Mio splendido disastro” (1979), “In difesa del padre” (1980), “Lettera alla madre” (1988), “Monologo” (1990), “Nuda proprietà” (1993), “L’attrice” (1995), “Il silenzio degli amanti” (1997), “Signora Auschwitz: il dono della parola” (1999), “L’amore offeso” (2002), “Lettera da Francoforte” (2004), “Specchi” (2005), “Quanta stella c’è nel cielo” (2009), “Privato” (2010), “La donna dal cappotto verde” (2012), “Il sogno rapito” (2014); “La rondine sul termosifone” (2017), “Ti lascio dormire” (2019), “Il pane perduto” (2021).

Edith Bruck, “Il pane perduto“, La nave di Teseo, Milano, 2021.

Edith Bruck: Wikipedia / Noi donne / Rai Scuola / Intervista